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L’altro valore dello sport

"Droit au sport": le ragazze di Abidjan giocano al calcio. M. Reisle

Integrare lo sport nei programmi di promozione della pace. È quanto chiede la “Dichiarazione di Macolin”, che sarà trasmessa al segretario dell’ONU.

Sul terreno, la Svizzera s’impegna già. L’esempio della Costa d’Avorio.

A Macolin si sono dati appuntamento per due giorni oltre 300 rappresentanti di alto livello delle agenzie dell’ONU, di governi, associazioni sportive, della società civile, degli ambienti scientifici e del mondo economico. Grande mattatore l’ex ministro svizzero dello sport Adolf Ogi, consulente speciale dell’ONU per trasmettere questo nuovo messaggio di pace attraverso lo sport.

Un progetto svizzero in Costa d’Avorio

Nella Costa d’Avorio è stato lanciato il progetto “Droit au sport”. Inizialmente rivolto ai profughi, si sta allargando ad altre fasce della popolazione.

Questo progetto traduce in realtà molti dei principi chiave che si raccomandano nel campo del sostegno umanitario, fra cui anche quello denominato “low budget – high impact”, buon impatto nonostante costi contenuti.

Anton Lehmann, manager del progetto promosso dall’Ufficio federale dello sport, pensa che per mantenere in vita la struttura attuale occorreranno tre franchi al mese per ogni bambino che vi partecipa.

Dare un senso al tempo che passa

Nella regione di Guiglo, sul confine con la Liberia, dove vivono tuttora decine di migliaia di profughi della guerra liberiana, sono stati mossi i primi passi. Qui i profughi non hanno occupazione, molti di loro non ritorneranno mai in patria.

Liberiani e ivoriani, bambini e giovani, ma anche donne e uomini, rincorrono un pallone, cercano lo svago e imparano a vincere e a perdere. Giocare solo per giocare: calcio, basket, pallavolo e persino rugby.

La ricetta del successo è stata quella di verificare dapprima sul posto che lo sport rispondesse a un’esigenza effettiva delle persone interessate, e poi di collaborare con tutte le forze impegnate nei vari settori d’intervento: rappresentanti della Croce Rossa, autorità locali (sia politiche che religiose-tradizionali) e soprattutto anche l’istituto nazionale di formazione sportiva.

La risposta sorprendente dei profughi

«Non era affatto scontato che i rifugiati si entusiasmassero all’idea di fare sport, dato che hanno ben altri problemi quotidiani. La loro risposta ci ha sorpresi» ricorda Markus Reisle, che si occupa di problemi di migrazione per conto della Croce Rossa.

Nell’agosto dello scorso anno è stata lanciata la fase essenziale del progetto: la formazione dei monitori indigeni alla scuola nazionale di sport. Futuri docenti di sport della Costa d’Avorio alle prese con Cecile Kramer, l’insegnante di sport e danza incaricata da Macolin di portare agli studenti africani i suoi nuovi impulsi e le sue esperienze.

Ridefinire le regole sociali

«E’ stato un insegnamento reciproco, anch’io ho imparato molte cose nuove», precisa Cecile Kramer, che comunque ha voluto introdurre nel gioco di squadra diversi criteri a dir poco rivoluzionari per la maggioranza dei futuri docenti africani.

Normalmente le ragazze giocavano nelle ore meno indicate, sotto il sole cocente, mentre i ragazzi si riposavano. Lo sport invece di essere integrativo, escludeva, cementando la classica gerarchia del più forte.

Cecile Kramer ha insegnato loro a proporre forme di gioco e di tornei più equi ma anche più interessanti per tutti. «Non è stato facile all’inizio, tanto più che io stessa, essendo una donna, straniera e perfino bionda, ho avuto qualche esitazione. Ma il mio lavoro con questi insegnanti ha portato frutti.» Sicuramente anche perché l’insegnante zurighese è una persona disposta a lanciarsi anche in situazioni molto difficili.

Effetto moltiplicatore

Ora questi frutti stanno maturando: i sette insegnanti di sport formati nella capitale Abidjan stanno istruendo a loro volta due aiutanti ciascuno, in quattro centri prescelti.

«Oltre alla “zona protetta” di Guiglo», dice Maja Schaub, che ha seguito il progetto in Costa d’Avorio per conto di Macolin, «abbiamo definito altri tre ambiti di intervento: due zone in cui la scolarizzazione è quasi inesistente, nonché una squadra di calcio per ragazze.»

Un impegno enorme, ma anche gratificante, in un angolo microscopico della grande povertà africana. Un altro piccolo inizio. Ne occorrono ancora molti.

swissinfo, Rolando Stocker

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Dall’agosto dello scorso anno il progetto svizzero “Droit au Sport” è operativo in Costa d’Avorio.

Lo scopo è quello di portare lo sport di squadra ai bambini per sopperire a una cronica mancanza di strutture di formazione in tutti i settori.

L’Ufficio federale dello sport ha inviato sul posto un’insegnante che in breve tempo è riuscita a motivare giovani studenti a fare in modo che lo sport diventi un elemento di integrazione sociale.

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