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Ghiacci e modelli fanno fondere i ricercatori svizzeri

I ricercatori studiano il clima del passato analizzando le carote di ghiaccio, come qui sul colle Gnifetti sul Monte Rosa Keystone

Nelle scienze legate al clima, la ricerca svizzera figura tra i primi al mondo nella disciplina della paleoclimatologia e della simulazione numerica.

Ne parliamo con Martin Beniston, responsabile degli studi sui cambiamenti e gli impatti climatici all’Università di Ginevra.

Climatologo e fisico dell’atmosfera, Martin Beniston – di triplice nazionalità (svizzera, britannica e francese) – è uno dei pochi esperti in Svizzera dotati di una visione globale sulla ricerca climatica elvetica.

swissinfo: Ci parli dei punti forti della ricerca elvetica in materia di clima…

Martin Beniston: Ci sono innanzitutto i ricercatori in paleoclimatologia (tra le 50 e le 70 persone), i quali ricostruiscono i diversi climi del passato. L’Università di Berna, in particolare il gruppo di Thomas Stocker, si è distinta a più riprese con lavori effettuati sulle carote di ghiaccio estratte in Groenlandia e in Antartide. La ricostruzione delle condizioni climatiche nel passato ci dà un’idea della variabilità naturale del clima in assenza di effetti umani. È un ambito della ricerca molto importante, nel quale la Svizzera gode di una fama internazionale.

Per ciò che riguarda il futuro, vari gruppi (da 30 a 50 ricercatori) lavorano sulla modellizzazione e sulla simulazione dell’evoluzione climatica, soprattutto in risposta all’aumento dei gas ad effetto serra. In questa disciplina rientrano le simulazioni su scala globale – che utilizzano modelli planetari – e i modelli regionali. Quest’ultimi si indirizzano a ricerche più precise e dettagliate sull’Europa o l’Arco alpino. A questo proposito bisogna citare il lavoro svolto dal Politecnico federale di Zurigo e dall’Università di Ginevra.

Un terzo settore, che coinvolge centinaia di ricercatori, si occupa invece degli impatti dei cambiamenti climatici. Si tratta di ricerche molto diversificate, a volte monodisciplinari, ma molto più spesso inter- o pluridisciplinari.

swissinfo: In termini di numero di pubblicazioni e di partecipazioni a programmi internazionali nell’ambito della paleoclimatologia e della simulazione climatica la Svizzera è tra i migliori al mondo. Per quali ragioni?

M. B.: Prima degli anni Novanta, una delle caratteristiche della Svizzera era la raccolta di dati climatici e paleoclimatici estremamente precisi. Un lavoro da orologiaio.

La qualità di un numero impressionante di dati ha fatto avanzare le nostre conoscenze sul funzionamento del clima e sulla sua evoluzione fino ad oggi, ciò che ha fornito ai ricercatori elvetici un certo vantaggio sugli altri.

swissinfo: A livello di risposte scientifiche di fronte ai cambiamenti climatici, la ricerca elvetica non è invece all’avanguardia. Non si dovrebbe insistere di più su questo punto?

M. B. Non sono sicuro che la Svizzera sia effettivamente in ritardo. Il problema è che un soggetto come il riscaldamento climatico ha un carattere globale, planetario. Bisogna perciò lavorare in partenariato con altri paesi, in primo luogo con l’Unione europea. La Svizzera non può fare tantissimo, a parte mostrare la via per alcuni aspetti tecnologici (come ad esempio il risparmio energetico).

swissinfo: La Confederazione investe abbastanza nella ricerca legata al clima?

M. B.: Il principale polo d’eccellenza in rete (Centro Nazionale di Competenza nella Ricerca, NCCR) ha ad esempio perso il 30% del suo budget. Alcuni ricercatori non hanno potuto proseguire il loro lavoro, mentre altri si sono visti tagliare i finanziamenti. Un’evoluzione piuttosto paradossale, se si considera che le problematiche legate al clima stanno assumendo un’importanza vieppiù maggiore.

La situazione sembra ad ogni modo ad una svolta, dopo l’aumento dei crediti destinati alla ricerca deciso dalla Confederazione. Sono un po’ meno pessimista per gli anni a venire.

swissinfo: In quali direzioni si muoverà la ricerca elvetica nei prossimi anni?

Lo studio dei paleoclimi fornirà molte informazioni, che potranno essere utili per saperne di più sui mutamenti del clima. Un altro ambito sul quale ci si è concentrati parecchio negli ultimi due o tre anni è l’evoluzione degli estremi climatici (ondate di calore, precipitazioni straordinarie, tempeste, siccità).

In un contesto di progressivo riscaldamento, questi rischi climatici – i più costosi in termini economici e di vite umane – potrebbero in futuro concernere anche l’Arco alpino.

swissinfo: A chi sarà affidata la ricerca di domani?

M. B.: Bisogna mobilitare la gente, con la formazione, ma pure offrendo ai giovani ricercatori una certa stabilità sul fronte degli impieghi. I giovani hanno bisogno di crescere professionalmente per poter poi diventare dei leader e circondarsi di gruppi di lavoro.

Al momento, purtroppo, coloro che sono attivi nella ricerca vera e propria si ritrovano in una situazione relativamente scomoda in termini di prospettive d’impiego: i posti d’assistente o capo assistente sono limitati a cinque anni e il numero di posti per professori limitato.

swissinfo, intervista di Pierre-François Besson
(traduzione: Luigi Jorio)

Le origini della ricerca climatica svizzera sono legate al ghiaccio e alla figura di Louis Agassiz (19esimo secolo), un pioniere dello studio dei ghiacciai alpini. Agassiz è stato il primo a parlare di cambiamenti climatici e della successione dei periodi glaciali e interglaciali.

Nel 20esimo secolo, Hans Oeschger dell’Università di Berna ha segnato la paleoclimatologia mondiale con studi sui ghiacciai (Groenlandia, Antartide, Arco alpino) volti a mettere in evidenza le fluttuazioni naturali del clima.

Soprattutto a partire dagli anni Novanta, la ricerca svizzera si è poi profilata nella modellizzazione numerica e nella simulazione dell’evoluzione futura del clima.

Le istituzioni faro sono il Politecnico federale di Zurigo (Istituto delle scienze dell’atmosfera e del clima), l’Università di Berna (Istituti di fisica e di geografia) e quella di Ginevra (il gruppo di Martin Beniston).

Ci sono poi ancora l’Istituto Paul Scherrer e l’Università di Ginevra (impatti socio-economici dei cambiamenti climatici), oppure l’Università di Zurigo e l’Istituto federale di ricerca sulla foresta, la neve e il paesaggio.

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