Un surriscaldamento climatico da frenare

L'attività umana è la principale responsabile del surriscaldamento del pianeta. E' questa una delle constatazioni del terzo rapporto del gruppo intergovernativo d'esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) presentato lunedì a Berna. Senza misure politiche a protezione del clima, l'aumento nei prossimo secolo potrebbe essere anche di 6 ° C. La Svizzera e la zona alpina sono tra le regioni particolarmente minacciate.
Una conferma preoccupante
La realtà che scaturisce dal rapporto degli scienziati del IPCC è piuttosto allarmante. L’utilizzo dei combustibili fossili (come carbone, petrolio, benzina e gas) nei vari processi di produzione o nella vita di tutti i giorni è il principale fattore di surriscaldamento climatico della terra. E il fenomeno sta assumendo un’andatura pericolosamente esponenziale.
Il decennio tra il 1990 e il 1999 è stato il più caldo del millennio (record assoluto per il 1998). La temperatura media sulla superficie terrestre è aumentata di 0.6° C nel corso del XX secolo. Lo spessore della coltre nevosa e la superficie dei ghiacciai sulle Alpi si riducono costantemente. Lo spessore del ghiaccio nell’oceano Artico si è ridotto del 40 %. I mari si sono riscaldati e il loro livello, a causa dello scioglimento dei ghiacci, si è innalzato.
Se la tendenza constatata non verrà in qualche modo smorzata, il ritmo di questa evoluzione s’impennerà. Secondo Fortunat Joos, vice presidente del gruppo di lavoro IPCC, “se non si proteggerà il clima, la temperatura media sulla superficie del pianeta aumenterà nei prossimi cento anni ad un ritmo da 2 a 10 volte superiore a quello del XX secolo”. Ciò che potrebbe significare un aumento di più di 6° C, con conseguenze disastrose per la vivibilità del pianeta.
Effetti maggiori per la Svizzera ?
Questi cambiamenti climatici sono già percepibili anche in Svizzera. Gli effetti sul delicato ecosistema alpino potrebbero però essere anche più importanti rispetto alla media mondiale. Tra il 1961 e il 1990, le temperature in Svizzera sono aumentate di 1 °C, ben più che l’incremento registrato a livello mondiale. Lo stesso dicasi per le precipitazioni, che sono progredite del 12 %, mentre l’aumento medio mondiale, sempre per il XX secolo, è del 5-10 %.
Le conseguenze per la realtà alpina potranno riguardare molti aspetti: risorse d’acqua, agricoltura, ecosistemi, foreste e salute pubblica. Secondo gli esperti, nei prossimi 50-100 anni, il clima in Svizzera potrebbe avvicinarsi al modello mediterraneo di oggi: riscaldamento medio di circa 3-5 ° C, precipitazioni più abbondanti in inverno ma in diminuzione durante l’estate. Ma anche un incremento della frequenza e dell’intensità di tempeste ed altri estremi climatici che, vedi Lothar nel 1999 o le alluvioni in Ticino e Vallese nel 2000, possono essere all’origine di veri e propri disastri ambientali.
Questo nuovo potenziale clima avrà importanti ripercussioni socioeconomiche sulla Svizzera. Il turismo invernale, soprattutto in quelle località al di sotto dei 1200 metri di altitudine, potrà trovarsi in gravi difficoltà a causa dell’innalzamento del limite delle nevicate. Come riciclare queste regioni? Come gestire la produzione di energia idroelettrica nei momenti di domanda di punta, se la struttura temporale delle precipitazioni sarà rivoluzionata rispetto ad oggi ? Lo scioglimento dei ghiacciai e la diminuzione del permafrost potrànno inoltre rendere il terreno più instabile e, quindi, aumentare il pericolo di smottamenti e altri disastri naturali.
Un trend che può ancora essere frenato
Il professore Eberhard Jochem, anch’esso vice presidente del gruppo di lavoro del IPCC, ha sottolineato il nostro ruolo di garanti della salute del pianeta, in vista di una sua preservazione per le future generazioni. “L’uomo può ancora, attraverso i suoi comportamenti e le sue scelte, influenzare la rapidità e l’intensità dei mutamenti climatici, limitandone così i danni a lungo termine”. Un aspetto positivo: il professore dell’ETH Zurigo ha rilevato come, lentamente ed almeno per quel che concerne i paesi industrializzati, l’introduzione di nuove tecnologie risparmiose in energia e materie prime o generatrici di limitate emissioni nocive, sta divenendo interessante anche da un punto di vista puramente microeconomico. La speranza è dunque quella che anche imprenditori attenti unicamente al corto termine possano contribuire allo sforzo, che necessariamente dovrà essere mondiale, di riduzione delle emissioni.
Dal punto di vista politico, l’ambasciatore Beat Nobs, capo della divisione affari internazionali dell’Ufficio federale dell’ambiente, delle foreste e del paesaggio, ha approvato il rapporto IPCC e ne ha lodato la chiarezza e l’importanza per il rilancio della questione presso l’opinione pubblica. Beat Nobs ha ricordato che la Svizzera si è dotata nel maggio del 2000 della legge sul CO2, con l’obiettivo di ridurre le emissioni d’anidride carbonica del 10 % rispetto al 1990 entro il 2010. Tale obiettivo è tutt’ora giudicato raggiungibile.
Gli sforzi maggiori a proposito del surriscaldamento climatico del pianeta saranno comunque da compiere a livello internazionale. Dopo il fallimento l’anno scorso dei negoziati dell’Aja, le discussioni riprenderanno in luglio a Bonn, dove si tenterà di trovare un accordo quanto all’applicazione del protocollo di Kyoto del 1997, trattato che fissa degli obiettivi di riduzione delle emissioni per ogni singolo paese industrializzato. Anche questa volta, non sarà facile combinare gli interessi di tutte le parti in gioco. Speriamo che i negoziatori rammentino che, bene o male, purtroppo o per fortuna che dir si voglia, di pianeta “terra” ne abbiamo solo uno. E dobbiamo gestirlo in comune, possibilmente nel miglior modo possibile.
Marzio Pescia

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