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Il Dna giudiziario nel mondo

Il primato ce l'ha il Regno Unito.

Dal 1995 grazie al Criminal Justice Act, un provvedimento fatto su misura per colpire hooligan e rave illegali, il test del dna può essere effettuato su chiunque “compia un’offesa rimarchevole”.

Non c’è alcun catalogo di delitti a specificare grado e gravità dell’offesa: la valutazione spetta all’ufficiale di polizia che effettua il fermo o l’arresto.

Risultato: sono già oltre due milioni i profili inseriti nella banca dati. L’Inghilterra è l’unica nazione al mondo che oltre ai profili conserva anche i campioni organici da cui sono stati estratti.

Un’analisi potrà essere smentita

Punto assai controverso: con successive analisi se ne potrebbero ricavare informazioni cosiddette “sensibili” sul patrimonio genetico della persona implicata, come la predisposizione a contrarre una determinata malattia. Ma la scelta di conservarli, per assurdo, scaturisce da un’esigenza di verifica e dunque di garanzia: i legislatori hanno voluto tenere conto dell’evoluzione delle tecnologie e sono partiti dall’idea che il risultato del test può essere smentito da un’analisi fatta con metodi più avanzati.

È quello che è successo di recente a Peter Neil Hankin, 23 anni, entrato nel database inglese per guida in stato di ebbrezza. Nel novembre scorso è stato arrestato su richiesta della magistratura italiana, con l’accusa di avere ucciso una ragazza in provincia di Livorno: le tracce trovate sul luogo del delitto corrispondevano al suo profilo dna.

Prima di pronunciarsi sull’estradizione, il giudice inglese ha ordinato una seconda perizia, prendendo atto delle proteste di Hankin, che giurava di non essere mai stato in Italia in vita sua e presentava una lista di venti testimoni pronti a giurare che la sera dell’omicidio serviva birre in un pub di Liverpool.

Fra le proteste degli inquirenti italiani, che affidavano ai media la loro perplessità di fronte alla cautela dei colleghi britannici “nonostante una prova assoluta come il dna”, è arrivato per Hankin il lieto fine: il secondo test l’ha completamente scagionato.

Legislazioni diverse

L’esperienza inglese, nonostante le vibrate proteste di organizzazioni per i diritti umani come l’osservatorio sulle libertà civili Statewatch, ha fatto scuola a livello internazionale: negli Stati Uniti, in Svizzera ma anche in Germania.

In Olanda invece l’introduzione nella banca dati è vincolata all’ordine di un giudice e limitata a crimini molto gravi, un criterio seguito anche dall’Austria; hanno avviato la fase di sperimentazione Belgio, Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia.

A livello di Comunità europea, non ci sono ancora testi di legge né accordi specifici in materia. Nel 1997, una risoluzione ha invitato gli stati membri a dotarsi di standard comuni, ma l’obiettivo non è stato ancora raggiunto: in particolare, ci sono tuttora differenze significative nella quantità di parti o “regioni” del dna analizzate per stabilire un profilo (sono 5 in Germania, 13 nella maggior parte dei paesi europei, Svizzera compresa).

La possibilità di mettere a confronto la propria banca dati con quelle di altri paesi è comunque prevista da tutte le leggi nazionali e dal 1988 è attivo un gruppo di lavoro internazionale di esperti e operatori del settore.

L’Interpol, infine, ha condotto nel 2002 la prima indagine globale sull’uso del dna giudiziario. I risultati sono in via di elaborazione, dicono all’ufficio stampa, ma: “saranno riservati alle forze di polizia”.

swissinfo, Serena Tinari

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