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La Svizzera sulla difensiva di fronte all’Unione europea

La Svizzera rifiuta di essere assimilata ad un paradiso fiscale Keystone

La ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey reagisce alle pressioni di Germania e altri paesi europei sul segreto bancario elvetico: le eventuali lacune del sistema fiscale non sono un problema della Svizzera.

Gerold Bührer, presidente di economiesuisse, prevede dal canto suo un lungo e duro scontro sulla fiscalità tra Berna e Bruxelles.

Micheline Calmy-Rey non si fa impressionare dalle pressioni esercitate da alcuni paesi europei, tra cui la Germania, a proposito del segreto bancario elvetico.

Sulle pagine del domenicale SonntagsZeitung, la consigliera federale socialista ritiene al contrario che non c’è alcuna necessità di agire in questo ambito.

«Non siamo un’oasi fiscale», afferma in riferimento alla controversia sull’evasione fiscale scoppiata recentemente in Germania (vedi a fianco). Per ciò che concerne le fondazioni, sottolinea, il diritto svizzero non è lo stesso di quello in vigore in Liechtenstein.

Il segreto bancario non si tocca

In merito all’intenzione dell’Unione europea (UE) di rendere più severe le direttive sulla fiscalità del risparmio, Calmy-Rey rammenta che la ritenuta d’imposte in Svizzera sugli interessi versati a contribuenti dell’UE è regolata dagli Accordi bilaterali tra Berna e Bruxelles.

Tramite l’Accordo sulla fiscalità del risparmio, la Svizzera partecipa in effetti al sistema dell’UE che applica una ritenuta transnazionale alla fonte sugli interessi prodotti da fondi appartenenti a persone fisiche. I redditi da risparmio realizzati in Svizzera da privati cittadini aventi domicilio fiscale nell’UE sottostanno ad una trattenuta fiscale (paragonabile all’imposta preventiva svizzera) prelevata da agenti pagatori (banche o gestori patrimoniali elvetici).

A coloro che stimano troppo esigua la parte versata all’UE, la ministra degli affari esteri ricorda che la Confederazione ha reso mezzo miliardo di franchi nel 2006. E il montante per il 2007 dovrebbe essere ancora più importante.

«Se i paesi dell’UE non vogliono questi soldi – ironizza Micheline Calmy-Rey – li utilizzeremmo volentieri per i nostri programmi di aiuto allo sviluppo».

I negoziati sulla fiscalità con Bruxelles, aggiunge, sono stati duri. «E se ci sono delle lacune, non è un nostro problema. Il segreto bancario elvetico è garantito da diversi accordi con l’UE e quindi non vi è alcuna necessità d’intervenire».

Difendere i principi elvetici

Sulla disputa tra Berna e Bruxelles attorno ai privilegi fiscali che alcuni cantoni concedono alle holding straniere si è pronunciato domenica anche il presidente di economiesuisse.

La vertenza si annuncia lunga e difficile, sostiene Gerold Bührer sulle pagine della NZZ am Sonntag. Secondo il responsabile della Federazione delle imprese elvetiche, la Svizzera non deve cedere, altrimenti si esporrebbe ad ulteriori pressioni in altri settori.

«L’UE fa leva sull’accordo di libero scambio del 1972, che però non ha nulla a che vedere con la fiscalità e con i regimi fiscali cantonali», osserva. «Dobbiamo difendere i nostri principi e i nostri diritti anche se ciò potrebbe causarci alcuni svantaggi a breve scadenza».

Se la Svizzera dovesse abbandonare i regimi speciali, il gettito fiscale diminuirebbe in modo massiccio e «non possiamo permettercelo», avverte Bührer.

swissinfo e agenzie

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La legge svizzera distingue l’evasione fiscale dalla frode. La prima consiste nell’omettere di dichiarare al fisco una parte della sostanza imponibile o del reddito.

Si tratta di un’infrazione amministrativa perseguita dalle autorità fiscali, e non giudiziarie. Le banche non hanno il diritto di informare il fisco, salvo in caso di un’inchiesta giudiziaria.

La frode fiscale corrisponde invece ad una sottrazione criminale dei contributi per mezzo di titoli falsi (certificato di salario, registro degli immobili,…).

È punibile penalmente e gli istituti bancari sono tenuti a collaborare con le autorità giudiziarie, svizzere o straniere.

Lo scorso 14 febbraio, la polizia ha perquisito l’ufficio e l’abitazione dell’amministratore delegato delle Poste tedesche, sospettato di evasione fiscale.

Klaus Zumwinkel, a capo dell’azienda dal 1989, avrebbe trasferito 10 milioni di euro in Liechtenstein, sottraendoli così al fisco tedesco.

Nello scandalo sarebbero coinvolti numerosi altri evasori germanici “eccellenti”. Complessivamente si sospetta una frode ai danni dell’erario tedesco per un totale di 3,4 miliardi di euro.

I servizi segreti tedeschi avrebbero pagato 5 milioni di euro per ottenere le informazioni che cercavano sui depositi in Liechtenstein dei presunti evasori.

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