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G8, scontro sulla globalizzazione

Carlo Giuliani, vittima dei violenti scontri che hanno funestato il vertice di Genova Keystone

I grandi del G8 si erano impegnati a combattere povertà e inquinamento - ma del vertice di Genova si ricordano soprattutto le scene di violenza tra contestatori e forze dell'ordine.

Il cadavere di Carlo Giuliani, 23 anni, disteso in una pozza di sangue, attorniato da poliziotti in assetto antisommossa. È l’immagine che, venerdì 20 luglio, ha fatto il giro del mondo. Ed è quella che rimarrà più impressa nella mente, a ricordo degli scontri che hanno funestato il vertice dei leader delle massime potenze industriali del mondo.

Giuliani, come decine e decine di migliaia di altri manifestanti, era un oppositore della globalizzazione, del primato dei valori economici sulle strategie per il futuro dell’umanità. Ma la sua protesta fu brutalmente troncata da una pallottola sparata da un giovane come lui, che – impaurito, si dice, o forse impreparato – si trovava sull’altro fronte, a difendere i valori del sistema.

Un fatto tragico, che non ha però impedito ai grandi del mondo di discutere, e di scontrarsi a loro volta, su alcuni dei grandi temi che preoccupano il mondo. La salute, la protezione dell’ambiente, la povertà, le crisi politiche e i dispositivi di difesa, e naturalmente l’economia, con il rallentamento della congiuntura e la necessaria riforma dell’architettura finanziaria internazionale.

Un fondo anti Aids e un compromesso su Kyoto

Nato nel 1975, per far fronte alla crisi petrolifera, dall’incontro dei leader di Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Giappone e Italia, il gruppo delle grandi nazioni industrializzate – alle quali si sono in seguito aggiunti il Canada, l’Ue e la Russia – si è sempre occupato, anno dopo anno, delle grandi questioni politiche ed economiche. Ma, di volta in volta, il G8 si è chinato anche su altri temi importanti.

Nel 2000, per esempio, ha varato la cosiddetta “Carta di Okinawa” sulla società dell’informazione globale, una strategia per ridurre il “divario informatico” tra paesi ricchi e poveri. Mentre dal vertice di Colonia, dell’anno precedente, erano scaturite “Mete e Obiettivi per l’apprendimento continuato”, che dovrebbero facilitare a tutti gli abitanti della Terra l’accesso a un’efficiente formazione scolastica e professionale.

E anche quest’anno, tra i risultati del vertice di Genova, si annovera la creazione di un fondo per la lotta contro le grandi malattie epidemiche del nostro tempo, come l’AIDS, la malaria e la tubercolosi, che colpiscono soprattutto i paesi più poveri. Ma sulla lotta contro l’effetto serra, uno degli altri grandi temi in agenda, il vertice ha partorito soltanto un magro compromesso, senza riuscire a superare le divergenze sul protocollo di Kyoto tra i paesi europei e gli Stati Uniti.

Genova, due giorni di guerriglia urbana

Più che sulle decisioni dei leader mondiali, l’attenzione dell’opinione pubblica si è però presto focalizzata sugli scontri di piazza e sulle polemiche tra le autorità e il Genoa Social Club, che si rinfacciano reciprocamente la responsabilità della violenza, della repressione poliziesca e della morte del giovane manifestante,

Il Genoa Social Club, che ha coordinato le manifestazioni, è l’organizzazione che raggruppa quasi 1200 associazioni antiglobalizzazione, in parte già presenti a Seattle, nel 1999. Lì, in occasione della conferenza dell’OMC, era infatti nato il movimento di protesta contro la mondializzazione, poi estesosi ad altri summit economici, come quelli di Washington, di Praga, di Goteborg, di Davos.

A Genova, il movimento si è presentato con centinaia di migliaia di manifestanti, tra i quali però c’erano anche i famigerati Black Bloc, gli anarchici spaccatutto la cui tattica è di distruggere vetrine e bruciare automobili, prima di disperdersi tra la folla. Così, anche i dimostranti più pacifici, oltre che vedersela con gli stessi anarchici, si sono trovati confrontati alla dura repressione poliziesca.

Gli eccessi di violenza scatenati da poche centinaia di facinorosi hanno così messo a ferro e fuoco Genova, che per un paio di giorni si è trovata letteralmente in preda alla guerriglia urbana. Pesante il bilancio dei disordini: un morto, 560 feriti, 300 arresti o fermi di polizia e danni stimati ad almeno 50 miliardi di lire.

Una protesta senza risultati

I fatti di Genova non hanno prodotto grandi risultati, nell’ottica delle rivendicazioni degli oppositori alla globalizzazione. “La conferenza dell’OMC che si è svolta a Doha, dopo il vertice del G8”, ci dice Beat Kappeler, economista ed editorialista della Weltwoche e di Le Temps, “mostra che il movimento di opposizione non fa presa sulla realtà e che i governi sono determinati a sviluppare gli scambi e ad aprire le frontiere”.

“D’altronde”, continua Kappeler, “gli oppositori, secondo i quali la mondializzazione impoverisce i paesi e distrugge l’ambiente, propongono una sola ricetta: la cosiddetta tassa Tobin, che prevede il prelievo dell’uno per mille sulle transazioni di divise – come se questo rimedio potesse risanare una situazione che gli stessi antiglobalizzatori ritengono catastrofica”.

E l’economista sottolinea, dati alla mano, come nei paesi poveri che partecipano alla mondializzazione la crescita economica sia molto accentuata, a volte addirittura superiore a quella dei paesi industrializzati. “Anzi,” insiste Kappeler, “anche gli abitanti più poveri evolvono al ritmo di questi paesi”.

La complessa causa degli antiglobal

In effetti, “la mondializzazione è un fenomeno molto complesso” anche secondo Jean Jacques Friboulet, docente di economia politica all’Università di Friburgo, “che tocca diversi campi: economico, politico, culturale. E anche al solo livello economico, la mondializzazione presenta di versi aspetti: quello dei mercati, delle tecniche di informazione, quello degli strumenti di regolazione. O quello della costruzione dell’Europa, perché anche l’introduzione dell’Euro” per il professor Friboulet “è una forma di mondializzazione.”

“E anche nell’ambito del movimento antimondializzazione” continua l’economista “ci sono molte correnti. C’è chi si oppone al trasferimento di poteri a organismi soprannazionali. Altri invece sono contrari alla mondializzazione, proprio perché non c’è abbastanza regolazione a livello internazionale, per esempio per quanto concerne la protezione dell’ambiente. Per i movimenti di estrema sinistra, bisognerebbe imporre il controllo della grandi imprese multinazionali. Mentre i gruppi di carattere etico e sociale, contrari alla globalizzazione dettata dai paesi ricchi, vorrebbero attribuire un ruolo molto più importante a organizzazioni quali l’ONU, l’OMC, il BIT e così via.”

Infine, ci sono forti differenze anche tra gli stessi paesi confrontati al fenomeno della mondializzazione: “Solo per citare i paesi del sud, ci sono quelli più poveri” spiega il professor Friboulet “che vogliono accedere ai mercati internazionali, in particolare per i loro prodotti agricoli. Ci sono anche paesi di una certa importanza, come l’India o il Brasile, che per salvaguardare la loro posizione non vogliono un’apertura troppo rapida. Mentre la Cina e certi paesi asiatici sono favorevoli al libero scambio, ma chiedono anche una contropartita, come l’accesso alle nuove tecnologie”.

Globalizzazione, mondializzazione: termini che definiscono un fenomeno complesso, discutibile, interpretabile. Un fenomeno che però, a Genova, non ha suscitato alcun dialogo tra fautori e oppositori, ma soltanto scontri violenti. Ora, in Italia, rimangono aperte inchieste a vari livelli per cercare di fare luce sulle drammatiche vicende di Genova. E mentre la mondializzazione, dopo il vertice del G8, ha già compiuto altri passi avanti a Doha e a Laeken, tra gli antiglobalizzatori proseguono le discussioni sul futuro del movimento.

Fabio Mariani

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