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“Le campagne elettorali in Svizzera sono più movimentate di quanto si possa pensare”

Persona su palco con pollice alzato
Il consigliere federale Guy Parmelin durante il lancio della campagna dell'UDC alla Swiss Life Arena di Zurigo, agosto 2023. © Keystone / Michael Buholzer

Le campagne elettorali in Svizzera non sono così noiose quanto si pensa generalmente all'estero, sostiene Zoé Kergomard, ricercatrice francese all'Università di Zurigo che, in questi appuntamenti fissi della democrazia, osserva qualche particolarità sorprendente.

La campagna elettorale in vista delle legislative del 22 ottobre viaggia ormai a pieno regime. Questo appuntamento importante della vita politica elvetica è però snobbato dalla maggioranza dell’elettorato e suscita poco interessa da parte dei media e del mondo accademico al di là dei confini nazionali.

A torto, ritiene Zoé Kergomard. Questa storica francese, che padroneggia alla perfezione la lingua di Goethe, si è immersa nello studio delle campagne elettorali svizzere dal dopoguerra ai giorni nostriCollegamento esterno e ha fatto interessanti scoperte.

SWI swissinfo.ch: Perché le campagne elettorali in Svizzera non interessano a nessuno – o quasi – all’estero?

Zoé Kergomard: È inerente al funzionamento del sistema politico elvetico, caratterizzato dal federalismo e dagli strumenti della democrazia diretta. Si ha l’impressione che non sia durante le elezioni che si gioca il futuro del Paese, ma piuttosto durante le votazioni federali. Ciò che mi colpisce, come ricercatrice francese in Svizzera, è che nemmeno all’interno della Confederazione c’è un forte interesse per queste elezioni.

Tuttavia, le campagne elettorali sono momenti particolari nella vita democratica del Paese, durante i quali i partiti politici si mettono in mostra e tentano di creare legami con la cittadinanza. Contrariamente alle votazioni popolari, che vertono su un tema chiaro, i partiti in questo momento hanno carta bianca per puntare i riflettori sulle idee che stanno loro più a cuore.

Ciò fornisce, a colpo d’occhio, una panoramica sul dibattito politico nel Paese. Ma soprattutto, quando un partito mette in agenda una questione specifica – ad esempio la protezione dell’ambiente già dagli anni Sessanta, l’immigrazione in modo particolare dagli anni Ottanta, etc. – ciò può avere effetti a lungo termine su ciò di cui discuteranno i media e la politica nei prossimi anni.

Persona con occhiali, primo piano
Zoé Kergomard (34 anni) è assistente docente di storia all’Università di Zurigo. È autrice di Fare campagna: i partiti politici svizzeri di fronte all’elettorato dal 1945, pubblicato nel 2023 dalla casa editrice “Le Savoir suisse”. swissinfo.ch

Il tasso di partecipazione alle elezioni in Svizzera è in calo costante da decenni (45% nel 2019). Campagne più sfavillanti, come quelle a cui si assiste per esempio in Francia durante le elezioni presidenziali, permetterebbero una maggiore mobilitazione?

Con la Francia si ha a che fare con una democrazia che non sta molto bene, come si è visto quest’anno con la riforma delle pensioni. La partecipazione è sicuramente abbastanza elevata durante le elezioni presidenziali, ma crolla durante tutte le altre elezioni poiché ormai la cittadinanza non ne vede più il senso. È il rovescio della medaglia dell'”iper-presidenzializzazione” della Quinta Repubblica.

In Svizzera, dato il gran numero di scrutini, l’astensione è generalmente intermittente: molte persone votano quando il tema le interessa. Anche se l’astensionismo negli anni Sessanta-Settanta aveva suscitato molto dibattito, da allora la partecipazione elettorale relativamente bassa in Svizzera si è quasi normalizzata e non è più considerata un segnale di disaffezione dalla democrazia.

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Quindi va tutto per il meglio nella democrazia semidiretta svizzera?

Ci sono comunque problematiche che riemergono regolarmente quando ci si occupa, in particolare, della questione della partecipazione: chi può far parte e impegnarsi nella vita politica svizzera e chi non ne ha invece il diritto?

La proposta di estendere i diritti politici alle persone a partire dai 16 anni è sul tavolo da qualche anno. Inoltre, le campagne elettorali svizzere mettono in evidenza la particolarità di un Paese a forte immigrazione in cui quasi un quarto della popolazione non ha diritto di voto a livello federale. È la conseguenza di una politica di naturalizzazione tra le più restrittive in Europa. Anche questo tema crea spesso dibattito.

Si può pensare che questa esclusione abbia delle conseguenze sulla partecipazione politica in generale. Nei luoghi di socializzazione come il posto di lavoro o le associazioni, si parla meno di politica se una parte importante del gruppo non può parteciparvi.

È uno dei paradossi della vita politica svizzera. La politica è molto visibile nello spazio pubblico, ma i grandi dibattiti non sono per forza presenti nelle interazioni quotidiane della popolazione.

Quali altri particolarità osserva nelle campagne elettorali svizzere?

I partiti politici, che non beneficiano di un finanziamento statale, sono storicamente deboli in Svizzera, soprattutto nel confronto con i grandi gruppi di interesse. Si può dire che questa debolezza dei partiti e il sistema di milizia portano a campagne poco professionalizzate.

Ma, dietro ai partiti, le associazioni economiche svolgono da tempo un ruolo, tanto nelle campagne elettorali quanto nelle campagne in vista di una votazione federale. Inoltre, il sistema di liste aperte incita i candidati e le candidate a investire nella propria campagna.

Questa diversità degli attori implicati nelle campagne elettorali ha reso difficile una valutazione precisa delle spese di campagna. Per la prima volta quest’anno, nuove regole sulla trasparenza del finanziamento della vita politica saranno applicate alle elezioni federali. Sarà molto interessante studiarne gli effetti.

La stabilità del panorama politico elvetico è un’altra particolarità spesso citata all’estero. Ma se si guarda all’evoluzione della forza dei partiti dall’inizio degli anni Novanta, si nota qualche sviluppo degno di nota, ad esempio la forte progressione dei partiti ecologisti e dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) a scapito dei partiti tradizionali. Questo aspetto è sottovalutato?

Effettivamente, è un contrasto notevole con il periodo degli anni Quaranta-Ottanta. È comunque vero che le variazioni si verificano tra partiti politicamente vicini e non da un blocco all’altro, tanto più che il sistema multipartitico è particolarmente variegato in Svizzera, come si vede dall’esistenza di due partiti ecologisti, uno più critico, l’altro più favorevole all’economia di mercato.

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Negli anni Novanta e Duemila si è anche assistito alle prime controverse campagne dell’UDC. È stata una svolta che secondo lei ha modificato il modo di fare politica in Svizzera?

Le pratiche di campagna dell’UDC non sono inedite. Negli anni Cinquanta, i partiti hanno cominciato a lavorare più o meno strettamente con sondaggisti e pubblicitari. Ci sono forti continuità nelle pratiche di mobilitazione: i partiti utilizzano i manifesti pubblicitari dall’inizio degli anni Venti per rendersi visibili nello spazio pubblico.

Neanche il carattere polemico delle campagne dell’UDC è una novità. Nel 1979, ad esempio, il Partito radicale aveva già condotto una campagna definita “all’americana” attorno allo slogan di ispirazione neoliberale “Più libertà, meno Stato”. Durante la Guerra fredda, l’anticomunismo, molto forte in Svizzera, è stato spesso utilizzato per stigmatizzare i partiti di sinistra.

Gli attacchi personali costellano a loro volta la storia delle elezioni federali. Dopo l’introduzione del suffragio femminile a livello federale nel 1971, le prime candidate sono state oggetto di scherno sessista nella stampa e sono state inviate lettere anonime che chiedevano di stralciare i loro nomi dalle liste.

Nel 2007, si sono verificate delle violenze durante la campagna. Vandali legati all’estrema sinistra hanno reagito contro una manifestazione dell’UDC sulla Piazza federale. È stato un evento inedito nella storia delle campagne elettorali svizzere?

I discorsi sulla “cultura del compromesso svizzera” hanno certamente un effetto mitigante sui comportamenti delle personalità politiche. Nel 2007, sia l’uso della violenza sia gli eccessi xenofobi della campagna dell’UDC in questione sono stati condannati.

Tali incidenti non sono però unici, soprattutto se si guarda al contesto turbolento dei movimenti di protesta degli anni Sessanta e Settanta. Giovani attiviste e attivisti legati al gruppo Hydra accompagnati da lavoratrici e lavoratori italiani avevano per esempio perturbato una riunione elettorale del politico di estrema destra James Schwarzenbach nel 1971, rivendicando un posto nella democrazia svizzera.

Insomma, le campagne elettorali svizzere sono spesso più movimentate di quanto generalmente si immagini, e mettono in luce grandi temi democratici: chi partecipa, chi rappresenta chi, quali problemi politici saranno prioritari negli anni a venire, e così via.


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