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Friburgo-Ouagadougou, andata e ritorno

«In Africa la vita mi sembra più semplice», afferma Martina Rönicke Kaboré swissinfo.ch

Il Burkina Faso è da più di vent'anni la seconda patria di Martina Rönicke Kaboré. Da due anni e mezzo, la donna coordina le attività dell'ONG svizzera E-Changer nel paese africano. swissinfo.ch l'ha incontrata a Dakar, a margine del Forum sociale mondiale.

Basta uno sguardo al suo viso abbronzato per rendersi conto immediatamente che Martina Rönicke Kaboré vive a latitudini dove il sole non è certo merce rara.

Da due anni e mezzo, infatti, questa donna cresciuta a San Gallo vive a Ouagadougou, dove coordina le attività di E-Changer, un’organizzazione non governativa con sede nel canton Friburgo (vedi di fianco).

Martina, 53 anni, non è arrivata per caso nella capitale del Burkina Faso. Suo marito è infatti burkinabé. I due si sono conosciuti a metà degli anni ’80 in Svizzera, a Friburgo per la precisione, dove Brunot – suo marito, appunto – ha ottenuto una laurea in economia.

Primo soggiorno negli anni ’90

Dopo la nascita della prima figlia, la coppia rientra per la prima volta in Burkina Faso nel 1990. «Finiti gli studi mio marito aveva voglia di ritornare nel suo paese. Da parte mia ritenevo importante che mia figlia potesse conoscere la realtà dell’altro suo paese d’origine. Per questo mi sono detta che bisognava provare».

Durante questi primi otto anni trascorsi in Burkina Faso, il marito lavora per l’Unione rivoluzionaria delle banche, un istituto concepito in particolare per finanziare dei progetti di sviluppo, creato durante il regime socialista di Thomas Sankara (al potere dal 1984 al 1987, quando venne ucciso in un colpo di Stato orchestrato dall’attuale presidente Blaise Compaoré). Martina, che nel frattempo dà alla luce un secondo figlio, lavora dal canto suo nel settore della cooperazione. «Nel cortile della casa dove vivevamo coi nostri figli, in un quartiere popolare di Ougadougou, ho aperto un atelier di falegnameria nel nostro cortile con quattro giovani andicappati. Abbiamo fabbricato dei giocattoli educativi che abbiamo venduto negli asili privati della capitale. L’attività ha permesso a questi quattro giovani di diventare finanziariamente indipendenti . Per contribuire al budget famigliare, ho fatto delle lezioni di sostegno scolastico a bambini con qualche difficoltà iscritti alla scuola francese».

Questa prima esperienza prende fine nel 1998. «Abbiamo deciso di ripartire in Svizzera, principalmente per due ragioni. Da un lato perché mia figlia aveva 12 anni. Ho pensato ‘o lo facciamo adesso e mia figlia può reinserirsi nel sistema scolastico elvetico e sviluppare anche le sue radici svizzere, oppure rientrerà a 18 anni e resterà per sempre una straniera’. D’altro canto, mio marito era un po’ afflitto per come stava evolvendo il paese», spiega Martina.

In Svizzera, Martina lavora come maestra socio-professionale in un atelier per persone andicappate a Friburgo. Malgrado il diploma svizzero, per suo marito trovare un impiego si rivela invece una missione impossibile. «Quando siamo rientrati aveva 45 anni. Le sue esperienze le aveva maturate in Africa e per i datori di lavoro è come se non le avesse avute».

Tre anni fa la nuova svolta. Brunot invia una candidatura a E-Changer, alla ricerca di un volontario che può fornire un appoggio tecnico a un’associazione burkinabé di persone andicappate. Il suo profilo è ideale. Nello stesso tempo, Martina è assunta come coordinatrice per le attività dell’organizzazione nel paese africano. Due piccioni con una fava.

Sostenere i volontari

La figlia, ormai maggiorenne, rimane in Svizzera. Il figlio più piccolo, che all’epoca ha 14 anni, ’emigra’ una seconda volta. «Anche se la vita in Burkina Faso gli è sempre piaciuta, non era molto convinto. Per lui era sufficiente venire in vacanza – ricorda Martina. Come per la mia prima figlia, per me era però importante che conoscesse meglio anche la sua seconda patria. Oggi posso dire che si è adattato molto bene, è un po’ come un pesce nell’acqua».

A Ouagadougou, Martina coordina come detto le attività dell’ONG svizzera. «Da un lato mi occupo di preparare i partenariati con le associazioni, di fissare con loro degli obiettivi e di stilare ogni anno un bilancio. Dall’altro seguo i volontari e cerco di aiutarli ad integrarsi».

Una dei principali scogli è legato alla comunicazione. «Ricordo in particolare una volontaria che mi diceva che non sapeva bene come doveva esprimersi. Qui in Burkina Faso non si possono dire le cose in modo diretto, è malvisto. Inoltre la società burkinabé è molto gerarchizzata. L’età gioca un ruolo importante e bisogna dimostrare rispetto ai più anziani. Quando si è volontari, si possono sì lanciare delle idee, ma bisogna farlo sotto forma di battuta, ad esempio».

Fossato sociale

L’Africa è ormai entrata nel cuore di Martina. «Qui si vive sempre fuori e la vita mi sembra più semplice. Non c’è bisogno d’avere tutte quei beni materiali di cui in Europa ci sembra di non poter fare a meno. In Svizzera quando entro in un supermercato ho una vera e propria sensazione di rigetto vedendo così tante merci allineate sugli scaffali».

Vi è poi la gente. «È molto aperta, tollerante e ha un grande senso dello humour. Quando poi si è sposati con un africano l’integrazione va da sé. Ti dicono ‘sei una donna delle nostre’. Sono fieri di vedere che vivi come loro, ma nello stesso tempo non ti chiedono di comportarti come loro».

Naturalmente vi è anche l’altra faccia della medaglia. «Una delle cose che mi disturba di più è l’inquinamento. Il 90% delle strade non è asfaltato e nelle ore di punta la città è come racchiusa sotto una campana di polvere. Vent’anni fa c’erano poche auto. Oggi la circolazione è triplicata».

Rispetto all’inizio degli anni ’90 è diventato più profondo anche il fossato tra ricchi e poveri. «Prima chi aveva qualche mezzo finanziario comperava magari una piccola villa. Oggi si vedono dei veri e propri palazzi». Martina e la sua famiglia possono contare su una certa sicurezza finanziaria, ma non fanno di certo parte della classe ricca.

«È difficile vivere con queste immense differenze sociali. A volte ho veramente la coscienza sporca. Un giorno, ad esempio, ho acquistato un libro per E-Changer che costava un centinaio di franchi. Poi qualche ora dopo la mia vicina, che deve occuparsi da sola dei suoi tre figli perché il marito è malato mentale, mi ha detto che mancandole i soldi non poteva iscrivere a scuola suo figlio, che ha la stessa età del mio. Si trattava della stessa somma che ho speso per il libro… ».

L’associazione E-Changer, fondata nel 1959, ha sede a Friburgo.

L’obiettivo di questa organizzazione non governativa, che inizialmente si chiamava «Fratelli senza frontiere», è di rafforzare i movimenti sociali nei paesi del sud che si impegnano per migliorare le condizioni socio-economiche.

E-Changer non interviene finanziando dei progetti, bensì inviando dei volontari con determinate competenze, in particolare tecniche ed organizzative. I volontari, attualmente una quarantina, partono per un periodo di tre anni.

L’associazione è attiva in cinque paesi: Bolivia, Burkina Faso, Brasile, Colombia e Nicaragua.

In Burkina Faso, ad esempio, E-Changer collabora con quattro associazioni (una delle quali in Mali) Altri due partenariati sono in preparazione. Il marito di Martina Rönecke Kadoré lavora per Handicap Solidaire, un’organizzazione che si occupa di persone andicappate.

Popolazione: 15,7 milioni (2009)

Crescita demografica annua: 3,4%

Tasso di mortalità infantile (sotto i 5 anni): 166 su 1’000

Tasso di natalità: 5,9 bambini per donna

Speranza di vita: 53,7 anni

Prodotto interno lordo pro capite: 1’170 dollari

Tasso di disoccupazione: 77%

Tasso di alfabetizzazione: 21,8%

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