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Debito USA: un cerotto poco rassicurante

Sollevato, ma con pochi motivi per festeggiare. AFP

La stampa svizzera commenta con scetticismo l'accordo raggiunto in extremis sul debito statunitense: i problemi non risolti restano troppi e potrebbero gravare anche sull'economia elvetica. Unici veri "vincitori": i Tea Party, che hanno reso la vita difficile a Obama.

Con 269 voti contro 161, i deputati hanno accolto il compromesso negoziato da democratici e repubblicani: l’accordo annunciato dal presidente Barack Obama permette l’innalzamento del tetto del debito pubblico statunitense ed evita così l’incombente insolvenza.

Una decisione che la stampa svizzera giudica senz’altro importante, ma ben lungi da risolvere tutte le difficoltà dell’economia americana.

Problemi non risolti

Secondo la Neue Zürcher Zeitung, l’intesa raggiunta «risolve sì la questione della liquidità a corto termine, ma cambia poco al fatto che gli Stati Uniti si stanno avviando verso il sovraindebitamento strutturale».

Il quotidiano svizzerotedesco sintetizza così la situazione: il vero problema è costituito dal fatto che negli Stati Uniti la classe politica si è impegnata in una serie di compiti per i quali non vi è un finanziamento adeguato. Di conseguenza, «lo Stato spende più di un terzo di ciò che guadagna». A ciò si aggiunge, sempre secondo la Neue Zürcher Zeitung, «la volontà politica di ridurre i compiti e di aumentare le tasse». E questo contesto, «non può riservare nulla di buono a lungo termine».

La soluzione? Tra le varie discusse, la Neue Zürcher Zeitung indica come via migliore un «freno all’indebitamento simile a quello esistente in Svizzera: anche gli Stati Uniti necessitano infatti di uno strumento che consenta loro di gestire e pianificare le finanze pubbliche al di là dei cicli congiunturali».

Preoccupazioni per la Svizzera

Anche secondo Der Bund la soluzione raggiunta è lungi dall’essere la panacea. Infatti, ricorda il giornale, «durante il prossimo decennio negli Stati Uniti dovranno essere risparmiati 2,4 miliardi di dollari». Ciò significa che il governo faticherà molto a investire per promuovere l’occupazione e la crescita economica.

In questo contesto, con la prospettiva di una recessione americana, anche la Svizzera ha motivo di preoccuparsi: Der Bund sottolinea infatti che l’economia rossocrociata – basata sull’esportazione – rischia di soffrire molto, anche tenendo conto della forza del franco. E se i margini di guadagno per le aziende svizzere continueranno a diminuire, conclude il quotidiano bernese, a soffrirne sarà in ultima analisi il mercato del lavoro.

Dal canto suo, la Basler Zeitung indica una cifra per quantificare la gravità del problema americano: «Attualmente, il deficit mensile statunitense è superiore ai 100 miliardi di dollari». Ciononostante, continua l’editorialista, «il compromesso votato non prevede in modo vincolante una riforma fiscale», quando invece la legislazione fiscale necessita già da tempo proprio di «una coraggiosa modifica» per tentare di correggere le numerose scappatoie e rendere più chiaro il sistema.

Obama ha ceduto

Secondo Le Temps, anche se l’esito finale avrebbe potuto essere peggiore, una considerazione s’impone: «Trasformando la questione del debito in un ricatto, i rappresentanti dei Tea Party hanno imposto un nuovo modo di governare e il presidente degli Stati Uniti ha fatto marcia indietro». Obama «ha ceduto sulla maggior parte dei punti importanti. […] Per lui e i suoi sostenitori questo episodio rappresenta una sconfitta senza appello».

Sulla stessa lunghezza d’onda il Giornale del Popolo: «Le modalità con cui il Congresso è riuscito a trasformare un atto considerato a lungo politicamente “dovuto” (come l’autorizzazione a coprire con il deficit le spese relative a politiche già approvate dallo stesso Congresso) in uno strumento di guerriglia e ricatto nei confronti del presidente lima ulteriormente gli artigli dell’aquila».

In definitiva, osserva il giornale ticinese, «se in tanti possono quindi cantare vittoria – chi per avere impedito l’introduzione di nuove tasse o il taglio degli sgravi fiscali per i ricchi voluti da Bush, chi per aver salvato la sua riforma sanitaria da un nuovo mortale agguato, chi per aver impedito agli altri di trionfare – resta il fatto che Obama si avvicina alle prossime presidenziali un po’ più ammaccato, confermando quell’immagine di un brillante oratore – “capace di ascoltare prima di parlare e di parlare invece di fare” – che trova sempre più proseliti anche tra tanti suoi sostenitori delusi».

Meno duri 24 heures e la Tribune de Genève: Barack Obama ha senza dubbio perso il carisma iniziale, ma la crisi del debito gli ha permesso di perfezionare il suo nuovo ruolo, ovvero quello di un arbitro capace di ponderare gli interessi di tutte le parti. «Tra poco più di anno si saprà se la scommessa è stata vinta», concludono.

Incoraggiare l’innovazione

Il Corriere del Ticino ricorda che «il piano si suona con due mani e la regola vale spesso anche in economia. L’accordo tra democratici e repubblicani sul debito pubblico USA rappresenta un elemento positivo per un aspetto: l’aver evitato un clamoroso default a Washington».

Ciononostante, «questa è soltanto una parte delle note che i mercati volevano e vogliono sentire. L’altra parte è quella relativa alla crescita economica». Infatti, annota il quotidiano ticinese «se da un lato occorre affrontare il risanamento dei conti pubblici e quindi ridurre deficit e debiti ormai esagerati, dall’altro occorre anche ricreare i presupposti per una ripresa economica più solida. […]».

Come? «Ridurre l’indebitamento, anche tagliando le spese improduttive e senza valido contenuto sociale, è una via da percorrere. Non bisogna però dimenticare la necessità di dare alle imprese ed alle famiglie un quadro di maggiori certezze per investimenti e consumi presenti e futuri, attraverso certo il ridimensionamento del fardello del debito pubblico, ma anche incoraggiando l’iniziativa economica e l’innovazione, specie quando queste sono in grado di creare in tempi non lunghi reddito e occupazione».

L’accordo annunciato in extremis domenica sera da Barack Obama, che permette l’innalzamento del tetto del debito pubblico statunitense e di evitare così l’incombente insolvenza, ha superato nella notte l’ostacolo più difficile.

La Camera dei rappresentanti lo ha accolto con 269 voti contro 161, malgrado le perplessità del Tea Party e anche di parte dei democratici, ostile a importanti tagli alla spesa pubblica che non siano stati bilanciati da un aumento della pressione fiscale per le grandi imprese e le classi più agiate.

L’intesa permetterà di ridurre di 2’400 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni il buco nelle casse statunitensi.

Ora tocca al Senato pronunciarsi, dove servirà il sostegno di 60 senatori su 100. Se l’obiettivo sarà raggiunto, allora il limite massimo del debito potrà essere aumentato. Attualmente è fissato a 14’300 miliardi.

Nonostante il voto, è tutt’altro che certo che le agenzie di rating confermino il giudizio di tripla A attribuito a Washington, il migliore in assoluto, che ne certifica l’assoluta affidabilità nel rimborso dei suoi debiti.

Un declassamento avrebbe conseguenze sul costo dei crediti e rischierebbe di rallentare la già fragile ripresa economica, in un paese in cui il 9% della popolazione attiva è ancora senza lavoro.

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