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Le ruspe al lavoro a Manhattan; la Nato compatta con gli Usa per la rappresaglia

La ricerca di superstiti continua, ma la speranza si affievolisce Keystone Archive

Con il passare delle ore l'America si sta rendendo conto di tutta la terribile portata degli attacchi contro le torri gemelle e il Pentagono, che il presidente Bush ha definito "atti di guerra". Si rafforza la convinzione che il bilancio sarà nell'ordine di migliaia di cadaveri. L'Fbi, sulla pista araba, ha eseguito fermi a Boston e in Florida. Per la prima volta, la NATO ricorre all'articolo 5 che comporta una rappresaglia comune in caso di attacco a un suo membro.

Il difficile recupero dei corpi

Manhattan è diventata una gigantesca isola pedonale e la zona a sud della città, epicentro del disastro, è un’area di guerra. Le ruspe sono al lavoro sui resti del World Trade Center, dove lavoravano 40mila persone, ma il recupero dei cadaveri prosegue con estrema difficoltà, in mezzo al pericolo di crolli.

La popolazione sta dimostrando una grande solidarietà con il dono del sangue e con la presenza sul posto del disastro per fornire aiuti concreti.

Nove persone, poliziotti o pompieri, sono stati estratti vivi dalle macerie, dopo aver chiesto aiuto con i telefoni cellulari. Il corpo dei vigili del fuoco di New York è però decimato: non si hanno notizie di oltre 250 pompieri. William Feehan, il vicecapo dei pompieri newyorchesi, stava dirigendo le operazioni di soccorso alla base delle Torri Gemelle, quando il crollo lo ha seppellito.

A Washington, la conta delle vittime al Pentagono resta altrettanto incerta. Le fonti ufficiali si limitano a ripetere che il bilancio potrà variare dai 10 agli 800 morti.

Tra i dispersi anche cittadini svizzeri

Circa 700 cittadini elvetici mancano ancora all’appello, ha indicato mercoledì a Berna l’ambasciatore Walter Thurnherr, capo della Divisione politica degli svizzeri all’estero. Questa cifra non permette però ancora di avanzare ipotesi sul numero effettivo di vittime elvetiche, ha aggiunto. I servizi diplomatici elvetici non hanno ancora trovato connazionali negli ospedali di New York. Vi sono però molti indizi che lasciano presagire che tra i morti vi siano numerose vittime elvetiche, ha aggiunto Thurnherr. Il DFAE è in possesso di indicazioni “preoccupanti”.

Anche otto italiani mancano ancora all’appello del Consolato italiano di New York. Lo ha detto all’Ansa una fonte consolare. 6 di loro lavorano proprio alle Torri gemelle.

Caos nei cieli

Gli attentati hanno gettato nel caos il traffico aereo internazionale. Lo spazio aereo americano è stato parzialmente riaperto mercoledì alle 18.00, mentre Israele ha chiuso i propri cieli ai velivoli di compagnie estere. L’aeroporto di Zurigo-Kloten ha cancellato tutti i 22 voli verso gli Stati Uniti e il Medio Oriente.

Solidarietà fortissima dalla Nato all’alleato americano

Per la prima volta nella sua storia l’ Alleanza Atlantica ha deciso mercoledì sera di dichiarare applicabile all’ aggressione terroristica contro gli Usa l’ articolo 5 (detto «uno per tutti, tutti per uno») del suo trattato costitutivo, che prevede che un attacco armato rivolto ad un paese alleato debba essere considerato un’ aggressione contro tutti.

È un segnale politico senza ambiguità al popolo americano, dopo il trauma subito nel giorno più tragico della sua storia recente. La decisione è stata presa con una unanimità senza alcuna riserva dal consiglio atlantico, l’ esecutivo della Nato riunito a livello di ambasciatori in sessione pressoché permanente da martedì sera, dopo che gli americani avevano indicato di auspicare un segnale forte dagli alleati.

«Il consiglio atlantico ha deciso che se sarà stabilito che l’ attacco è venuto dall’ esterno contro gli Usa sarà considerato un’ azione coperta dall’ articolo 5 del trattato di Washington», ha detto ai giornalisti al termine della riunione il segretario generale George Robertson. L’ impegno preso dai 18 alleati degli Usa è per ora prevalentemente politico, ma potrà avere anche riflessi militari se e quando gli Usa decideranno un’ azione di ritorsione contro i registi dell’ attacco di martedì.

Nessun partner degli Usa ha sollevato obiezioni. La decisione è anche una fortissima novità sul piano della dottrina Nato. L’articolo 5 era stato scritto infatti nel pieno della guerra fredda per un possibile attacco militare tradizionale dei «rossi» di allora, contro uno dei paesi membri. Oggi scatta invece per quella che forse è stata la prima manifestazione di una guerra del XXI secolo, un massiccio attacco terroristico contro obiettivi vitali di uno Stato alleato.

I terroristi puntavano ancora più in alto

L’aereo dirottato che si è schiantato martedì contro il Pentagono aveva come obiettivo la Casa Bianca, ha affermato il portavoce presidenziale Ari Fleischer. Il portavoce ha detto che erano giunte “informazioni credibili”, martedì, che la Casa Bianca e l’Air Force One fossero tra gli obiettivi dei terroristi. Per questo il presidente George W. Bush aveva deciso di non tornare direttamente alla Casa Bianca dalla Florida, dove si trovava al momento degli attentati. L’aereo presidenziale ha infatti portato Bush prima in Louisiana, poi in Nebraska, prima di far ritorno nella capitale.

Cordoglio internazionale e reazioni

L’ondata di attentati ha provocato una serie di reazioni inorridite in tutto il mondo. Come il presidente russo Putin e il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, anche tutti i leader europei hanno manifestato il loro sgomento e il loro cordoglio con il popolo americano. Il governo svizzero ha trasmesso un messaggio di compassione e solidarietà.

Anche la Cina ha reagito con emozione e condanna agli attentati, ma alcuni giornali cinesi mercoledì mattina lasciavano intendere che “l’egemonismo della più grande potenza mondiale potrebbe avere contribuito alla tragedia.

Israele ha osservato mercoledì una giornata di lutto nazionale in memoria delle vittime degli attacchi terroristici.

L’offensiva terroristica è stata condannata anche dalla maggior parte dei paesi arabi, ad eccezione dell’Irak. Secondo la televisione irachena, “gli attacchi sono il frutto dei crimini contro l’umanità commessi dagli Stati Uniti”. L’Iran, la Libia e la Siria, sebbene accusati dagli Stati Uniti di appoggiare il terrorismo, hanno dal canto loro condannato gli attentati.

Pure il presidente dell’autorità palestinese, Yasser Arafat, si è detto molto toccato dall’ondata di violenza. Dai territori palestinesi sono però giunte immagini di giubilo di parte della popolazione per il dramma che si è abbattuto sugli americani. Il regime dei talebani, al potere in Afghanistan, ha condannato gli attentati, asserendo che gli attacchi non sono opera di Ben Laden, il terrorista internazionale nemico pubblico numero uno degli Stati Uniti.

Sicurezza ai massimi livelli

Dopo gli attacchi negli Stati Uniti, misure antiterroristiche sono state adottate in varie parti del globo. Dalla Russia alla Francia, alla Gran Bretagna, alla Svezia e alla Spagna e agli altri paesi europei, i governi hanno indetto riunioni d’urgenza per rafforzare le misure di sicurezza.

In Russia, le forze del ministero dell’interno sono state poste in stato d’allarme e hanno intensificato le misure di protezione degli edifici amministrativi più importanti. Dal canto loro, Cina, Gran Bretagna, Germania, Polonia e Grecia hanno inasprito controlli nei pressi delle ambasciate statunitensi, mentre la Francia ha rafforzato il suo piano antiterroristico e Israele ha chiuso il proprio spazio aereo ai velivoli delle compagnie aeree straniere.

Pure oggetto di particolare sorveglianza sono le basi militari americane nel mondo. Alla sede dell’Alleanza atlantica di Bruxelles è stato decretato lo stato di massimo allarme. Le Nazioni Unite stanno considerando l’ipotesi di ritirare il proprio personale dall’Afghanistan, per il timore di un attacco americano di rappresaglia. Alcune organizzazioni umanitarie hanno fatto sapere che propri dipendenti stanno per lasciare l’Afghanistan.

L’ombra di Bin laden

Sullo sfondo, appare sempre più concreta l’immagine di Osama Bin Laden, il saudita residente in Afghanistan, come possibile mandante dell’attacco più grave subito dall’America dai tempi di Pearl Harbor.

L’inviato delle Nazioni Unite in Afghanistan ha detto di aver ordinato lo sgombero di 80 funzionari dell’organizzazione internazionale nel timore di eventuali attacchi degli Stati Uniti, ma ha precisato di non avere alcuna informazione in merito.

Secondo il ministro della giustizia americano John Ashcroft alcune delle persone sospettate di avere realizzato il dirottamento, sono state addestrate come piloti negli Stati Uniti.

Il fallimento dei servizi segreti

Il momento delle inevitabili polemiche sul fallimento dei sistemi di sicurezza americani è rimandato. Tre dei quattro aerei dirottati hanno potuto puntare indisturbati sui bersagli. Restano interrogativi su quello caduto in Pennsylvania, che non era pieno. Sembra che i passeggeri abbiano deciso di sopraffare i tre dirottatori. Sembra inoltre che gli obiettivi dei terroristi fossero la Casa Bianca, il Campidoglio o Camp David.

Il punto alle indagini

A Boston, da dove gli attentatori sono saliti su due dei quattro aerei dirottati, le indagini hanno imboccato la pista araba. Secondo gli organi d’informazione locali, l’Fbi ha identificato cinque uomini di origini arabe che sarebbero saliti a bordo degli aerei. Sarebbero arrivati negli Usa su un’auto a noleggio dal Canada. La vettura è stata rintracciata nei pressi dell’aeroporto Logan. All’interno c’era un manuale in arabo sull’addestramento per il volo aereo.

Raid sono scattati in un albergo di Boston e in alcune abitazioni in Florida per interrogare alcune persone che potrebbero essere collegate alla rete terrorista di bin Laden.

Alcuni membri del Congresso, membri della Commissione Servizi Segreti, hanno rivelato che intercettazioni elettroniche effettuate dall’intelligence Usa poco dopo l’attacco di martedì hanno registrato conversazioni telefoniche tra “complici di bin Laden” dove venivano scambiati complimenti “per il successo dell’azione”.

Il cuore della finanza americana

Danneggiata fisicamente e scossa psicologicamente, la comunità finanziaria di New York sembra pronta a tornare al lavoro. Wall Street aprirà forse venerdì, anche se è più probabile un’apertura per lunedì prossimo. Lo ha detto il presidente della Borsa di New York Richard Grasso.

Aldilà dei problemi logistici e di personale, l’intero sistema telematico utilizzato dai mercati finanziari e dai principali operatori deve dimostrare di non essere rimasto danneggiato dal folle attentato terroristico. La sede del Nyse è situata nelle vicinanze del World Trade Center, per cui non sono da escludere eventuali danni alle reti in fibre ottiche o ai server attraverso cui vengono passati gli ordini di acquisto e vendita. Da questo punto di vista sembra correre meno rischi il Nasdaq, la cui sede è situata a Time Square, cioè molto più a nord in Manhattan. La capacità delle varie istituzioni finanziarie di confermarsi come portali d’accesso alle più grandi borse mondiali del mondo è però ancora un punto interrogativo.

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