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La Bananenfrau

Ursula Brunner si batte dagli anni Settanta per un commercio più equo e solidale. Tomas Wüthrich

La sua storia sa di avventura, tenacia, entusiasmo e idealismo. Ha il sapore della banana, perché Ursula Brunner è la donna delle banane. Dal 1973 si batte per il commercio equo e solidale in Svizzera.

«Non voglio questo mondo, in cui i bambini soffrono la fame e muoiono, in cui le persone non possono vivere dignitosamente. E tutto soltanto perché in Europa si possa acquistare una banana a buon mercato».

È una signora anziana, fragile, minuta, segnata dalla vita, ma con l’entusiasmo di una ventenne a parlare. Negli anni Settanta, Ursula Brunner, con altre sei donne di Frauenfeld, città capoluogo del canton Turgovia, ha iniziato la sua lotta in favore di una Terra più giusta e solidale, una lotta che dura da quasi quarant’anni.

Il sogno di queste idealiste era di cambiare la storia amara di questo dolce frutto, spezzando i meccanismi ingiusti del commercio internazionale. «Continuavamo a chiederci come mai le banane costassero così poco», racconta a swissinfo.ch Ursula Brunner.

Una lotta proseguita quasi per caso

Ed è con questa domanda che le donne di Frauenfeld scendono in strada nell’ottobre 1973, distribuendo materiale informativo e 600 chilogrammi di banane. In due giorni di azione ottengono il sostegno di 1500 persone, disposte a pagare le banane 15 centesimi in più al chilo. «Eravamo felici e fiere di aver fatto la nostra parte – afferma Brunner – e credavamo di poter abbandonare il tema “banana”».

L’azione suscita invece un certo interesse mediatico. La televisione svizzero tedesca realizza un servizio che accresce notevolmente la popolarità delle “Bananenfrauen”. E così quella che doveva rimanere un’iniziativa unica, si diffonde inaspettatamente a macchia di leopardo in varie città della Svizzera.

«Siamo state sommerse da lettere provenienti da tutto il paese. C’era chi ci suggeriva di tornare ai fornelli o di badare ai bambini, chi ci definiva comuniste, ma c’erano anche coloro, soprattutto donne, che ci chiedevano informazioni su come organizzare una simile campagna di sensibilizzazione. Ora, non potevamo più tirarci indietro. La lotta doveva continuare», ricorda Ursula.

E il loro impegno per le banane solidali e giuste è durato per più di trent’anni. «Non possiamo affermare di aver raggiunto l’obiettivo, poiché si tratta di un processo, inarrestabile e mutevole. E noi facevamo parte di questo movimento», sottolinea la pioniera svizzera.

Dall’orgoglio alla delusione

Ursula Brunner è letteralmente trascinata dalla volontà di realizzare un mondo più giusto ed equo. Per due decenni, dal 1976 trascorre ogni anno dalle sei alle otto settimane in Centro America per incontrare “bananeros”, commercianti, sindacalisti e autorità politiche con l’obiettivo di riuscire un giorno a imbarcare per l’Europa banane con un giusto prezzo e coltivate da produttori locali.

Deve tuttavia cullare il suo sogno a lungo. Le prime banane solidali arrivano in Svizzera soltanto nel 1986. Sono le Nica e provengono dal Nicaragua. «Di quel momento tanto atteso mi sono rimaste impresse specialmente due immagini», racconta con commozione Brunner.

«La prima mi ricorda l’orgoglio del contadino che mi dice “Guarda come sono belle queste banane” mentre le mette nelle scatole. La seconda, invece, mi fa rivivere tutta la delusione provata quando, aperte alcune scatole nel porto belga di Gand, ci siamo resi conto che le banane erano quasi tutte marce».

Per Ursula Brunner, questa è stata la prima di una lunga serie di lezioni sulla difficoltà nel commercio delle banane. Ma la “Bananenfrau” ha dovuto soprattutto imparare a convivere con la lentezza dei cambiamenti in America latina.

In questo processo di apprendimento è aiutata specialmente da Abelardo Carles, direttore dal 1984 al 1987 dell’Unione dei paesi esportatori di banane del Centro e Sud America, l’UPEB. Nel corso di un incontro le consiglia di lasciare tempo al tempo. «Né io né tu possiamo accelerare un’evoluzione. Non essere impaziente. I produttori hanno bisogno di tempo e dobbiamo capire che noi non possiamo accorciargli la strada», legge Brunner dal suo libro “Bananenfrauen”, in cui racconta la storia del movimento nato a Frauenfeld.

Dalle Nica, alle Pablitos, al momento di girare pagina

Ma i problemi con le banane dal Nicaragua non si limitavano alla prima spedizione di 50’000 scatole. I negozi, specialmente i negozi “solidali” Botteghe del mondo, si lamentavano per la scarsa qualità e le consegne irregolari. Nel 1990, a peggiorare la situazione ci ha pensato infine il cambio al potere nel paese del Centro America, che in poco tempo manda alle ortiche un lavoro durato dieci anni.

Così, dal 1993 fanno la loro comparsa le Pablitos, le banane solidali provenienti dal Costa Rica che nella ditta del commercio al dettaglio Volg trovano un importante alleato. «Le Pablitos, come le Nica, venivano vendute con un sovrapprezzo di circa 15 centesimi con cui si potevano realizzare progetti di aiuto allo sviluppo negli Stati del Centro America», spiega Brunner.

Poi, bruscamente, il progetto delle “Bananenfrauen” si conclude. «Dal 1997 arrivano sul mercato le banane della fondazione Max Havelaar. Si rischia così di sviluppare uno spirito concorrenziale nel mercato solidale: una contraddizione. È il momento giusto per chiudere con il commercio delle banane», illustra Ursula.

Questa decisione non sancì però la fine dell’associazione gebana, nata nel 1988 dal movimento delle donne di Frauenfeld. Fornisce anzi lo spunto per andare avanti, per continuare la lotta. «Ancora una volta, le donne, che mi hanno accompagnato, mi sorprendono per la loro tenacia. Decidiamo quindi di far vivere ancora il nostro sogno attraverso il commercio di datteri, ananas, mango, frutta secca, caffè», afferma con la stessa  convinzione degli anni Settanta.

A 85 anni, Ursula Brunner non si sente ancora stanca. Non vuole abbandonare un progetto iniziato. La donna delle banane ha ancora tante idee in testa. Vorrebbe finalmente far capire alla gente che i problemi del Terzo mondo sono anche i nostri problemi. «Ma il tempo, per me, purtroppo se ne sta andando», e lo dice con una punta di rassegnazione negli occhi.

gennaio 1973: la visione del film “Bananera Libertad” di Peter von Gunten sensibilizza un gruppo di donne di Frauenfeld sulle disparità tra il prezzo delle banane e le terribili condizioni di lavoro nelle piantagioni nei paesi dell’America latina.

febbraio 1973: la Migros, il gigante del commercio al dettaglio elvetico, dichiara che a causa della svalutazione del dollaro, le banane costano 15 centesimi in meno. Le donne di Frauenfeld chiedono alla Migros di non abbassare il prezzo, ma di investire i soldi ricavati dalla vendita delle banane in progetti di sviluppo in paesi del Centro America. L’idea però non piace alla società, al che le donne reagiscono versando alla Migros importi dell’ordine di 15, 30 o 45 centesimi con la dicitura “Soldi delle banane, non ci appartengono, non li vogliamo”.

ottobre 1973: le “Bananenfrauen” organizzano a Frauenfeld un’azione di sensibilizzazione della popolazione nel capoluogo del canton Turgovia.

1974: una bottega a San Gallo vende per la prima volta banane delle compagnie Chiquita o Dole con un sovrapprezzo di 15 centesimi. Dal 1974 al 1985 circa cento negozi ne seguono l’esempio.

1976: Ursula Brunner intraprende il primo viaggio in Centro America per raccogliere informazioni sulla produzione delle banane. Per altri vent’anni visiterà gli Stati dell’America centrale.

1986: si vendono le prime banane dal Nicaragua, paese soggetto dal 1985 a un embargo economico da parte degli Stati Uniti. Le Nica sono distribuite nelle Botteghe del mondo e nelle Reformhäuser con un sovrapprezzo di 10 centesimi, destinati per metà a progetti di aiuto allo sviluppo e per l’altra metà all’attività d’informazione delle “Bananenfrauen”.

1988: dal movimento delle donne di Frauenfeld nasce l’associazione gebana.

1992: le associazioni d’aiuto svizzere fondano la fondazione Max Havelaar, senza tuttavia coinvolgere il movimento delle “Bananenfrauen”.

1993: si abbandona il commercio con il Nicaragua e si apre quello con il Costa Rica, con le Pablitos, le banane costaricensi.

1994: i negozi della società di distribuzione Volg iniziano a vendere le banane Pablito.

1997: i negozi svizzeri distribuiscono per la prima volta le banane con il certificato Max Havelaar. Le “Bananenfrauen” abbandonano di conseguenza la loro attività nel commercio solidale delle banane.

1998: viene fondata la società per azioni gebana con un capitale proprio di 150’000 franchi, grazie al quale le “Bananenfrauen” possono continuare la loro attività solidale.

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