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La Svizzera rifiuta di cedere all’Europa

Il ministro delle finanze elvetico respinge le accuse dell'Ue Keystone

I partiti borghesi e gli ambienti economici respingono con veemenza le critiche dell'Ue sulle facilitazioni fiscali offerti da certi cantoni alle imprese.

La Svizzera non intende cedere nemmeno un grammo della propria sovranità in materia fiscale. Il governo elvetico ha opposto martedì un rifiuto categorico alla Commissione europea.

Il sistema fiscale elvetico non va modificato, nemmeno dopo la richiesta della Commissione Ue. È il parere unanimemente espresso da partiti di centro-destra e da ambienti economici dopo la richiesta dell’Unione europea di cancellare i privilegi fiscali accordati da alcuni cantoni elvetici a determinati tipi di imprese.

“Non c’è nulla da negoziare”

È stato questo il commento categorico del ministro delle finanze elvetico Hans-Rudolf Merz, che ha sottolineato che l’accordo di libero scambio citato dalla Commissione europea regola esclusivamente il commercio di merci. Non costituisce dunque una base giuridica per valutare se l’imposizione delle società comporti una distorsione della concorrenza. In questo senso le pretese di Bruxelles sono “infondate”.

L’UDC (Unione democratica di centro, destra conservatrice) va oltre e chiede un dibattito urgente sulla questione alla prossima sessione primaverile delle camere.

Per i democentristi l’Ue diventa “sempre più sfrontata” e il Consiglio federale non dovrebbe nemmeno entrare in materia sulla questione. Ogni ingerenza va respinta al mittente, sostiene l’UDC che in caso di sanzioni economiche invita il governo a rispondere con ritorsioni.

La Svizzera non fa parte dell’Ue e quindi è autonoma in materia di fiscalità, le fa eco il Partito liberale radicale (PLR), secondo cui è comprensibile che il marketing elvetico volto a favorire l’arrivo nella Confederazione di nuove società sia una spina nel fianco per l’Ue.

Ma non è tollerabile – precisa il partito – che l’Unione si immischi nelle faccende svizzere solo perché incapace di stare al passo in questo settore. Il sistema fiscale svizzero – afferma il PLR – è un prodotto della democrazia diretta e offre diversi vantaggi, ma la sinistra nazionale ed estera si sforza di dipingere a tinte fosche questo modello.

Più sfumati a sinistra

Duri anche i toni di Azione per una Svizzera neutrale e indipendente (ASNI) che giudica l’intervento dell’Ue “arrogante e antidemocratico”. L’accordo di libero scambio – scrive in un comunicato l’associazione – non ha nulla a che vedere con le questioni fiscali. “Non tollereremo balivi dell’Ue”.

Solo i Socialisti, pur mettendo in dubbio gli argomenti dell’Ue, hanno toni meno duri; “Essere pronti a discutere con il principale partner commerciale su una divergenza problematica non significa soccombere alle pressioni”.

Cantoni e ambienti economici

Le reazioni non si scostano molto da quelle dei partiti nemmeno sul fronte economico: per economiesuisse la sovranità fiscale della Svizzera non è negoziabile. La richiesta di Bruxelles va quindi chiaramente respinta, scrive la Federazione delle imprese svizzere, secondo cui non è giustificato rimettere in questione un accordo di libero scambio in vigore da 35 anni.

Stessa presa di posizione da parte dei direttori delle finanze dei cantoni, secondo cui l’Unione Europea non ha argomenti giuridici nel dibattito e dunque attacca la Svizzera politicamente.

Il presidente di economiesuisse Gerold Bührer spera dal canto suo che il Consiglio federale continui ad insistere sul fatto che i regimi fiscali cantonali non possono essere negoziati.

Swissholding, che riunisce 40 grandi imprese con sede in Svizzera e filiali all’estero, accusa la Commissione europea di seguire interessi meramente economici, a costo di diminuire la concorrenza.

swissinfo e agenzie

L’articolo 23 iii dell’Accordo di libero scambio del 1972 stipula che «ogni aiuto pubblico che falsi o minacci di falsare la concorrenza, favorendo talune imprese o talune produzioni» è «incompatibile con il buon funzionamento dell’accordo».

L’accordo si applica esclusivamente al commercio di alcuni beni (prodotti industriali e prodotti agricoli trasformati).

La Svizzera è convinta che il documento non è al contrario applicabile alle agevolazioni fiscali accordate a certe società da alcuni cantoni.

Alcuni tassi di imposizione fiscale alle imprese (federale, cantonale e comunale) estratti da uno studio della società di revisione e di consulenza KPMG (novembre 2006): Obwaldo 13,1% dell’utile operativo, Svitto 15,6%, Zugo 16,4%, Zurigo 21,3%, Grigioni 29,1%.
Media svizzera: 21,3%.
Tassi d’imposizione in altri paesi: Giappone 40,7%, USA 40%, Germania 38,3%, Irlanda 12,5%, Cipro 10%.

La Commissione europea ha dichiarato martedì che alcuni regimi fiscali in vigore in certi cantoni elvetici in favore delle imprese costituiscono una forma di aiuto statale incompatibile con il buon funzionamento dell’accordo di libero scambio concluso tra Svizzera e Ue nel 1972.

La Commissione invita dunque la Svizzera a modificare questi regimi fiscali e chiede agli stati membri dell’Ue un mandato di negoziazione con la Svizzera, per poter giungere ad una soluzione “accettabile da entrambe le parti”.

I privilegi fiscali in questione sono accordati a società che hanno sede in Svizzera, ma che realizzano i propri profitti all’estero.

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