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Gli echi di una guerra lontana

In piazza con le bandiere per dire no alla guerra in Iraq: le manifestazioni si sono susseguite per mesi Keystone

Prima ancora che gli Stati uniti lanciassero la prima bomba sull’Iraq, la guerra occupava l’opinione pubblica e la diplomazia elvetiche.

Al centro delle discussioni, le iniziative della ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey, l’aiuto umanitario e il concetto di neutralità.

L’Iraq, così lontano dalla Svizzera eppure così presente in questo 2003 nella mente dell’opinione pubblica elvetica. È proprio la gente comune, quella che di solito non fa politica, a scendere in piazza, il 15 febbraio, per chiedere la pace.

Nella sola Berna 40’000 persone: un corteo colorato ed eterogeneo, simile a quelli che contemporaneamente sfilano nelle maggiori città del mondo occidentale. Molti i giovani e molte le bandiere della pace appese ai balconi e alle finestre.

È passato quasi un anno e molte di quelle bandiere sono ancora lì, a ricordare che la guerra sarà anche finita, ma che la pace in Iraq non è certo arrivata.

Micheline Calmy-Rey non sta a guardare

Contemporaneamente alla piazza si muove anche la diplomazia ufficiale. Il 15 e il 16 febbraio, la ministra degli esteri svizzera organizza a Ginevra un incontro per discutere gli scenari d’intervento umanitario in Iraq.

A dispetto delle voci critiche, l’iniziativa di Micheline Calmy-Rey – da poco in governo – riscuote un discreto successo. Vi partecipano 29 paesi e 21 organizzazioni non governative. A Ginevra però mancano Stati uniti e Iraq, i protagonisti del conflitto che scoppierà il mese seguente.

Guerra: «Siamo neutrali»

Il 20 marzo cadono le prime bombe su Baghdad. La Svizzera proclama la sua neutralità e chiude lo spazio aereo ai velivoli militari dei paesi coinvolti nel conflitto. Sospese anche le esportazioni di materiale bellico, ma con delle eccezioni che fanno storcere il naso a molti: si continueranno a vendere armi agli Stati uniti e ai loro alleati se queste non saranno utilizzate in Iraq.

Intanto la piazza continua la sua protesta. Un’altra imponente manifestazione si tiene il 22 marzo, 30’000 persone si ritrovano nella capitale elvetica.

Per la Svizzera, l’attacco contro l’Iraq viola la Carta dell’ONU. Ma questa constatazione non avrà conseguenze per l’alleanza angloamericana.

Tra passi falsi e critiche

A guerra iniziata, Micheline Calmy-Rey vorrebbe sensibilizzare l’opinione pubblica in merito alle conseguenze umanitarie del conflitto. Lo fa con un’iniziativa che si rivelerà del tutto fallimentare.

Senza consultare i suoi collaboratori, annuncia che pubblicherà il numero delle vittime civili del conflitto iracheno sul sito internet del Dipartimento degli esteri. Irrealizzabile – come controllare le fonti d’informazione e verificare i dati raccolti giorno per giorno? – l’iniziativa finisce nel cassetto.

Il 16 aprile, la Confederazione revoca l’applicazione del diritto di neutralità, con qualche giorno d’anticipo rispetto all’annuncio angloamericano della fine della guerra. Perché tanta fretta? I maligni mormorano che è per poter sfuggire al divieto d’esportazione di materiale bellico e consegnare entro i termini contrattuali, la cui scadenza è fissata per la fine d’aprile, 32 aerei Tiger agli USA.

swissinfo, Doris Lucini

Dopo aver lanciato al regime di Saddam Hussein una serie di ultimatum, il 20 marzo gli Stati uniti e i loro alleati, in nome della lotta al terrorismo, attaccano l’Iraq.

La Svizzera, attraverso la sua ministra degli esteri, s’impegna soprattutto in campo umanitario. Già un mese prima dello scoppio delle ostilità, Micheline Calmy-Rey aveva riunito a Ginevra i rappresentanti di diversi paesi ed organizzazioni umanitarie per discutere i piani d’intervento umanitario.

Durante il conflitto, la Svizzera applica il diritto di neutralità: no ai sorvoli militari del territorio elvetico da parte dei paesi in guerra e no alle esportazioni d’armi. Il 16 aprile si torna al diritto ordinario. Il 2 maggio George W. Bush annuncia la fine della guerra.

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