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Il franco vittima delle sue virtù

Il calo del franco fa il gioco degli esportatori svizzeri, tra i quali l'industria delle macchine Keystone

Per decenni abituata a convivere con una valuta sin troppo forte, l'economia svizzera è ora confrontata ad un franco ai minimi storici nei confronti dell'euro.

Mentre gli esportatori giubilano, cresce l’inquietudine del Dipartimento delle finanze e della Banca nazionale. Ma cosa sta succedendo al franco, uno dei tradizionali “porti sicuri” del mondo della finanza?

“Dobbiamo evitare che la debolezza del franco rispetto all’euro si accentui ulteriormente”, ha recentemente dichiarato il Ministro delle finanze Hans-Rudolf Merz. “Osserviamo attentamente il corso del franco: ogni suo indebolimento rincara il prezzo delle nostre importazioni”, ha sottolineato da parte sua Jean-Pierre Roth, presidente della Banca Nazionale Svizzera (BNS).

Insomma, dai tempi del franco muscoloso le cose sono cambiate. Nel periodo 2001-2002, quando l’euro era sceso fino a 1.44 franchi, l’industria d’esportazione si lamentava della zavorra rappresentata dal vigore della valuta nazionale, tanto cara da danneggiare la competitività elvetica.

Oggi, dopo che il franco ha perso circa il 10% del suo valore nei confronti dell’euro (1 euro per 1.59/1.60 franchi), sono invece le autorità ed i consumatori a temere il rincaro delle importazioni e una conseguente fiammata inflazionistica. È un po’ come se in pochi anni il “piccolo” mondo del franco si fosse capovolto.

L’inversione di tendenza è per di più paradossale. Secondo il modello tradizionale, la divisa elvetica tende a rafforzarsi quando l’economia interna gira a pieno volume oppure durante le crisi internazionali.

In realtà, nonostante l’inflazione sia chiaramente sotto controllo, la crescita economica robusta e l’eccedente commerciale con l’estero miliardario, da giugno il rapporto franco/euro (e parzialmente anche quello franco/dollaro) tende a deteriorarsi. Il tutto è avvenuto inoltre sullo sfondo di tensioni internazionali, quali la guerra in Libano, la fiammata del prezzo del petrolio o la crisi nucleare nordcoreana, che avrebbero teoreticamente dovuto spingere gli investitori a rifugiarsi nel calmo porto elvetico.

Speculatori in azione

“Come lo yen giapponese, il franco svizzero sta diventando una moneta di rifinanziamento”, spiega a swissinfo Aldo Visani, capo analista presso la Banca del Gottardo. In altre parole, all’origine della pressione sul corso della moneta elvetica vi sarebbero vendite speculative di franchi sui mercati in cambio di altre divise più redditizie.

“Franco e yen sono le due monete deboli del momento”, conferma Jérôme Schupp, analista presso la banca Syz di Ginevra. “E non è un caso se Svizzera e Giappone sono anche i due paesi caratterizzati dai tassi d’interesse più bassi”.

Un tasso d’interesse basso (in Svizzera il tasso a 3 mesi è di 1.75%) è sinonimo di un mercato fluido, facilita gli investimenti ed i crediti ipotecari. Più i tassi sono ridotti e più un economia può correre …a briglia sciolta.

Ma i capitali sono attratti dalle valute ad alto rendimento, come la sterlina, il dollaro australiano o lo stesso euro. Secondo gli analisti, la ragione principale dell’attuale debolezza del franco svizzero è proprio dovuta a questo differenziale d’interesse. La strategia speculativa che ne deriva, il “carry trade”, incita a indebitarsi in franchi (a basso costo) per poi rivenderli in cambio di valute che garantiscano dei redditi più elevati.

Situazione (ancora) vantaggiosa

Con i loro interventi, Merz ed i vertici della BNS hanno fatto capire di essere almeno parzialmente inquietati da queste operazioni. In effetti, il calo del franco rispetto all’euro spinge verso l’alto il prezzo delle importazioni svizzere dall’Europa. Ne potrebbe scaturire un’inflazione importata, che potrebbe a sua volta spingere la banca centrale elvetica ad intervenire sui tassi per aumentarli, riducendo così il differenziale d’interesse con l’estero ma rischiando allo stesso tempo di frenare la crescita economica in atto.

“Al momento questi pericoli restano però remoti”, dice a swissinfo Jérôme Schupp, secondo il quale un rapporto franco/euro attorno all’1.60 è al contrario piuttosto positivo. “L’industria d’esportazione ne sta approfittando e l’inflazione non sta aumentando. Insomma, tutto va bene”.

Nei primi nove mesi dell’anno le esportazioni svizzere sono ad esempio cresciute del 12% rispetto allo stesso periodo del 2005.

“Sulla base delle nostre stime, il franco dovrebbe effettivamente essere un po’ più forte rispetto all’euro: lo vediamo in una fascia compresa tra 1.50 e 1.58”, aggiunge Aldo Visani. “Tuttavia, finché l’inflazione resta al di sotto dell’1%, la situazione attuale è ugualmente confortevole”.

swissinfo, Marzio Pescia

In ottobre 2006, l’inflazione svizzera ha toccato il livello più basso dal marzo 2004 attestandosi allo 0.3%.

Per l’intero 2006, l’Ufficio federale di statistica prevede un’inflazione dello 1.1%, circa la metà del rincaro previsto dalla Banca centrale europea (BCE) per l’Unione europea.

Ad inizio dicembre la BCE potrebbe intervenire per aumentare ulteriormente il tasso di riferimento (attualmente al 3.25%) nel tentativo di garantire la stabilità dei prezzi. Nonostante il basso rischio d’inflazione in Svizzera, la BNS potrebbe seguire questo movimento.

L’Unione europea (UE) rappresenta di gran lunga il principale partner commerciale della Svizzera. Gli scambi con l’UE rappresentano circa l’80% delle importazioni e il 60% delle esportazioni elvetiche.

Nella Confederazione circa un impiego su tre dipende direttamente dal commercio con l’UE. Il tasso di cambio che più interessa l’economia elvetica è dunque quello tra franco ed euro.

Secondo un’analisi storica realizzata dal Centro di ricerche congiunturali del Politecnico di Zurigo, una variazione dell’1% del corso del franco si traduce in una variazione dello 0.5% di segno opposto nelle esportazioni del trimestre successivo.

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