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WEF, l’appello della ministra dell’ambiente brasiliana per salvare l’Amazzonia e la democrazia

Marina Silva
L'ambientalista Marina Silva è ministra dell'ambiente del secondo Governo Lula. Aveva già ricoperto l'incarico nel primo Governo Lula dal 2003 al 2010. Keystone / Fernando Bizerra

La ministra dell'ambiente brasiliana Marina Silva ha affermato che il suo Paese è impegnato a difendere la democrazia e a salvare ciò che resta della foresta amazzonica. Quello al Forum economico mondiale di Davos è il suo primo viaggio all'estero da quando ha assunto l'incarico nel Governo di Lula da Silva il 1° gennaio.

In un’intervista rilasciata a SWI swissinfo.ch prima di lasciare Brasilia, Marina Silva ha dichiarato che la sua missione era quella di rassicurare il mondo sull’impegno della sua nazione nella lotta alla deforestazione e sull’intenzione di voltare pagina dopo anni di governo negazionista di estrema destra, responsabile del più grande aumento della superficie disboscata degli ultimi decenni. La ministra punta anche il dito contro le raffinerie svizzere che continuano a usare l’oro estratto illegalmente in Brasile.

SWI swissinfo.ch: Il suo Governo ha detto di volersi impegnare per invertire il disastroso bilancio ambientale dell’ex presidente Jair Bolsonaro. L’agenda del WEF ha dato sufficiente priorità alla sfida ambientale?

Marina Silva: È un tema sempre più al centro dell’attenzione del WEF e dei suoi eventi, il che è molto positivo. Questo anche perché c’è la volontà di rispettare gli impegni dell’Accordo di Parigi sul clima, firmato nel 2015 durante la COP21. Ciò coincide con la necessità di collegare disuguaglianza e sviluppo economico, che in precedenza venivano trattati come questioni separate. Ma le dichiarazioni che sono state fatte nelle passate edizioni del WEF sono una cosa, i risultati e la loro messa in pratica un’altra.

Non basta fare dichiarazioni. Dobbiamo avere un calendario e degli obiettivi da raggiungere. Questa è la principale richiesta della società civile. Così come cambiano i Governi, cambiano anche gli amministratori delegati delle grandi aziende. Quindi, questo metodo di fare dichiarazioni senza aver internalizzato la realizzazione di questi obiettivi nelle strutture delle aziende e dei Governi deve finire.

Non ha senso che un amministratore delegato annunci un obiettivo, poi qualche anno dopo se ne vada e un altro prenda il suo posto e annunci gli stessi obiettivi. Nel frattempo, l’azienda è rimasta allo stesso punto. Le Nazioni Unite e la società civile stanno facendo pressione sulle aziende affinché attuino questi processi.

Quale sarà il suo messaggio al WEF?

Il messaggio è che il Brasile è tornato a svolgere un ruolo di primo piano, grazie al rafforzamento della democrazia, alla lotta contro le disuguaglianze e alla sostenibilità. Ovviamente, tradurre tutto questo in una politica efficace è la sfida più grande per il Governo. Ma l’attuazione di questa strategia non dipende solo da esso. Dipende anche dalla capacità di elaborare politiche pubbliche in stretta collaborazione con diversi segmenti della società, come le imprese e i movimenti sociali.

Ha fatto diversi annunci sulla ripresa del Fondo per l’Amazzonia – creato per raccogliere donazioni e per monitorare e combattere la deforestazione – e sul rafforzamento dei controlli ambientali. Quanto tempo ci vorrà affinché la nuova politica porti risultati e il ritmo della deforestazione diminuisca?

Nel primo Governo del presidente Lula [nel 2003], abbiamo dovuto creare da zero un’infrastruttura di protezione ambientale; all’epoca la deforestazione stava già accelerando. Nessun Governo aveva mai posto la deforestazione come priorità. Ora l’Amazzonia è in condizioni molto più gravi. Abbiamo un bilancio completamente deteriorato, servizi pubblici indeboliti e squadre smantellate. Tuttavia, abbiamo l’esperienza e sappiamo che possiamo farcela. Quello che posso dire è che faremo un lavoro coerente. Non posso parlare di date. Ma più che una data, voglio dei risultati.

Ci sono indicazioni secondo cui l’oro dell’Amazzonia potrebbe approdare nelle raffinerie svizzere. Cosa si dovrebbe fare per evitare che ciò accada?

L’estrazione dell’oro dall’Amazzonia è illegale. Viene prodotto illegalmente, su terre indigene e riserve ambientali, contaminando il suolo e i fiumi. Abbiamo immagini di bambini del popolo Yanomami [una tribù che vive nella parte settentrionale del Paese] che sembrano essere in un campo di concentramento. Le raffinerie devono assolutamente interrompere l’approvvigionamento di questa materia prima.

Cittadini e cittadine non vogliono l’oro del sangue, l’oro dei bambini che hanno la vista compromessa a causa delle miniere illegali. I prodotti chimici usati nelle miniere illegali attaccano il sistema nervoso centrale. Quattro bambini Yanomami su dieci sono contaminati da sostanze chimiche. Tutti e tutte dovrebbero preoccuparsi di questa catena di approvvigionamento e del fatto che l’oro finisce in luoghi insospettabili. Bisogna prestare attenzione a ciò che si indossa, fedi nuziali e collane. [Considerate le origini dell’oro], è probabilmente la cosa più brutta e deplorevole che si possa indossare.

Cosa possono fare multinazionali quali Nestlé o società di commercio di materie prime come Trafigura per contribuire all’agenda sul clima?

Per rispondere ai problemi del cambiamento climatico, abbiamo bisogno di Governi e aziende. Se tutti fanno il proprio dovere, saremo in grado di affrontare la sfida. Se le 20 maggiori economie del mondo si decidono ad agire, possiamo risolvere l’80% dei problemi legati al cambiamento climatico.

Il settore finanziario e le grandi aziende possono dare un grande apporto. Possono contribuire stimolando una cultura nelle persone che acquistano i loro prodotti. In secondo luogo, devono offrire costantemente prodotti di qualità e trasparenza. Ad esempio, quando un’azienda dichiara di realizzare i propri prodotti in modo sostenibile, che cosa significa esattamente? Quale percentuale della produzione totale corrisponde realmente a tale obiettivo?

Un altro aspetto sono i cittadini e le cittadine, che deve fare pressione sulle aziende. Questo significa cambiare le abitudini di produzione e di consumo. Significa anche adottare una nuova mentalità di fronte a un mondo finito e a esseri umani con un’infinita capacità di desiderare. Se desideriamo in modo sbagliato, distruggeremo le basi stesse della nostra esistenza.

L’accordo commerciale tra il Mercosur – un blocco economico e politico composto da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay – e l’Associazione europea di libero scambio è ancora presente nel dibattito ambientale? Ritiene che il commercio aumenti o riduca la deforestazione?

Dipende da come si effettua il commercio. Se si guarda solo alle proteine e alla qualità nutrizionale [di un prodotto], o alla sua qualità sanitaria, senza considerare il contesto sociale, etico, ambientale e culturale, allora il commercio può essere dannoso. Se integriamo tutti gli altri elementi, può invece essere utile. Il commercio in sé non è né buono né cattivo. Dipende da come viene condotto e dal prodotto.

Articolo a cura di Dominique Soguel eVirginie Mangin

Traduzione e adattamento dall’inglese di Luigi Jorio

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