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UBS, un’ipoteca per l’immagine della Svizzera

La stampa svizzera denuncia i rischi eccessivi assunti dall'UBS negli ultimi anni, i controlli inadeguati e le ricadute pesanti sull'immagine del paese. Keystone

È con un misto di insofferenza e indignazione che la stampa svizzera reagisce all'ennesimo scandalo che coinvolge l'UBS, condannata a una multa di 1,4 miliardi di franchi nel caso Libor. I quotidiani denunciano i rischi eccessivi, i controlli inadeguati e le ricadute pesanti sull'immagine del paese.

«Nessun’altra banca svizzera è finita nel collimatore della giustizia e delle autorità di sorveglianza quanto l’UBS», ricordano il Tages Anzeiger e il Bund.

La lista è lunga, «ma non certo esaustiva»: le perdite legate alla crisi finanziaria, il buco causato dalle frodi di un ex trader a Londra, l’inchiesta e le multe per concorso in evasione fiscale negli Stati Uniti ed altrove. Ed ora la multa record di 1,4 miliardi di franchi inflitta all’UBS nell’inchiesta internazionale sulle manipolazioni del Libor, tasso di interesse fondamentale per una parte consistente di mercati.

«Piove sempre sul bagnato», riassume in una battuta il commentatore del Corriere del Ticino.

«Frodare, imbrogliare, manipolare, respingere»: I verbi utilizzati quando l’UBS si ritrova nel cuore dell’attualità fanno venire «la pelle d’oca» al giornalista di Le Matin. «Basta! Ogni volta che l’UBS finisce nei guai, ne va dell’immagine della Svizzera e della sua credibilità». Al punto che la banca, per il Tages Anzeiger e il Bund, si è semplicemente trasformata in una macchina «distruggi-soldi», pericolosa per l’intero paese. E il Blick si chiede se la reputazione dell’UBS sia ancora salvabile.

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Quando i nodi vengono al pettine

Ancora una volta, scrive La Regine Ticino, «i più elementari principi dell’economia di mercato sono stati sistematicamente violati per trarre profitti personali e deliberatamente fuori misura a danno di coloro che non erano della combriccola o che semplicemente si fidavano di quello che veniva comunicato al mercato e in base a quel dato prendevano le loro decisioni economiche. Poveri ingenui».

Questi scandali a ripetizione mostrano chiaramente che i sistemi di controllo e di sicurezza interni hanno lacune profonde. «Lacune di cui i manager non hanno voluto prendere coscienza, stando al Tages Anzeiger e al Bund . E questa è una costante nella storia dell’UBS».

L’Autorità di vigilanza dei mercati finanziari (FINMA) ha rilevato che non vi sono elementi che possano far pensare a un coinvolgimento dei top manager dell’UBS dell’epoca. «Meglio così, commenta il Corriere del Ticino. Ma non si può negare che in passato vi siano state falle quantomeno su due livelli: quello dell’assunzione dei rischi e quello dei controlli. I nodi del passato vengono al pettine, magari lentamente ma arrivano».

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La FINMA nel mirino delle critiche

Stando alla Tribune de Genève, tuttavia, «questa inconsapevolezza dovrebbe essere considerata come una colpa quasi analoga a quella attribuita ai trader. I responsabili del controllo e della sorveglianza non vengono nominati per fallire nelle loro missioni».

La stampa non è certo tenera bei confronti della FINMA. «Da tempo avrebbe dovuto verificare il ruolo dei responsabili della banca, fino ai suoi massimi livelli», scrivono il Tages Anzeiger e il Bund. «Ma la FINMA in questo senso è come un cane incapace di mordere».

Da notare che l’attuale responsabile della divisione banche presso la FINMA, Mark Branson, ai tempi dello scandalo Libor era dirigente dell’UBS in Giappone, una delle unità implicate nello scandalo. Una “coincidenza” che fa storcere il naso al commentatore dei due quotidiani svizzero-tedeschi. «Un’autorità di sorveglianza, che mostra anche solo in apparenza segnali di parzialità e debolezza, non può adempiere al proprio compito».

Le Matin sottolinea come il mondo politico si senta ormai disarmato e in collera. «È consapevole di essersi fatto fregare. Perché tutte le storie all’origine degli attuali scandali sono iniziate quando Marcel Ospel era alla guida dell’UBS. Lo stesso Ospel che era riuscito a far salvare il suo istituto dal mondo  politico, senza nulla in controparte. Oggi l’attuale direttore dell’UBS, Sergio Ermotti, è chiamato ad assumersi la responsabilità di errori che non ha commesso. Bisogna dargli una chance. Ma anche il mondo finanziario e politico dovrebbero porsi delle domande: fino a dove può spingersi la farsa? Qual è il punto di ritorno? L’UBS ha un impatto positivo per l’economia svizzera? E sono chiamati ad anticipare la caduta prima che avvenga».

Quanti scheletri nell’armadio?

A fine ottobre, l’UBS aveva presentato una nuova strategia di gestione del capitale come una decisione presa a partire da “una posizione di forza”. Retrospettivamente, scrive il quotidiano romando Le Temps, ci si rende conto che questo cambiamento strategico non è stato fatto per scelta, ma per necessità. «Malgrado la multa, ieri i mercati sembravano tranquillizzati all’idea che la banca svizzera lasci al più presto un settore che non le ha creato che perdite negli ultimi dieci anni».

Il lavoro compiuto in questi mesi rischia però di essere compromesso se la banca non si mostrerà intransigente nei controlli, in modo da evitare assolutamente che si ripetano episodi che provocano danni sia economici sia di immagine, ricorda dal canto suo il Corriere del Ticino.

Anche perché la bufera per UBS non è ancora finita. Il CEO Sergio Ermotti è il primo a riconoscerlo: lo scandalo Libor non sarà l’ultimo.

«Quanti scheletri sono ancora nascosti nell’armadio dell’UBS», si chiede 24 heures. «Per quanto tempo ancora “Capitano Caos” e i suoi tristi compagni potranno infierire contro la casa madre del gruppo, i suoi impiegati onesti e tutta la piazza finanziaria svizzera? All’immagine della Wegelin, forse l’UBS Svizzera farebbe meglio a tagliare il cordone ombelicale e a cambiare il suo nome».

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