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L’Aids si sconfigge proteggendo il prossimo come se stessi

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In tutto il mondo il 1. dicembre si celebra la Giornata mondiale dell'Aids.

A vent’anni dalla sua prima comparsa, l’Aids continua ad infettare e mietere vittime anche in Svizzera: il grido d’allarme è stato lanciato dall’Aiuto svizzero contro l’Aids. Per la prima volta da dieci anni a questa parte si registra infatti una recrudescenza delle infezioni diagnosticate di circa il 10 percento. Le principali vittime di questo aumento sono uomini eterosessuali, che hanno cioè rapporti sessuali con donne.

L’aggravarsi della situazione viene confermata dagli ultimi dati statistici pubblicati dall’Ufficio federale della sanità pubblica sull’evoluzione di quella che è ormai unanimamente considerata come la malattia più devastante conosciuta dall’umanità e la quarta per mortalità. Nella Confederazione dall’inizio dell’anno 190 persone si sono ammalate, 27 sono morte e 540 sono risultate sieropositive. Globalmente dal 1985 il numero dei morti di Aids in Svizzera è salito a 5.105. Cifre impressionanti per un Paese come la Svizzera che conta oltre 20 mila persone tra sieropositivi ed ammalati di Aids su una popolazione di poco superiore ai 7 milioni di abitanti.

I gruppi a rischio

Al di là dei dati statistici, l’evoluzione dell’epidemia mostra un cambiamento significativo dei cosiddetti gruppi a rischio. Negli Anni Ottanta ad infettarsi erano soprattutto gli omosessuali ed i consumatori di droghe pesanti per via endovenosa. Adesso, invece, il 58 percento delle nuove infezioni sono riconducibili a contatti eterosessuali non protetti.

Per capire a cosa sia imputabile la recrudescenza delle infezioni registrate lo scorso anno abbiamo interpellato il dottor Enos Bernasconi, responsabile del servizio malattie infettive dell’Ospedale regionale di Lugano. “Innanzitutto bisogna dire che non siamo ancora sicuri di cosa significa il numero accresciuto di casi registrati nel 2000 -specifica a swissinfo il dottor Bernasconi- perché potrebbe esserci anche un artefatto di tipo statistico. Questo perché possono essere anche infezioni occorse negli ultimi anni ma diagnosticate solo l’anno scorso, per cui l’interpretazione deve essere molto cauta. Si tratta comunque di un dato da prendere seriamente e credo che, giustamente, bisogna rimettere l’accento sulla prevenzione in tutti i gruppi a rischio, quelli classici, ma anche in particolare negli uomini con rischio di trasmissione eterosessuale”.

Più soldi per la prevenzione

Il gruppo maggiormente a rischio in questo momento, quello che mostra il maggior incremento di infezioni, come ci ha confermato anche il dottor Bernasconi, è rappresentato quindi dagli uomini eterosessuali: l’anno scorso gli uomini eterosessuali hanno totalizzato il 41 percento delle nuove infezioni diagnosticate, mentre nel 1988 erano invece all’incirca il 10 percento.

Sull’esempio del Programma delle Nazioni Unite sull’Aids, per combattere questa evoluzione l’Aiuto svizzero contro l’Aids ha lanciato un nuovo programma di prevenzione. Indirizzato proprio agli uomini eterosessuali, affinché assumano le loro responsabilità di fronte alla recrudescenza dell’epidemia, il programma di prevenzione è intitolato “Dare voce agli uomini”. Ma per far sì che la prevenzione possa essere fattiva sono necessarie adeguate risorse finanziarie. Ed è quello che, nei giorni scorsi, l’Aiuto svizzero contro l’Aids ha pubblicamente chiesto allo Stato: più soldi per le campagne di prevenzione che, dal punto di vista dei costi, risultano economicamente vantaggiose rispetto alle terapie alle quali devono sottoporsi sieropositivi ed ammalati di Aids.

Percezione errata

Secondo alcuni specialisti la recrudescenza dell’epidemia potrebbe essere collegata al fatto che nell’opinione pubblica si sta diffondendo l’errata percezione che con l’Aids si può convivere, se non addirittura guarire. Responsabile di questa errata percezione sarebbe imputabile all’efficacia delle terapie antiretrovirali, le cosiddette triterapie, ossia il trattamento farmacologico contro l’infezione che riduce la moltiplicazione del virus, diminuendo il danno causato dall’Hiv. “E’ effettivamente possibile -precisa il dottor Bernasconi- che l’efficacia delle terapie abbia indotto a credere che la prevenzione diventasse meno importante. Vorrei però sottolineare che è vero che abbiamo delle terapie molto efficaci che permettono di controllare il virus ma non di eliminarlo”.

La terapia di combinazione con tre farmaci riesce dunque a migliorare lo stato di salute degli ammalati, allungandone nel contempo la vita. “Il controllo del virus -aggiunge il responsabile del servizio malattie infettive dell’Ospedale regionale di Lugano- richiede l’assunzione di numerosi farmaci che, nel tempo, sono stati un po’ migliorati, anche se la terapia rimane molto pesante. Questo però corrisponde a tante altre malattie croniche: pensiamo ad un paziente diabetico ad esempio, che deve continuamente iniettarsi insulina per non avere le complicazioni del diabete. L’infezione Hiv è un’infezione cronica che si riesce a controllare bene con i medicamenti, ma la prima cosa rimane quella di non contrarre questo virus con le dovute misure di prevenzione”.

Prevenzione in primis

Sono ormai sei anni che gli ammalati di Aids possono beneficiare delle terapie combinate contro l’Hiv. Con queste terapie spesso si riesce a frenare l’avanzata dell’infezione e sempre meno persone ammalate muoiono. Ma anche le terapie combinate contro l’Hiv non sono in grado di eliminare l’infezione e non ridanno la salute: per questo l’unica azione sicura rimane, come ha ribadito ancheil dottor Enos Bernasconi, quella di proteggersi.

Sergio Regazzoni

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