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Lotta al terrorismo senza garanzie

La Villa Nada di Campione d'Italia, confiscata in margine alle indagini sul terrorismo internazionale Keystone

Dopo l'11 settembre, in Svizzera 293 persone sono toccate dalle misure antiterrorismo. Per queste non ci sono protezioni legali.

Anche in Svizzera niente più garanzia dello stato di diritto per chi finisce sulla lista nera antiterrorismo dell’Onu. Berna può decretare il blocco dei conti bancari, senza che il sospetto abbia modo di chiedere la verifica da parte di un giudice e senza che sia applicato il diritto di essere ascoltato.

«Attualmente sulla lista nera della Svizzera figurano 293 nomi» di privati e organizzazioni, ha indicato all’ats Othmar Wyss del Segretariato di Stato dell’economia (seco), confermando la cifra fornita domenica dalla «NZZ am Sonntag».

Pronta reazione

Dopo gli attentati dell’11 settembre, gli Stati Uniti hanno subito reagito, approntando una lista di presunti fiancheggiatori del terrorismo, in cui figurano nomi di persone e organizzazioni sospettate di avere rapporti con Osama bin Laden, la sua rete Al Qaida o i Taleban afghani. L’ONU ha fatto suo l’elenco e la Svizzera ha ripreso autonomamente in un’ordinanza il diritto sanzionatorio delle Nazioni Unite.

L’«Ordinanza che istituisce provvedimenti nei confronti dei Taliban» non prevede soltanto il congelamento degli averi per i sospetti. Essi non possono neppure entrare e viaggiare in Svizzera. Inoltre non può essere loro consegnato materiale bellico. Chi lo fa, rischia il carcere o una multa fino a mezzo milione di franchi.

La «NZZ am Sonntag» cita il caso del 74enne Mohamed Mansour, svizzero d’origine egiziana ed ex professore al Politecnico di Zurigo, messo all’indice con la moglie perché i due sedevano nel consiglio di amministrazione della società luganese Al Taqwa. Ribatezzata Nada Management e posta in liquidazione lo scorso gennaio, questa era sospettata di finanziare Al Qaida, ma secondo fonti della stessa Al Taqwa, riportate dal domenicale zurighese, i coniugi Mansour avrebbero svolto soltanto un ruolo di «figure alibi».

Mansour – autorizzato dal seco a ritirare soltanto lo stretto necessario per i bisogni quotidiani – ha chiesto il suo stralcio dalla lista nera con lettere di preghiera al Consiglio federale, all’Onu e agli Usa, finora senza successo.

Limiti delle misure preventive

«Il problema è solo che non sappiamo con sicurezza se le gente sulla lista è davvero coinvolta nel finanziamento del terrorismo», ammette Wyss. «Ma se gli USA o l’ONU dovessero dapprima verificare ogni caso, l’efficacia delle sanzioni finanziarie sarebbe praticamente nulla, perché la cosa durerebbe mesi». Quindi le banche, su ordine del seco, bloccano i conti degli indiziati senza sentire quel che hanno da dire. In tal modo è violato un diritto fondamentale, quello di essere ascoltato.

Chi è sospettato a torto dagli americani di finanziare il terrorismo si trova dunque senza mezzi di difesa. Al massimo, contro le sanzioni derivanti dalla lista nera può rivolgersi al Tribunale federale con un ricorso amministrativo o di diritto pubblico, denunciando una violazione di diritti fondamentali come la garanzia della proprietà o il diritto ad essere ascoltato.

Secondo Wyss, lo stralcio dalla lista per il momento è previsto soltanto per gli Stati, che possono a tal fine rivolgersi al Comitato per le sanzioni dell’ONU. Berna auspica però un cambiamento e insieme alla Svezia intende proporre una revisione del diritto internazionale delle sanzioni, affinché in futuro possano ricorrere anche i privati.

swissinfo e agenzie

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