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Migrazione: in Svizzera il test del DNA è già praticato

I costi di laboratorio per un test del DNA ammontano a circa 1500 franchi Keystone Archive

La Francia ha adottato una normativa che permette di praticare i test genetici agli immigrati candidati al ricongiungimento familiare. In Svizzera questa pratica esiste già ma non è mai stata sottoposta al voto popolare.

Il deputato socialista Carlo Sommaruga si dice scioccato da questa misura e intende chiedere al parlamento svizzero di intavolare un dibattito in merito.

Il progetto, adottato lo scorso mese dai senatori e questa settimana dai membri dell’Assemblea nazionale francese, autorizza il ricorso a test sul DNA nell’ambito del controllo dei flussi di migrazione. Esso dovrà servire a provare l’effettiva filiazione nei casi in cui l’immigrato è originario di un paese dove la struttura dello stato civile è “carente”.

L’esperienza si protrarrà fino al 31 dicembre del 2010 e riposerà su basi volontarie; ciò significa che il test non potrà essere imposto all’immigrato. Quest’ultimo potrà però farlo valere come un suo diritto: “La nuova legge consentirà agli stranieri in buona fede di presentare il risultato dell’esame genetico come elemento di prova del loro legame familiare”, ha detto il ministro francese dell’immigrazione Brice Hortefeux.

La misura è stata aspramente criticata dai suoi oppositori, segnatamente dalla sinistra, ma anche da responsabili religiosi, intellettuali e organizzazioni non governative. Anche all’interno della maggioranza taluni politici hanno preso le distanze dal testo.

“Ultima ratio” in Svizzera

Il dibattito ha avuto ripercussioni anche in Svizzera, dove si scopre che i test del DNA in ambito di immigrazione sono già praticati.

Secondo la legge federale sugli esami genetici sull’essere umano, “se nell’ambito di una procedura amministrativa sussistono dubbi fondati sulla filiazione o l’identità di una persona che non possono essere dissipati in altro modo, l’autorità competente può subordinare il rilascio di un’autorizzazione o la concessione di una prestazione all’allestimento di un profilo del DNA”.

Una direttiva del 2004 dell’Ufficio federale delle migrazioni prevede, oltre alla possibilità di ricorrere ai test, una lista di 33 paesi – di cui 22 africani – i cui registri dello stato civile lasciano a desiderare. In caso di dubbi, le rappresentanze svizzere possono rivolgersi ai cantoni, competenti in ambito di ricongiungimento familiare, per chiedere prove più precise.

Quasi la metà delle 30’000 domande annue di ricongiungimento familiare concernono persone che vivono in paesi europei. Per le altre è impossibile stimare il numero di test sul DNA effettuati. A titolo d’esempio, nel 2003 Basilea Campagna ha annunciato un solo caso, mentre Argovia ne ha registrati tre o quattro da una decina di anni a questa parte, scrive un giornale svizzero tedesco.

Il deputato socialista ginevrino Carlo Sommaruga cade dalle nuvole: “Sono scioccato perché non immaginavo che in Svizzera si potesse ricorrere ad una simile pratica senza prima sottoporla a un dibattito parlamentare. È inammissibile!”, afferma.

Zona grigia

All’UDM, Jonas Montani risponde che una base legale esiste. Oltre alla legge federale sugli esami genetici sull’essere umano, la nuova legge sugli stranieri, che entrerà in vigore il prossimo 1. gennaio, fa riferimento ai test del DNA.

Una spiegazione che tuttavia non convince l’Organizzazione svizzera di aiuto ai rifugiati (OSAR): “Il parlamento non si è reso conto della portata di queste disposizioni legislative quando ne ha esaminato i progetti. Di conseguenza non è stato intavolato alcun dibattito riguardo la violazione della sfera privata”, dichiara Yann Golay.

Per il giurista dell’OSAR in questo ambito la Svizzera si situa in una “zona grigia”: “Da anni nella pratica le autorità ricorrono ai test del DNA, ma in merito non esistono né informazioni chiare da parte dei cantoni, né statistiche nazionali”, afferma.

Un aiuto a doppio taglio

L’UDM sottolinea che il test è volontario: “È un aiuto a disposizione dei candidati che non sono in grado di fornire una prova riguardo il loro stato civile. Inoltre, la legge sugli stranieri del 1931 prevede un dovere di collaborazione da parte loro”, precisa Jonas Montani.

Un aiuto che Daniel Menna, portavoce dell’incaricato federale alla protezione dei dati, giudica “alquanto relativo, poiché in caso di rifiuto di sottoporsi al test, il candidato rischia di farsi rifiutare il visto d’entrata”.

Secondo Menna, il problema è soprattutto politico: “Il parlamento ha votato le leggi che prevedono la possibilità di allestire in talune situazioni un profilo genetico”, afferma. “È un dato di fatto che non può essere rimesso in causa. La base legale esiste e rispetta il principio della protezione dei dati”.

Dal canto suo, il membro della Commissione nazionale di etica, Alexandre Mauron, fa notare che “in Francia i test del DNA sono ordinati da un giudice. In Svizzera la situazione è invece meno chiara per quanto riguarda l’autorità competente”, spiega a swissinfo.

Situazione imbarazzante

Per Alexandre Mauron non dovrebbe essere possibile obbligare una persona a fornire la prova di un legame biologico (“Un padre su dieci o su venti non è il vero padre”, afferma), quando il nostro sistema giuridico considera la filiazione un legame soprattutto sociale.

Non va poi dimenticata la questione dei costi: in Francia l’esame del DNA volto a stabilire un legame sanguigno è rimborsato dallo Stato, in Svizzera no. “Secondo le informazioni a nostra disposizione l’esame costa all’incirca 1500 franchi”, indica Yann Golay.

Il tema delle analisi genetiche sembra destinato a suscitare ulteriore fermento. Carlo Sommaruga sta infatti elaborando un intervento (probabilmente un’iniziativa parlamentare) per chiedere una base legale chiara sul tema, che possa essere dibattuta dai politici e in caso di referendum sottoposta al voto popolare.

swissinfo, Isabelle Eichenberger
traduzione e adattamento, Anna Passera

Nel 2006, 30’701 svizzeri e stranieri hanno beneficiato del raggruppamento familiare. Si tratta del secondo motivo (36,6%) di immigrazione.

La domanda di raggruppamento può concernere unicamente il congiunto e i figli sotto ai 18 anni.

Per ottenere il raggruppamento familiare occorre disporre di un alloggio adeguato, di un’assicurazione malattia per tutta la famiglia e di redditi sufficienti al suo mantenimento.

I possessori di un permesso di soggiorno (permesso B) devono avere un impiego stabile.

Il DNA (acido deossiribonucleico) contiene le informazioni sul patrimonio genetico di una persona.

Se esistono dei dubbi riguardo alla filiazione o all’identità di una persona, la legislazione elvetica stipula che è possibile ricorrere ad un esame del suo DNA.

In Svizzera l’esame del DNA è possibile solo previo accordo scritto del diretto interessato.

Quando non è possibile provare altrimenti l’identità o la filiazione di una persona, la rappresentanza svizzera all’estero segnala al candidato che egli è libero – in virtù del suo obbligo legale di collaborare con le autorità – di fugare ogni dubbio sottoponendosi a un test del DNA.

Benché sia libero di farlo, se il candidato rifiuta di sottoporsi a questo test, le autorità possono respingere la sua domanda di visto d’entrata invocando le prove lacunose presentate.

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