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Friburgo patria dei diritti culturali

Il diritto all'educazione (nella foto una scuola di Mogadiscio) è uno dei principali diritti culturali Keystone

Forse tra i diritti dell'uomo più sottovalutati, i diritti culturali hanno ormai un nuovo strumento che li difende: la Dichiarazione di Friburgo.

Uno strumento ancor più necessario in quest’epoca di grandi migrazioni e di tensioni culturali, che mettono a dura prova l’identità di ogni individuo.

“I diritti culturali sono sempre stati un po’ l’ultimo anello di una catena. Si parla di diritti politici, civili, economici, sociali… ma i diritti culturali sono sempre stati un po’ trascurati”, afferma ai microfoni della Televisione svizzera di lingua italiana Stefania Gandolfi, professoressa all’Università di Bergamo.

Diritti che sono sì riconosciuti in diverse risoluzioni e dichiarazioni nell’ambito del sistema normativo delle Nazioni Unite, come ad esempio nella Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, ma che finora non erano mai stati trattati in modo specifico.

Una lacuna oggi colmata grazie alla Dichiarazione di Friburgo, frutto di un lavoro iniziato vent’anni fa e portato avanti dal cosiddetto “gruppo di Friburgo”, un gruppo internazionale di esperti organizzato a partire dall’Istituto interdisciplinare di etica e dei diritti dell’uomo (IIEDH) dell’omonima università svizzera.

Un solo strumento

Rispetto della propria identità culturale, libertà di identificarsi o meno a una comunità culturale senza considerazione di frontiera, di accedere e partecipare alla vita culturale, diritto di ricevere un sapere relativo alla propria cultura, diritto all’informazione… Composta di 12 articoli, la Dichiarazione di Friburgo definisce ed enuncia i diritti culturali che devono essere garantiti a tutti, nonché le responsabilità che incombono agli attori pubblici e privati.

La dichiarazione – scrivono gli autori – “raccoglie ed esplicita i diritti che sono già riconosciuti, ma in modo sparso, in numerosi strumenti. Un chiarimento è necessario per dimostrare l’importanza cruciale di questi diritti culturali nonché delle dimensioni culturali degli altri diritti dell’uomo”.

Inoltre, gli autori sottolineano la necessità di ancorare meglio questi diritti nel sistema dei diritti dell’uomo. In caso contrario, il recente sviluppo della protezione della diversità culturale – che ha il suo caposaldo nella Dichiarazione universale sulla diversità culturale dell’UNESCO del 2001 – potrebbe deviare verso un relativismo culturale preso in prestito per giustificare tutte le nefandezze.

Diritti “svuotati di senso”

Il testo vuole essere soprattutto uno strumento di promozione dei diritti culturali destinato agli Stati, alle organizzazioni non governative e al settore privato e non ha nessun carattere vincolante.

Diritti che nella maggior parte dei paesi sono formalmente garantiti, ma poi molto spesso “svuotati di senso”, come scrive in un rapporto su alcuni paesi africani l’Osservatorio della diversità e dei diritti culturali dell’IIEDH.

In Mali, ad esempio, mancano istituzioni scolastiche per le popolazioni nomadi. In Mauritania, il potere militare ha imposto la lingua araba come lingua ufficiale, ciò che sfavorisce la popolazione nera africana, che si destreggia meglio in francese. In molti paesi l’informazione è monopolizzata dal potere.

Non mancano naturalmente anche esempi positivi, come dei progetti per insegnare nelle lingue locali in Burkina Faso e in Mali o la creazione dell’Accademia di Lingua e Cultura in Ruanda.

Tutt’altro che secondari

Quando ogni giorno giungono notizie di massacri, di carestie, di violazioni di ogni tipo dei diritti umani più elementari, promuovere i diritti culturali potrebbe sembrare a prima vista una preoccupazione secondaria.

Un giudizio poco lungimirante, secondo gli autori della dichiarazione, i quali si dicono convinti che “le violazioni dei diritti culturali provocano tensioni e conflitti di identità e che sono alcune delle cause principali della violenza, delle guerre e del terrorismo”. In altre parole, umiliare collettivamente una comunità è il miglior modo per suscitare l’odio e l’incomprensione reciproca.

Inoltre in un’epoca contraddistinta da grandi migrazioni e da scontri culturali, “la nostra identità già così fragile è messa ancora a più dura prova” – afferma Stefania Gandolfi. Proprio per questo, osserva la professoressa di Bergamo, “è così importante educare ai valori culturali”.

swissinfo, Daniele Mariani

L’istituto fa parte dell’Università di Friburgo ed è una delle cattedre internazionali dell’Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Uniti per l’educazione, la scienza e la cultura, per promuovere attività di ricerca sulle tematiche dei diritti dell’uomo e delle diversità culturali.

L’istituto comprende anche l’Osservatorio della diversità e dei diritti culturali, nato sullo slancio dei lavori del cosiddetto “gruppo di Friburgo”, un gruppo internazionale di esperti che all’inizio degli anni ’90 ha iniziato a definire i diritti culturali e ad elaborare la Dichiarazione dell’Unesco sulla diversità culturale.

Questa struttura riunisce una trentina di osservatori nei cinque continenti che si occupano di analizzare la situazione nei diversi paesi e di elaborare delle strategie per salvaguardare e promuovere i diritti culturali.

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