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Crisi della mucca pazza: dure critiche degli allevatori all’Ufficio federale di veterinaria

Secondo gli allevatori, le autorità non hanno saputo far rispettare il divieto sulle farine animali Keystone

Gli indennizzi chiesti alla Confederazione da 2206 allevatori in seguito alla crisi della mucca pazza salgono da 185 a quasi 300 milioni di franchi. I querelanti accusano gli uffici federali interessati, quello dell'agricoltura e quello di veterinaria, di negligenza colpevole in merito alla diffusione dell'encefalopatia spongiforme bovina (ESB).

Le nuove richieste sono state presentate a fine marzo al Dipartimento federale delle finanze (DFF) dall’avvocato dei querelanti, nella replica alla risposta fornita dal DFF dopo una prima denuncia depositata nel 1997. Le pretese dovrebbero ovviare alle conseguenze economiche della seconda crisi della mucca pazza, scoppiata nel novembre 2000.

«A forza di peccare d’ottimismo, credendo ogni volta che tutto sarebbe andato per il meglio e che la malattia sarebbe stata presto debellata, gli uffici federali, e in particolare l’Ufficio federale di veterinaria (UFV), si sono resi colpevoli di lassismo e negligenza», scrivono i querelanti nel documento, che è pervenuto all’ats. A loro avviso, gli uffici sono responsabili poiché non hanno adottato misure adeguate di volta in volta e appena era possibile. In particolare, gli allevatori rimproverano alle autorità «la loro ingenuità, per non dire complicità» nel mantenere sul mercato alimenti contaminati.

La Svizzera avrebbe dovuto vietare molto prima le importazioni di farine animali. Gli uffici federali avrebbero inoltre dovuto meglio controllare e far rispettare il divieto totale di sostanze a base di carne nei foraggi per bovini. La politica della tolleranza zero, decisa nel 1990, è diventata effettiva solo dieci anni dopo. Ancora nel 1998, l’amministrazione affermava che era impossibile far rispettare un tale divieto per ragioni tecniche e economiche.

Gli agricoltori che hanno sporto denuncia affermano che gli uffici hanno creato confusione fra i consumatori, contribuendo così al crollo del mercato, con affermazioni contraddittorie e una politica d’informazione lacunosa. Ad esempio, hanno affermato nel giugno 2000 che le farine animali svizzere potevano essere considerate sicure, ma pochi mesi dopo le hanno messe al bando.

I contadini non escludono neppure una denuncia per favoreggiamento. Nella loro risposta alle pretese dei 2206 allevatori – chiesta dal Tribunale federale, che aveva giudicato la prima presa di posizione insufficiente – gli Uffici federali non hanno presentato alcuni documenti richiesti. I querelanti giudicano «non credibile» quando l’UFV dichiara di non possedere alcuni testi emanati dalla Commissione specializzata sull’afta epizootica dell’Organizzazione internazionale sulle epizozie (OIE). Dal 1988 al 1992, durante i primi anni cruciali dell’ESB, questa commissione era presieduta da Ulrich Kihm, allora vice direttore e ora direttore dell’UFV.

Grazie ai suoi rappresentanti nell’OIE, la Confederazione era ben piazzata per agire e reagire immediatamente, affermano i querelanti. «Ma il burocratismo, e/o gli interessi economici, e/o un’assenza di volontà politica hanno condotto al disastro attuale», aggiungono. L’Unione svizzera dei produttori aveva già espresso preoccupazione nel novembre 1990 e chiedeva l’adozione di quelle misure che sono entrate in vigore solo anni dopo.

L’UFV, contattato dall’ats, non vuole e non può prendere posizione in merito. «Abbiamo l’obbligo di riservatezza» ha detto il portavoce Heinz-Karl Müller. «La posizione dei contadini è più facile: possono formulare rimproveri pubblici, mentre noi dobbiamo attenerci alle regole dell’amministrazione.»

Le richieste dei querelanti saranno ora esaminate dagli uffici di veterinaria e dell’agricoltura e dal Segretariato di Stato all’economia (Seco): poi si terrà un’udienza istruttoria. Ma la soluzione potrebbe essere raggiunta sul piano politico.


swissinfo e agenzie

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