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Il tabù del male di vivere

La Svizzera è uno dei pochi Paesi europei a non essere dotata di un'organizzazione nazionale di prevenzione del suicidio swissinfo.ch

I preconcetti che gravano sul suicidio; un fenomeno sociale preoccupante in Svizzera, dove quattro persone al giorno si danno la morte.

La Svizzera è tra i Paesi europei con i più alti tassi di suicidio. Ogni anno circa 1.500 svizzeri si tolgono la vita, mentre quelli che effettuano un tentativo sono dieci volte più numerosi. Cifre indicative di un malessere sociale che accomuna la Svizzera ad altre nazioni come Lituania, Finlandia, Ungheria, Belgio, Austria, Croazia, Estonia, Lettonia, Francia, Lussemburgo, Russia, Slovenia ed Ucraina, Paesi nei quali l’atto di togliersi la vita ha assunto aspetti allarmanti.

Prevenzione nazionale inesistente

Secondo i dati pubblicati nell’ottobre dello scorso anno dall’Organizzazione mondiale della salute (OMS), la percentuale di suicidi tra gli svizzeri ogni 100 mila abitanti è di 29,2 per gli uomini e di 11,6 per le donne. Un tasso al di sopra della media europea che si aggira attorno al 16 ed anche di quella mondiale che è del 15,1 ogni 100 mila abitanti. L’età, nella quale in Svizzera si ricorre maggiormente a questo gesto estremo, è tra 50 ed i 54 anni per gli uomini e tra 45 ed i 54 anni per le donne.

Nonostante l’ampiezza del fenomeno suicidio, la Svizzera è uno dei pochi Paesi europei a non essere dotata di un’infrastruttura di prevenzione a livello nazionale. Ed è proprio per questa ragione che la Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera (FCES) in collaboborazione con Caritas hanno indetto martedì e mercoledì a Berna il primo congresso nazionale dedicato al cosiddetto male di vivere. L’obiettivo è di favorire la ricerca interdisciplinare e la concertazione tra i professionisti impegnati nel campo della prevenzione. Una concertazione indispensabile per creare strutture comuni di intervento, prevenzione e recupero per chi tenta di togliersi la vita.

Fenomeno interclassista

Il male di vivere, espresso dal grande poeta italiano Eugenio Montale nella poesia “Spesso il male di vivere ho incontrato” cifra stilisticamente la più drammatica testimonianza della crisi spirituale dell’uomo moderno, in un mondo che pare sul punto di sgretolarsi e dissolversi. Il male di vivere è proprio l’incapacità dell’uomo di comunicare, è isolamento, frattura, vita strozzata.

Ed il male di vivere, dichiara a swissinfo il professor Felix Gutzwiller, direttore dell’Istituto per la prevenzione sociale e medica dell’Università di Zurigo, non risparmia nessuno: “Tutte le classi sociali sono toccate dal fenomeno”. Riuscire a prevenirlo è quindi difficile, conferma il professor Gutzwiller: “Non ci sono ricette: l’unica strada da percorrere è quella di formare gli operatori confrontati con questa tematica”.

Suicidio e società

Il suicidio è anche lo specchio della disgregazione che si è abbattuta sulla società a vari livelli, da quella familiare a quella religiosa e politica. Anche se non si tratta di affermazioni scientificamente provate, come rileva Marlène Messerli di Caritas Svizzera “il suicidio è statisticamente frequente in modo analogo in città ed in campagna, e più elevato nelle città povere, degradate economicamente e socialmente”. Un’indicazione del riferimento esercitato sull’individuo dal senso di appartenenza all’ambiente familiare e comunitario.

La morte provocata mette a nudo la povertà di una disgregazione sociale, politica ed economica che comportano insicurezza, mancanza di vere relazioni interpersonali: il richiamo a valori ed a mode vacue ed a quel cancro sociale che è la disoccupazione. Anche se, come precisa il dottor Ebo Aebischer ideatore di un sito Internet per l’aiuto e la prevenzione al suicidio “in Svizzera in tempo di crescita della disoccupazione il tasso di suicidio tende a calare”.

Dar speranza alla disperazione

Una sindrome complessa da decifrare, quella del suicidio, che presuppone strumenti di intervento multidisplinari e che chiama la società ad interrogarsi sui rapporti che legano ognuno di noi alla famiglia, al quartiere, alla città, al lavoro, alla nazione, all’umanità.

Per allontanare dal suicidio chi, in qualche modo, vi ha fatto ricorso è indispensabile, oltre alle specifiche terapie psicologiche e psichiatriche, offrire delle alternative esistenziali, attività socialmente utili, perché chi ricorre alla “tentazione estrema”, come l’ha definita lo psichiatra francese Xavier Pommereau, è un Uomo in preda ad una disperazione profonda.

Sergio Regazzoni

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