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Quali scenari per UBS?

Reuters

Salvata dall'intervento statale nell'autunno del 2008, la banca vacilla negli Stati Uniti. UBS sta andando verso il fallimento, la nazionalizzazione, uno smembramento oppure una fase di convalescenza?

Mentre Marcel Rohner è stato sostituito dal nuovo CEO Oswald Grübel, che ha guidato il Credit Suisse fino al 2007, all’orizzonte si delineano diversi possibili scenari relativi al futuro di UBS.

Swissinfo ha interpellato su questo tema Loïc Bhend, analista finanziario presso Bordier, e Jean-Pierre Danthine, direttore dello Swiss Finance Institute.

Lo scenario del fallimento

Secondo Loïc Bhend, si tratta di una prospettiva piuttosto improbabile tenendo conto della situazione attuale. Il fallimento di UBS potrebbe essere causato da perdite enormi nel suo settore «banca d’affari», accompagnate da una mancanza di capitale per coprire tali perdite e da un disimpegno da parte dello Stato.

Ciononostante, perdite di questa entità sono oggigiorno assai meno probabili rispetto al periodo 2007/2008, soprattutto dopo che UBS ha potuto cedere buona parte dei suoi attivi tossici grazie alla Banca nazionale svizzera (Bns) e alla Confederazione.

Loïc Bhend sottolinea che la banca ha già effettuato parecchie ricapitalizzazioni, beneficiando inoltre di un prestito convertibile da parte della Confederazione dell’ammontare di 6 miliardi di franchi, per trasferire gli attivi problematici nella società appositamente costituita. Di conseguenza, in un confronto internazionale, UBS ha un indice di capitalizzazione molto elevato.

Jean-Pierre Danthine ritiene che un forte peggioramento della congiuntura potrebbe comunque indebolire la banca e i suoi concorrenti, trasformando per esempio certi attivi in attivi tossici.

Dal canto suo, Loïc Bhend sostiene che il principale rischio di fallimento per UBS è legato a un eventuale crollo della fiducia dei clienti in Svizzera, che condurrebbe a un ritiro massiccio dei loro depositi. In tal caso, l’istituto sarebbe privato di una fonte di finanziamento essenziale. L’analista afferma comunque che questo scenario, pur non potendo essere escluso, appare «abbastanza irrealistico».

Jean-Pierre Danthine sostiene che UBS è in una situazione meno difficile rispetto a sei mesi fa: «L’intervento dello Stato e della Bns l’hanno rinforzata e hanno mostrato la determinazione delle autorità a non lasciar fallire un istituto di queste dimensioni».

Lo scenario del ritiro dagli Stati Uniti

Il governo ha giustificato il recente accordo tra UBS e le autorità americane con il rischio della revoca alla banca della licenza necessaria per operare oltre Oceano. Se tale autorizzazione fosse stata ritirata, UBS non sarebbe stata in grado di rifinanziare le proprie attività statunitensi. La Confederazione avrebbe potuto fungere da supporto, ma soltanto entro certi limiti. Come tutti gli istituti, ricorda Loïc Bhend, UBS necessita infatti di una licenza bancaria per potere avere accesso al rifinanziamento delle banche centrali e ai prestiti interbancari [liquidità a corto e medio termine].

L’analista sostiene che un ritiro dagli Stati Uniti non metterebbe necessariamente in pericolo il futuro di UBS, a condizione che tale ritiro sia progressivo ed esente da debiti non pagati o da un ritiro dell’autorizzazione. In ogni caso, un’eventuale revoca della licenza non entra in linea di conto nella questione dei 52’000 conti finiti nel mirino del fisco americano, poiché si tratta di un caso di natura civile e non penale.

Lo scenario della nazionalizzazione

La statalizzazione – temporanea – di UBS è un’evoluzione credibile, ma non a corto termine: è l’opinione di Loïc Bhend, che fa dipendere questa possibilità da perdite molto importanti o da una riserva coperta in modo insufficiente a livello di capitale. Secondo Bhend, tuttavia, «la banca non si trova in questa situazione».

Ciononostante, la caduta in borsa del titolo UBS rende più verosimile l’eventualità di una nazionalizzazione: gli attuali azionisti non possono infatti effettuare una ricapitalizzazione, e soltanto lo Stato può intervenire concretamente.

Loïc Bhend giudica la nazionalizzazione una soluzione interessante soltanto se applicata a una parte dell’attività di UBS. La presenza statale rassicurerebbe infatti una parte dei clienti svizzeri, in particolare le piccole-medie imprese e i commercianti al dettaglio. Tuttavia, secondo l’analista, l’influenza dello Stato sarebbe percepita negativamente dai clienti interessati alla gestione di capitali, interessati in particolare alla discrezione e alla confidenzialità.

In assenza di una giustificazione d’interesse generale [come per le banche inglesi, che in caso contrario fallirebbero], una nazionalizzazione politica sarebbe assimilabile a una «nazionalizzazione selvaggia a scapito degli azionisti esistenti, aggiunge Bhend.

«È una questione di cultura», afferma Jean-Pierre Danthine: «Fintanto che non sarà assolutamente necessario – e attualmente non vi è alcuna indicazione in tal senso – non è certamente in Svizzera che vi saranno le prime nazionalizzazioni».

Lo scenario dell’acquisto

Secondo Loïc Bhend, questo scenario è meno plausibile rispetto a quello di una nazionalizzazione, pur considerando il basso valore attuale dei titoli UBS. Un eventuale acquirente dovrebbe infatti obbligatoriamente assumere anche la società per smaltire i titoli tossici della banca. Senza questa clausola, ritiene Bhend, una banca come HSBC sarebbe forse già passata all’atto.

Anche un’unione con il Credit Suisse appare improbabile: insieme, i due colossi costituirebbero un rischio per l’economia elvetica. Inoltre, Oswald Grüblel ha subito precisato che non vi sono simili piani.

Lo scenario dello smembramento

Anche questa eventualità appare poco probabile agli occhi di Loïc Bhend. A suo parere, la sezione «business banking» svizzera si presterebbe bene a una nazionalizzazione o a una ripartizione tra le banche cantonali (o la futura banca postale, se otterrà la licenza); anche il settore «banca di gestione patrimoniale» avrebbe dei pretendenti. Ciononostante, nessuno sarebbe pronto a farsi avanti prima del vertice del G20 e del processo a UBS che si terrà in luglio negli Stati Uniti: i dubbi concernenti il futuro del segreto bancario sono troppo importanti.

Inoltre: cosa fare del settore «banca d’affari»? Secondo Bhend, «non si può semplicemente chiuderla, continuando a farne gravare i costi sui contribuenti, senza speranza di rifarsi».

Lo smantellamento non convince nemmeno Jean-Pierre Danthine: egli rileva infatti che i mercati sono in crisi e il valore di UBS sottostimato: la vendita avverrebbe a condizioni pessime. «Preferirei piuttosto una nazionalizzazione, che perlomeno consente di attendere».

Continuare sulla base attuale

La banca potrebbe continuare a operare nella sua forma attuale, ridimensionando drasticamente il settore «banca d’affari», sottolinea Loïc Bhend. A suo parere, UBS avrebbe un vantaggio, ossia il fatto di poter contare su uffici situati in tutto il mondo. Ciò le conferirebbe una posizione privilegiata per praticare la gestione patrimoniale nel paese di residenza per clienti non coperti dal segreto bancario.

In Svizzera, i clienti sono molto critici e l’impatto dei cambiamenti in corso sugli affari non è ancora noto. Il rischio di ridimensionamento è comunque reale: «In futuro, è possibile che UBS si concentri sulla gestione patrimoniale, diminuendo le proprie dimensioni per evitare di restare un colosso che in caso di difficoltà rischia di mettere a repentaglio l’intero sistema economico svizzero».

Gli analisti pronosticano un risultato positivo per UBS nel 2009, dell’ordine di 4,5 miliardi di franchi. La direzione prevede inoltre di ottenere un utile in tutti i settori della banca: «UBS sta meglio di quanto sembra», afferma Loïc Bhend.

Resta un problema, conclude Jean-Pierre Danthine. «Qual è il progetto attuale di UBS? I problemi con il fisco statunitense mostrano che una parte del suo modello bancario non era praticabile, addirittura dannoso (…). Ciò ha comportato rischi enormi per un marchio come UBS, fondamentale per il paese. Ora stanno pagando le conseguenze. È tutto finalmente terminato? Lo spero vivamente…».

swissinfo, Pierre-François Besson
(traduzione e adattamento: Andrea Clementi)

18 febbraio:
Accordo extragiudiziale fra UBS e il Dipartimento federale di giustizia americano.

UBS è obbligata a fornire i dati di 250-300 clienti alle autorità statunitensi e a pagare 780 milioni di dollari per evitare un procedimento penale.

L’accordo è approvato dall’autorità federale di vigilanza sui mercati finanziaria (FINMA).

19 febbraio:
Il Dipartimento federale di giustizia statunitense inoltra una denuncia civile contro la banca svizzera per obbligarla a comunicare l’identità di 52’000 titolari di “conti segreti illegali”, per un totale di 14,8 miliardi di dollari.

Del caso si occuperà la Corte federale di Miami, in Florida. UBS ha tempo fino al 30 aprile per presentare la sua difesa.

20 febbraio:
Il Tribunale amministrativo federale (TAF) vieta provvisoriamente alla FINMA di consegnare alle autorità fiscali americane i documenti bancari di otto clienti UBS.

Il TAF accoglie una denuncia collettiva presentata precauzionalmente il 18 febbraio contro la decisione della FINMA, che pregiudicherebbe le conclusioni della procedura penale in corso negli USA.

La FINMA risponde di aver già tuttavia trasmesso i dati alle autorità americane il 18 febbraio.

24 febbraio:
Lo studio di avvocatura Rüd Winkler Partner, legale degli otto clienti che si sono rivolti al TAF, inoltra una denuncia penale presso il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) contro i vertici di UBS e la FINMA.

La denuncia coinvolge pure il presidente del consiglio di amministrazione di UBS Peter Kurer e il presidente della FINMA Eugen Haltiner, accusati di aver violato il segreto bancario con la trasmissione di dati alle autorità fiscali americane.

La piazza finanziaria è un pilastro dell’economia svizzera per quanto riguarda l’occupazione, il valore aggiunto nonché il gettito fiscale. Con un tasso d’occupazione del 6% pari a 192 mila 900 impieghi (cifre del 2007), questo settore produce il 14% del valore aggiunto dell’economia svizzera.

Oltre la metà del valore aggiunto delle banche è dovuta alla forza tradizionale della piazza finanziaria, ossia la gestione patrimoniale. La Svizzera è il leader mondiale in questo ramo commerciale molto conteso.

Alla fine del 2005 il valore dei titoli gestiti nei depositi clienti delle banche svizzere, ammontava a oltre 4300 miliardi di franchi. Se ai titoli gestiti in depositi bancari, si aggiungono anche gli averi fiduciari, i conti di risparmio e i depositi a vista, alla fine del 2005 le banche svizzere gestivano un importo pari a oltre 5900 miliardi di franch

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