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L’Italia nel piatto

Simbolo per eccellenza della cucina italiana: l'olio d'oliva (foto: bellaumbria.net) swissinfo.ch

Olio d'oliva e profumi mediterranei, pasta, salumi e formaggi: l'Italia è di casa anche in Svizzera.

Con un marchio d’autenticità lo stato italiano vuole proteggere la sua cucina dalle imitazioni. Scettici i ristoratori svizzeri.

Quale amante della cucina italiana non ha fatto la brutta esperienza di trovarsi all’estero, avere voglia di una pizza, cercare un ristorante italiano e trovarsi nel piatto una cosa insipida e molliccia?

Certo, le cose non devono stare per forza così. Chi scrive ha mangiato la pizza migliore della sua vita in un ristorante pugliese di Zurigo e non può certo dire che tutti i ristoranti italiani in Svizzera non reggano il confronto con quelli dello Stivale. Il problema è come distinguere i buoni dai cattivi.

Il Ministero delle Politiche agricole e forestali, in collaborazione con l’Associazione internazionale ristoranti d’Italia (ARDI), vuole provare a risolvere questo dilemma con un’iniziativa denominata ‘Per un marchio di autenticità dei ristoranti italiani nel mondo’.

Battere bandiera italiana non basta

Gli italiani, si sa, sono un popolo di emigranti. Dispersi nei cinque continenti, hanno portato con loro molte cose, tra cui una tradizione culinaria di tutto rispetto. Il resto del mondo non ha tardato ad accorgersene: i ristoranti italiani fioriscono un po’ovunque, le esportazioni agroalimentari ammontano a 19 miliardi di euro (dati 2001) e per i turisti stranieri il terzo punto di forza dell’offerta turistica italiana – subito dopo il patrimonio artistico e paesaggistico – è proprio il cibo.

I ristoranti di stampo italiano nel mondo oggi sono all’incirca 60’000, di cui due miglialia nella sola Svizzera. Un dato incoraggiante? Sì e no. Sì perché dimostra che il ‘Made in Italy’ si vende bene, no perché molto spesso questo ‘Made in Italy’ si riduce al tricolore e alla presenza di qualche altro gadget turistico di pessimo gusto.

Insomma, battere bandiera italiana non basta. Gli abusi sono tanti, come ricorda a swissinfo Martin Dalsass, chef del ristorante Santabbondio di Sorengo, vicino a Lugano:”In Germania ti può capitare di entrare in un ristorante italiano e di mangiare una pasta condita con la panna e un po’ di prezzemolo, che con l’Italia non c’entra proprio niente, in Italia la panna si usa pochissimo”. Un dato di fatto che non rallegra l’altoatesino Dalsass, insignito del titolo di miglior chef dell’anno 2001 da Gault & Millau.

Un’idea non facile da realizzare: lo scetticismo dei ristoratori elvetici

Per ottenere il marchio di autenticità i ristoranti dovranno rispondere ad una serie di criteri stabiliti da un’apposita commissione. Si calcola che solo il 20% dei ristoranti che la chiederanno, otterrà la certificazione.

Dal canto loro i ristoratori attivi in Svizzera non faranno carte false per averla. La maggior parte ritiene che la richiesta di assoluta italianità – dai prodotti, al personale, all’ambiente – sia eccessiva.

“Sulla carta sembra un’idea simpatica, ma la realtà è molto complessa: conosco cuochi non italiani che fanno la cucina italiana meglio degli italiani. Non si tratta tanto di un problema d’italianità, quanto di un problema di qualità”, Emirano Colombo, direttore del ristorante La Casa d’Italia di Berna, non nasconde di avere delle perplessità in merito all’iniziativa.

I ristoratori attivi nella Svizzera romanda ritengono che la fedeltà assoluta a prodotti d’origine italiana provocherebbe un aumento dei costi, sostenibile solo dai ristoranti di lusso.

Altri limiti sono posti dalle legislazioni dei vari paesi. In Svizzera ad esempio non si può importare la carne italiana. I ristoratori sono però concordi nel dire che è possibile fare della buona cucina italiana anche con prodotti che non provengono dalla Penisola, ciò che importa è che l’impronta di base delle ricette sia italiana.

Certificato utile o inutile? Dipende…

Dipende da come il ministero e l’ARDI condurranno la campagna pubblicitaria per far conoscere il marchio. “Se lo danno a tutti e se il pubblico non viene informato a dovere, un certificato del genere non serve a niente”, commenta Dalsass.

In effetti tra la selva di stelle Michelin, punti Gaut & Millau, chioccioline slow food, forchette d’oro e cucchiai d’argento, chi ama mangiare ma non è un grande cultore di riviste specializzate, può anche essere disorientato da un ennesimo nuovo certificato. O, peggio, può essere portato ad ignorarlo.

“Bisogna prendersi cura del cliente, sviluppare un rapporto di fiducia. In questo modo ci farà visita più volte, indipendentemente dal numero di diplomi appesi alla parete. Noi siamo a Berna e i nostri clienti sono soprattutto svizzeri. Offriamo loro una cucina italiana, certo, ma non dimentichiamo le loro esigenze e le loro abitudini”, per Emirano Colombo questa è una delle chiavi del successo del ristorante Casa d’Italia.

Tradizione e innovazione dunque, perché il piatto di pasta fumante continui a sedurre e a ricordare il profumo della terra italica anche in posti lontani.

Doris Lucini, swissinfo

Per ottenere il marchio d’autenticità il ristorante dovrà essere impeccabile da un punto di vista igienico e presentare un menu a base di piatti e prodotti tipici italiani. Per la preparazione delle vivande andranno utilizzate materie prime provenienti direttamente dall’Italia.

La sala dovrà ricordare l’atmosfera mediterranea e avere uno spazio riservato all’esposizione di prodotti e vini italiani. Il personale dovrà essere italiano – o formato in Italia – ed in grado di illustrare l’origine e la storia dei piatti serviti.

60’000 ristoranti italiani (o “all’italiana”) nel mondo
2000 ristoranti italiani in Svizzera (stima della Camera di Commercio italiana in Svizzera)
Secondo il Ministero solo il 20% offre davvero cucina italiana
Gli introiti dovuti all’esportazione di prodotti agroalimentari ammontano a 19 miliardi di euro
Il cibo è il terzo motivo di soddisfazione per i turisti che si recano in Italia

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