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Guadagni astronomici della farmaceutica sul cancro in Svizzera

una donna che indossa il camice apre un cassetto di una farmacia e tiene in mano una scatola di medicamenti.
I rimborsi annuali dell'assicurazione sanitaria di base obbligatoria per i farmaci antitumorali in Svizzera sull'arco di cinque anni hanno fatto un balzo del 54%. Ppr Media Relations Ag

I medicamenti antitumorali sono costati agli assicurati quasi un miliardo di franchi nel 2018 in Svizzera. I prezzi di certi trattamenti sono pari a oltre 80 volte i loro costi di produzione, ha rivelato domenica la televisione pubblica svizzera di lingua francese RTS.

L’oncologia è il mercato del futuro per il settore farmaceutico. Ogni anno, in Svizzera, a circa 40’000 persone viene diagnosticato un cancro. Di conseguenza, le industrie farmaceutiche lottano per lanciare nuovi preparati terapeutici. In gioco vi sono somme esorbitanti.

In cinque anni i rimborsi dell’assicurazione sanitaria di base (LAMal, obbligatoria) per i farmaci antitumorali hanno compiuto un balzo del 54%, passando da 603 a 931 milioni di franchi all’anno, secondo cifre inedite ottenute dalla trasmissione “Mise au PointCollegamento esterno” della RTS dall’associazione degli assicuratori malattie Curafutura. L’oncologia è il campo che pesa di più sui rimborsi dei farmaci. Questi, complessivamente, sono ammontati a 6,8 miliardi di franchi.

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I rimborsi per un singolo medicinale antitumorale hanno superato i 74 milioni di franchi. Tra i 15 trattamenti che incidono maggiormente sull’assicurazione malattie di base, quattro farmaci antitumorali sono commercializzati dal gruppo Roche, di Basilea, uno dei leader del mercato mondiale.

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Prezzi senza nesso con i costi

La fattura finale è così elevata perché il costo annuale dei trattamenti per paziente di solito è di diverse migliaia di franchi. Spesso supera addirittura i centomila franchi. Tuttavia, questi prezzi sono totalmente scollegati dai costi di produzione, come dimostra l’indagine dei giornalisti di “Mise au Point”.

Per esempio, Herceptin, il trattamento di punta della Roche per il tumore al seno. Disponibile da 20 anni, questo blockbuster ha fruttato 82,8 miliardi di franchi a livello mondiale al gigante svizzero della farmaceutica. Secondo i dati di Curafutura, in Svizzera i rimborsi LAMal per questo medicamento, tra i più elevati, sono stati in totale di 257 milioni di franchi tra il 2014 e il 2018.

L’85% di margine

Le industrie farmaceutiche mantengono il riserbo assoluto su queste cifre. I giornalisti della RTS hanno stimato i margini realizzati su questo farmaco antitumorale sulla base di studi scientifici, di rapporti di analisti finanziari ed esperti.

Secondo specialisti in biotecnologia, un flacone di Herceptin nella sua forma più diffusa costerebbe circa 50 franchi. Nel 2018 è stato venduto in Svizzera a 2’095 franchi, ossia 42 volte il suo costo di produzione.

Anche tenendo conto dei costi di ricerca e di distribuzione, il margine su una boccetta di Herceptin raggiunge almeno l’85% del prezzo pubblico, nonostante questo sia stato abbassato nel 2018. In altre parole, dei 257 milioni pagati tra il 2014 e il 2018 dagli assicurati svizzeri, almeno 221 milioni sono finiti nelle casse della Roche.

L’Herceptin non è del resto un’eccezione. Per il Mabthera, uno degli altri farmaci antitumorali di successo della Roche, i guadagni nel 2018 sono ammontati ad almeno l’81% del prezzo pubblico.

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Prezzi basati sui “benefici per la società”

Contattata per avere delucidazioni in merito a tali margini, la Roche ha rifiutato di commentarli. Una portavoce ha però risposto che “i prezzi dei trattamenti non sono basati sugli investimenti per un particolare trattamento”. La portavoce ha aggiunto che i prezzi dei farmaci “si basano sui benefici che procurano ai pazienti e alla società nel suo complesso”.

Come sono misurati questi “benefici per i pazienti e la società”? Sottolineando che l’Herceptin ha consentito di trattare oltre due milioni di persone in vent’anni in tutto il mondo, la Roche si appoggia su studi che misurano il prezzo di un farmaco in base agli anni supplementari di vita e alla qualità di vita che esso procura. In altre parole, più efficiente è un trattamento, più alto è il prezzo di vendita, anche se la produzione costa poco.

“Le industrie farmaceutiche devono guadagnare qualcosa, ma è ridicolo avere tali guadagni. Ciò non avverrebbe mai in un mercato con la concorrenza”, insorge il professor Thomas Cerny, presidente della Ricerca svizzera contro il cancro. A suo avviso, questi prezzi basati sulla monetizzazione degli anni di vita sono problematici e portano a confronti aberranti: “Un farmaco antitumorale ha più valore di un telefono che va a beneficio dell’intera popolazione e può anche salvare delle vite?”

Il Glivec venduto per 86 volte il suo costo di produzione

Un altro esempio clamoroso è il Glivec della Novartis, altro gigante farmaceutico con sede a Basilea. La scatola da 30 capsule, il dosaggio più diffuso, venduta dieci anni fa a 3’940 franchi, oggi costa ora circa 2’600 franchi. Eppure, secondo il farmacologo del Centro ospedaliero universitario del cantone di Vaud (CHUV) Thierry Buclin, la produzione del Glivec non è più cara di quella di un antinfiammatorio standard, raramente venduto per più di 50 franchi.

Secondo uno studio dell’università di Liverpool, il costo di produzione di una scatola di Glivec sarebbe al massimo di 30 franchi. Si tratta di 86 volte meno dei 2’592 franchi fissati dalla Novartis. Tenendo conto dei costi di ricerca e della quota di distribuzione, il guadagno della Novartis su una scatola venduta a 2’592 franchi si attesta tra i 2’181 e i 2’251 franchi. Vale a dire un margine di quasi l’85%.

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“Finanziare la prossima generazione di trattamenti”

Anche la Novartis rifiuta di commentare queste cifre. Il gigante elvetico afferma di avere “mantenuto i suoi investimenti nella ricerca sul Glivec negli ultimi 15 anni”. Aggiunge che “le vendite hanno anche permesso di finanziare la prossima generazione di trattamenti innovativi, in particolare gli studi clinici su nuove molecole sperimentali”. L’azienda non rivela in dettaglio gli importi reinvestiti nella ricerca sul Glivec, ma ricorda i suoi costi annuali di 9 miliardi di dollari per ricerche e sviluppo.

Questo argomento è contestato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), secondo la quale, “i prezzi elevati dei medicamenti antitumorali hanno generato guadagni ben superiori ai possibili costi di ricerca”. In un rapporto pubblicato in gennaio, l’OMS constata che per ogni dollaro investito nella ricerca sul cancro, le aziende farmaceutiche hanno incassato in media 14,5 dollari. L’organizzazione conclude che “una diminuzione dei prezzi è indispensabile per l’accesso ai medicinali, la sostenibilità finanziaria dei sistemi sanitari e l’innovazione futura”.

Prezzi fissati alla cieca

In Svizzera i prezzi dei medicamenti sono negoziati e validati dall’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP). Come giustifica questi prezzi? “Se ci si fonda sui costi di ricerca e sviluppo, il prezzo dell’Herceptin non è giustificato”, riconosce un portavoce dell’UFSP. “Se invece ci si fonda sulla nostra base legale, questo prezzo corrisponde ai nostri criteri economici”, afferma.

L’UFSP si fonda su due criteri: i prezzi praticati in 9 paesi europei e il confronto terapeutico, cioè i prezzi di altri medicamenti utilizzati per il trattamento della malattia.

Per l’Herceptin, il Mabthera e il Glivec, si tiene conto solo del confronto internazionale poiché non esiste una sostanza equivalente. L’UFSP ammette però di non conoscere i prezzi effettivi all’estero. “La maggior parte degli Stati non paga il prezzo stampato sull’imballaggio. È come comprare un prodotto di consumo. Tutti beneficiano di uno sconto, tutti tornano a casa con la sensazione di aver ottenuto il miglior prezzo, ma alla fine nessuno è davvero sicuro”, spiega il portavoce dell’UFSP.

Dietro a queste risposte contorte si cela l’impotenza dell’UFSP. Da un lato, le industrie farmaceutiche utilizzano questi prezzi elevati per fissare le loro tariffe all’estero. “Alla Svizzera conviene che i medicamenti siano relativamente cari sul mercato interno, per giustificare dei prezzi elevati all’estero, che vanno a vantaggio dell’industria elvetica”, spiega Thierry Buclin.

D’altra parte, l’industria tiene il coltello per il manico quando si tratta di fissare i prezzi. Il programma RundschauCollegamento esterno, della televisione pubblica svizzera di lingua tedesca SRF, ha recentemente rivelato come la Roche ha fatto validare a 3’450 franchi il prezzo di un altro medicamento antitumorale, il Perjeta, mentre l’UFSP avrebbe voluto fissarlo a 1’850 franchi. La chiave di questo negoziato: la minaccia che un farmaco salvavita rimanesse inaccessibile in Svizzera.

Solange Peters, responsabile del Servizio di oncologia medica del CHUV, chiede maggiore trasparenza, al fine di ottenere prezzi più ragionevoli. “Non si potrà continuare così. Non ci si arriverà finanziariamente, nemmeno in Svizzera”, pronostica. A lungo termine, c’è il rischio di non più riuscire a pagare alcuni medicamenti. Se il sistema non cambia, “si andrà verso una medicina a due velocità, vale a dire che escluderemo alcuni medicamenti dallo schema di trattamento”.

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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