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Le donne di ieri e di oggi vogliono anche le rose

L'immagine simbolo del documentario di Alina Marazzi Vogliamo anche le rose

Al Festival di Locarno riflettori puntati sulle lotte e le rivendicazioni del movimento femminista in Italia a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta.

Nel suo documentario “Vogliamo anche le rose”, la regista italo-svizzera Alina Marazzi propone un percorso di riflessione partendo dal passato, ma estremamente attuale.

Nel suo ultimo lavoro, che è stato proiettato in Piazza Grande, la cineasta milanese si confronta con il femminismo, con le lotte, con le contraddizioni e l’ambivalenza femminili, con le conquiste mai veramente definitive.

Alina Marazzi cuce con bravura e sensibilità diversi materiali, che combina in modo ritmato: filmati privati in super 8, film sperimentali, testi scritti, testimonianze, materiali di animazione, fotoromanzi, riviste e foto d’epoca.

Attraverso un percorso quasi archeologico, la regista scava negli archivi, nella memoria collettiva, nei ricordi individuali, nelle lotte condivise, nei tormenti solitari delle donne nei cui destini solitudine e partecipazione collettiva sono le facce di una stessa medaglia: il desiderio di liberarsi da limitanti condizionamenti.

Nel film scorrono davanti agli occhi le immagini delle lotte di piazza per il diritto al divorzio e all’aborto, vengono riproposte le riflessioni legate alla pillola come mezzo per controllare la propria sessualità, si lascia spazio alle reazioni degli uomini e al loro rapporto conflittuale con la donna liberata.

Storie di donne, prima di tutto

Alina Marazzi non parla del suo film come di un documentario sul femminismo. “E’ un film che parla anche di femminismo – spiega a swissinfo – ma non solo. Nel mio documentario viene data voce a diverse donne, di diverse tipologie sociali, di differenti provenienze geografiche e non tutte femministe”.

Sono dunque fondamentalmente storie di donne, quelle che ci accompagnano in “Vogliamo anche le rose” alle quali il femminismo ha dato la possibilità di esprimere esigenze comuni e lottare per i loro diritti. Alina Marazzi non ha vissuto in prima persona il femminismo, ma attraverso le sue ricerche ha riconosciuto molte delle atmosfere che le erano familiari quando era ragazzina e frequentava il liceo.

“Il mio desiderio era di rivisitare la storia recente della liberazione sessuale per ricostruire un tassello della mia identità femminile oggi. Ho voluto riparlare di avvenimenti del passato con lo scopo di fare riflettere sull’oggi. Credo infatti che i temi affrontati nel film sono assolutamente attuali”.

Quel mancato passaggio di saperi

Il documentario fa riemergere effettivamente temi di straordinaria attualità. “Di fronte a pericolosi tentativi di restaurazione culturale – spiega Alina Marazzi – è importante ricordarsi che poco tempo fa le cose erano molto diverse, per cui non bisogna dare nulla per scontato”.

Nonostante quella del femminismo sia una stagione cronologicamente vicina, quasi sepolta nella memoria collettiva, molte rivendicazioni e lotte sembrano così lontane come mai. “Gli anni Settanta sono stati molto densi di trasformazioni – commenta Marazzi – e anche molto sofferti. Forse quello che c’è stato dopo, il cosiddetto riflusso degli anni Ottanta, è stato un tentativo di sgravarsi da un certo peso, da modalità di pensiero dove tutto veniva molto ideologizzato e teorizzato”.

Ma allora che cosa è andato perduto? “Una certa spontaneità e la passione nell’affrontare tutta una serie di argomenti. Si danno per scontate e acquisite molto cose e, oggettivamente, non c’è più l’urgenza di scendere in piazza per ottenere dei diritti”.

“Ci sono state molte conquiste, a livello normativo. Ma c’è stata anche una dispersione di energie ed è mancato un passaggio di saperi di questa nostra storia recente. Lo riconoscono – osserva Marazzi – anche le femministe: hanno conservato la memoria delle lotte, ma non hanno trasmesso questo sapere”.

“Il personale è politico”

A meno di non interessarsi agli studi di genere o di aver seguito questo percorso di emancipazione, la cultura femminista non è stata veramente trasmessa diffusamente. “Generalmente le ragazze di oggi – evidenzia la cineasta – ignorano quel passato di lotte. A loro paiono ovvie le libertà di cui godono. Si è inoltre perso, a livello diffuso, un certo tipo di pratica politica, di condividere necessità e urgenza”.

Uno degli slogan delle femministe era “il personale è politico”. Come lo vede oggi? “Bisognerebbe ricordarselo perché il personale continua ad essere politico. Mi sembra però che negli ultimi anni si dia molto peso all’individuo piuttosto che al collettivo”.

“Dall’assunto “il personale è politico” si è poi prodotta una sorta di degenerazione per cui il privato è pubblico: si parla di sesso, si vede tutto, si sa tutto di tutti, tutto è esibito, in Tv, nei reality, ovunque. Non c’è più una dimensione privata. E mettere in piazza il privato non porta nessuna riflessione”.

Come i petali di una rosa

Il documentario di Alina Marazzi, dove lo spazio dei sentimenti e delle relazioni è voluto, propone una terza via (simboleggiata nel film dalla donna che corre sulla spiaggia coperta dal velo da sposa): come alternativa alla contrapposizione o alla rinuncia, come luogo in cui far coincidere le molteplici aspirazioni della donna: lavoratrice, madre, sposa, indipendente, pronta alla condivisione, libera, sola o accompagnata. Aspirazioni, dunque, come tanti petali di un’unica rosa. Quella che vogliamo.

E non è un percorso sempre facile. Il desiderio di autonomia e il bisogno di amore si sviluppano spesso secondo dinamiche contraddittorie. E forse per le donne, spesso sospese in continue ricerche personali, sciogliere questo conflitto non sarà possibile.

C’è poi il ricorrente discorso dei modelli. “Noi donne siamo confrontati con modelli che spesso ci imponiamo da sole. Siamo anche bombardate da immagini distorte, forzate, inarrivabili che cerchiamo comunque di inseguire. Forse – suggerisce Alina Marazzi – fa parte di un atteggiamento femminile: volere sempre arrivare a qualcosa d’altro, tendere sempre ad un modello in più. Ma può essere un percorso terribilmente distruttivo”.

Meglio allora lasciare vivere e crescere in noi la bambina che, alla fine del film, corre libera e sorridente. Quella bambina che chiede le rose. Sì, anche le rose. “Perché in passato le donne – conclude Alina Marazzi – non si sono battute solo per il pane. Si sono battute per un mondo che desse spazio anche alla poesia delle rose”. Ed è una battaglia più che mai attuale.

swissinfo, Françoise Gehring, Locarno

Alina Marazzi è nata nel 1964: vive e lavora a Milano. Regista di documentari, è stata aiuto regista in lungometraggi per il cinema e ha collaborato a progetti di arte e video arte.

Con il film “Un’ora sola ti vorrei” ha vinto numerosi premi internazionali, tra i quali il premio per il miglior documentario al Festival di Torino 2002 e al Newport International Film festival (2003), e la menzione speciale della giuria al Festival di Locarno 2002 e al Festival dei Popoli di Firenze 2002.

Filmografia (documentari):

Per Sempre, co-produzione MIR Cinematografica, Cisa Service e RTSI.
Un’ora sola ti vorrei, 2002, (55′), coprod. Venerdì-RTSI.
Il sogno tradito, 1999, (46′), prod. Camera G&P, per RAI3.
Ragazzi dentro, 1997, (2 x 45′), prod. Camera G&P, per RAI 2.
Il Ticino è vicino? 1995, (46′).
Mediterraneo, il mare industrializzato, 1993, (52′).
Il declino di Milano, 1992, (52′), coprod. Studio Equatore-RTSI.

Vogliamo anche le rose (una coproduzione italo-svizzera) racconta il cambiamento portato dalla liberazione sessuale e dal movimento femminista in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta, attraverso i diari di tre donne.

Anita, Teresa e Valentina provengono da diverse regioni d’Italia e appartengono a diverse classi sociali, eppure sono accomunate dal fatto di essere donne e da un’uguale rivendicazione: non si riconoscono più in una società patriarcale, maschilista e maritale, che le vuole madri efficienti, mogli obbedienti, figlie integerrime.

Il titolo del film riprende il celebre slogan “Vogliamo il pane, ma anche le rose”, con cui nel 1912 le operaie tessili marcarono con originalità la loro partecipazione a uno sciopero di settimane nel Massachusetts.

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