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Franco Cavalli tra medicina e solidarietà

L'oncologo ticinese Franco Cavalli neo presidente dell'UICC. Una vita tra medicina, solidarietà, politica e famiglia. RDB

L'oncologo svizzero Franco Cavalli è il nuovo presidente dell'Unione internazionale contro il cancro, che si è riunita venerdì a Washington.

Un’altra importante sfida, dunque, per il direttore dell’Istituto oncologico della Svizzera italiana, centro di cura e di ricerca di eccellenza rinomato a livello mondiale.

“Cavalli, se continua così, a voler fare delle rivoluzioni, la butteranno fuori”. Sono le parole che un vecchio primario dell’ospedale di Bellinzona rivolse al giovane medico Franco Cavalli che, all’età di 36 anni, stava gettando le basi per lo sviluppo dell’oncologia in Ticino. Allora non esisteva neppure un reparto per i malati di cancro.

E di rivoluzioni, Franco Cavalli, ne ha davvero compiute; il suo impegno professionale e personale porta i colori dell’idealismo ed è ancorato a sinistra con la sua attività di parlamentare socialista. Ci incontra nel suo studio di Bellinzona, poco prima di spiccare il volo per Washington.

swissinfo: Medico, politico, terzomondista, padre: come fa a conciliare tutti questi ruoli?

Franco Cavalli: E’ una domanda ricorrente e mi chiedo sempre perché me la fanno. Certo, ci sono dei giorni in cui ho l’impressione di essere sovraccarico e ci sono giorni in cui anche io posso perdere le staffe perché ci sono molte, troppe cose da seguire.

Ma, generalmente, non ho l’impressione di vivere in uno stato costante di stress. Occorre, naturalmente, una buona organizzazione a livello mentale e a livello di gestione del tempo. Ma ciò che più conta è la capacità di delegare con fiducia.

swissinfo: Quale è il ruolo più difficile?

F.C.: Quello di padre. Le domande da porsi sono tante e a volte, quando mi guardo allo specchio, mi chiedo se ho fatto tutto quello che dovevo fare. Se ho compiuto le scelte giuste, se ho esplorato tutte le possibilità.

In politica si possono compiere sbagli, ma poi si dimenticano. Con i pazienti occorre certamente la massima attenzione. Però quando si sbaglia con i propri figli il peso del tormento è indiscutibilmente maggiore. Per me la famiglia è fondamentale. E’ il porto degli affetti, è sapere dove uno sta di casa.

swissinfo: Il Ticino è diventato un centro di eccellenza mondiale nella ricerca e nella lotta contro il cancro. Come è stato possibile in una realtà tutto sommato assai provinciale?

F.C.: A parte una certa dose di fortuna che ci vuole sempre, c’è stato un concorso di circostanze che ne hanno permesso lo sviluppo. A cominciare dall’assenza di un’università in Ticino e, in particolare, di una facoltà di medicina che avrebbe potuto mettermi i bastoni tra le ruote.

Non per niente i due centri che negli ultimi 25 anni hanno maggiormente sviluppato la ricerca di nuove terapie nei tumori sono stati il Ticino e San Gallo. Due realtà senza, appunto, una facoltà di medicina.

Ho inoltre avuto la fortuna di avere collaboratori e collaboratrici di primo piano provenienti dall’Italia che in Ticino hanno trovato un luogo ideale per la ricerca, senza dover emigrare oltre oceano.

Fin dall’inizio ho costruito una struttura su tutto il territorio cantonale; così è stato possibile riunire una massa critica importante.

Oggi, il nostro servizio drena 400 mila abitanti in Svizzera, ma per tutta una serie di patologie e di studi e grazie alla rete di contatti con l’Italia possiamo praticamente contare su un retroterra di svariati milioni di persone.

swissinfo: Come valuta la politica della ricerca in Svizzera?

F.C.: In Svizzera si fa molta buona ricerca, soprattutto a livello di laboratorio, dove gli esiti sono davvero altissimi e di spessore mondiale. L’anello debole è la ricerca clinica.

Questo è in buona parte dovuto alle facoltà di medicina, che non si sono rese conto che il mondo è cambiato. In questo discorso si inseriscono anche ragioni di potere finanziario dei baroni della medicina. Baroni che non hanno saputo, o voluto, creare quelle nuove strutture necessarie alla ricerca.

swissinfo: Quale è il suo sguardo sul sistema sanitario svizzero, a diversi anni dalla bocciatura dell’iniziativa che proponeva di pagare i premi delle casse malati in base al reddito?

F.C.: Il sistema sanitario svizzero è sicuramente di alta qualità. Ma è troppo caro per quello che produce e ci sono troppi sperperi. Il suo finanziamento, inoltre, è ingiusto perché pesa troppo sulle spalle della classe medio-bassa.

Sperperi e finanziamento a lungo andare minano il nostro sistema sanitario, che prima o poi dovrà essere profondamente riformato. Pena una situazione ingestibile e una medicina palesemente a due velocità.

swissinfo: L’idealismo è alla base del suo impegno in Centro America. Come è partita questa avventura di solidarietà?

F.C.: Nel processo di politicizzazione attraverso il quale sono passato, Vietnam e Algeria hanno giocato un ruolo fondamentale. Le vie della vita mi hanno poi portato, nel 1985, in Nicaragua dove ho visto una situazione di grande emergenza.

L’idea è di allargare l’impegno sanitario alla lotta contro l’Aids e di inserirci nei grandi processi di cambiamenti che riguardano l’America latina. Stiamo dunque tessendo delle relazioni con Venezuela e Bolivia ed intensificando quelle con Cuba.

swissinfo: Ai suoi pazienti, fra i quali anche casi disperati, dice sempre la verità?

F.C.: Cerco di non dire bugie, che è diverso dal dire la verità. Un conto è nascondere ad un paziente la presenza di un tumore – cosa che non faccio mai – un conto è sfumare sull’aspettativa di vita. Se ad un paziente resta solo un mese da vivere, posso benissimo dirgli che sono sei.

Non bisogna mentire, perché la menzogna destabilizza il rapporto di fiducia tra medico e paziente. Ma è anche sbagliato fare la “macchina sputa statistiche” come spesso accade negli USA, più per tranquillizzare la propria coscienza di medico che non per aiutare il paziente.

Io credo che la via migliore sia quella di lasciare gestire al paziente il proprio bisogno di verità e di conoscenza. Ed essere pronti a rispondere.

swissinfo, Françoise Gehring, Bellinzona

Franco Cavalli nasce a Locarno nel 1942.
Dal 1978 è primario dell’oncologia medica presso l’Ospedale San Giovanni di Bellinzona.
Dal 1981 organizza ogni tre anni il Congresso Internazionale sui Linfomi Maligni a Lugano, principale riferimento mondiale in quel campo.

Direttore dell’Istituto oncologico della Svizzera italiana (IOSI) – inaugurato nel 2003 – Franco Cavalli è un uomo di impegni, di lotte, di passioni e solidarietà.

Padre di sette figli, divide la sua vita tra ospedali, famiglia e politica. Nel 1995 è eletto in parlamento sulla lista del Partito socialista, di cui sarà anche Capo gruppo.

Ha effettuato la sua formazione in medicina interna e oncologia medica a Berna, Milano, Bruxelles e Londra. E’ autore o co-autore di oltre 400 articoli scientifici e di 4 libri.

Dal 7 luglio assume la presidenza dell’Unione internazionale contro il cancro (UICC), che riunisce 270 organizzazioni in rappresentanza di oltre 80 paesi.

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