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Fondi etici in forte crescita, ma molto resta da fare

È difficile dire se certi capi, soprattutto made in China, sono stati fabbricati nel rispetto dei lavoratori swissinfo.ch

Gli investimenti in società che non violano i diritti umani e rispettano l'ambiente interessano sempre di più anche in Svizzera.

Stando a un rapporto appena pubblicato, alcuni grandi gestori di capitali considerano ormai anche ecologia e sostenibilità per i loro investimenti. Ma il risultato resta una goccia nel mare.

In Svizzera, gli investimenti sociali ed ecologici stanno prendendo sempre più piede, anche se non rappresentano più dell’1% del totale. Negli ultimi cinque anni, il loro volume è aumentato del 240%.

A rivelarlo è uno studio commissionato dalla fondazione Ethos, dalle società d’investimento SAM e Swisscanto e dalle banche Sarasin, UBS e BCZ.

Pubblicato il 18 aprile, lo studio rivela che gli investimenti «eticamente sostenibili» rendono quanto quelli tradizionali. Il mondo della finanza sembra dunque scoprire che ecologia e sostenibilità non fanno bene solo alla coscienza, ma anche al portafoglio.

Magliette per i mondiali

La maggiore attenzione agli investimenti sostenibili è stata messa in luce di recente anche da uno studio pubblicato dalla banca svizzera Sarasin.

Coi mondiali di calcio alle porte, la Sarasin ha voluto gettare uno sguardo dietro le quinte della produzione di accessori e magliette per gli appassionati del pallone. Il settore tessile è uno dei più globalizzati e la sua reputazione etica non è certo delle migliori.

Lo studio ha rivelato che marchi conosciuti, quali Adidas, Nike e Puma, hanno fatto passi avanti, rispetto a 10 anni fa, riguardo al lavoro minorile.

«Non diciamo certo che è tutto rose e fiori», ammette Erol Bicelen, del dipartimento marketing della banca Sarasin, «ma ci sono compagnie che almeno pensano in modo un po’ più equo e solidale di prima», dice a swissinfo.

Salari minimi e diritti sindacali

Anche una ONG che opera per lo sviluppo sostenibile come la Dichiarazione di Berna può confermare che ci sono meno bambini costretti al lavoro nel mondo.

«Ma la cosa è dovuta principalmente ai processi che sono stati fatti. Restano però alcuni problemi maggiori, come i salari, gli orari di lavoro, il diritto dei lavoratori di riunirsi in sindacati», sottolinea Stefan Indermühle, coordinatore della campagna «Clean Clothes» dell’ONG svizzera. Uno dei paesi più problematici, come risulta anche dallo studio della Sarasin, è la Cina.

Ma quanto mito e quanta realtà stanno dietro questi studi? Non è che servano solo a lavare la coscienza di chi si illude di arricchirsi senza pesare sulla parte più povera del pianeta?

Le azioni «peccaminose»

Gli investimenti sociali e responsabili sono nati negli anni ’20 in Inghilterra, dove la Chiesa Metodista cominciò ad evitare di comprare azioni e titoli «peccaminosi», legati al commercio di alcool, di tabacco o delle armi. L’attaccamento ai valori religiosi è da sempre molto vivo pure negli Stati Uniti, anche prima del Proibizionismo.

Nei paesi anglosassoni esiste dunque una più lunga tradizione di investimenti «equi», che spiega come mai si arrivi anche a punte dell’8-9% degli investimenti totali. In Svizzera non superano l’l%.

«Finora le casse pensioni svizzere non hanno mostrato un grande attivismo etico», sottolinea in proposito Andreas Missbach, responsabile del settore finanze presso la Dichiarazione di Berna.

La definizione di «sostenibilità»

Certo già la definizione di cosa sia un fondo «sostenibile» è molto larga. Negli USA anche un fondo che escluda semplicemente l’industria del tabacco è già considerata equo. In Svizzera, invece, un tale investimento deve perlomeno provare un minimo di impegno verso lo sviluppo sostenibile, per definirsi equo.

La Dichiarazione di Berna resta però scettica: «Credo che molte persone, anche in Svizzera, non acquistino esattamente il prodotto che vorrebbero – dice l’esperto di finanze dell’ONG – perché la gran parte dei fondi ha nel proprio portafoglio grosse compagnie quotate in borsa, la cui coscienza di sviluppo sostenibile è perlomeno discutibile».

Fare affari con l’ecologia

Ivo Knoepfel, direttore dell’agenzia indipendente di consulenza d’investimenti sostenibili «onValues», spiega a swissinfo che non bisognerebbe però nemmeno sminuire troppo il trend dei fondi etici.

«Le statistiche ufficiali spesso sono troppo pessimistiche, perché fanno vedere solo quella percentuale di fondi specializzati che si auto-dichiarano sostenibili», e che non sono che la punta dell’iceberg del fenomeno.

«Pian piano gli investitori stanno realizzando la portata della globalizzazione e che alcune realtà – continua Knoepfel – come i cambiamenti climatici potrebbero avere davvero impatti enormi su alcuni settori economici. E dunque in silenzio, senza fare troppi annunci pubblici, stanno cominciando a tener conto di questi fattori».

Non è quindi che i gestori di capitali abbiano avuto una crisi d’identità e si preparino a diventare tutti buoni: «Aprendo le sezioni finanziarie dei principali giornali si vede un’inserzione dopo l’altra di prodotti che invitano ad investire nelle energie rinnovabili, nella biomassa, o sul tema della scarsità dell’acqua. In alcuni di questi settori si possono ottenere semplicemente degli ottimi redditi finanziari», conclude l’analista.

swissinfo, Raffaella Rossello

Gli investimenti etici sono nati con motivazioni religiose negli anni ’20 nei paesi anglosassoni, dove rappresentano oggi circa l’8% del totale. In Svizzera costituiscono meno dell’1%.

La definizione di questi fondi è molto generosa negli Stati Uniti, dove un fondo che esclude l’industria del tabacco è già definito “etico”. In Svizzera, un fondo etico deve dimostrare un certo impegno verso lo sviluppo sostenibile.

Lo studio appena pubblicato rivela che i rendimenti di questi fondi, scelti soprattutto dai grandi investitori istituzionali, sono paragonabili a quelli dei fondi tradizionali.

In Svizzera, i fondi etici hanno superato di poco la soglia dei 10 miliardi di franchi.
L’aumento percentuale è spettacolare, ma nell’insieme restano modesti.
Il 77% sono costituiti da azioni e il 12% da obbligazioni.
Gran Bretagna, Svezia, Francia e Belgio sono i paesi all’avanguardia.

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