La serie “Kodak City”, della fotografa svizzera Catherine Leutenegger, è una testimonianza della città industriale di Rochester, nello Stato di New York. Qui è come se la vita si fosse fermata con la morte improvvisa della pellicola fotografica, travolta dal digitale.
Questo contenuto è stato pubblicato al
Dopo un inizio di carriera nella stampa regionale (scritta e radiofonica) in Romandia, ho raggiunto Radio Svizzera Internazionale nel 2000, durante la transizione da cui è nata swissinfo.ch. Da allora, scrivo e realizzo ogni tanto dei brevi video su ogni tipo di tema, dalla politica all'economia, passando per la cultura e la scienza.
È a Rochester che George Eastman inventa e mette sul mercato, tra il 1887 e il 1889, le prime pellicole fotografiche flessibili. Ed è a New York che Catherine Leutenegger risiede nel 2007, impegnata in un programma artistico. Come continuazione logica di un pellegrinaggio fotografico iniziato in Svizzera col suo lavoro di diploma, l’artista losannese inizia ad interessarsi a questo esempio tipico di “Company Town”, una sorta di città operaia, dove la perdita di una sola industria può portare a uno spopolamento generalizzato.
Sul posto, Leutenegger fatica ad ottenere l’accesso ai quartieri generali della Kodak e soprattutto del “Kodak Park”, uno dei più grandi parchi industriali al mondo. E questo malgrado le raccomandazioni che l’artista è riuscita a raccogliere presso diverse istituzioni. Retrospettivamente, tuttavia, si rende conto che questi vincoli hanno in qualche modo «salvato il suo approccio artistico». Leutenegger scrive: «Mi hanno portata ad affrontare il tema da un’altra prospettiva. Una prospettiva forse meno prevedibile. La frustrazione iniziale si è trasformata in una volontà di riuscire a raccontare la mia storia in un altro modo, interessandomi maggiormente alle ripercussioni del declino delle vendite delle pellicole sulla città di Rochester e sui suoi abitanti».
“Kodak City” è ora oggetto di un libro, che racconta la fine di un capitolo unico della storia fotografica. Un libro, scrive ancora Catherine Leutenegger, «funziona bene come traccia storica. Permette di conservare dei momenti come in un barattolo di formaldeide. È un oggetto sensoriale, vettore di messaggi ed emozioni in un ambiente dominato da tutto ciò che è virtuale».
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.
Per saperne di più
Altri sviluppi
Gli archivi di stampa, un tesoro!
Questo contenuto è stato pubblicato al
Il gruppo Ringier è nato nel 1959 acquistando l’agenzia fotografica Arnold Theodor Pfister (ATP) e, soprattutto, lanciando il «Blick», primo giornale scandalistico svizzero e gran consumatore di immagini. A partire dagli anni ’90, la foto digitale ha completamente sostituito quella analogica. Nel 2009, Ringier ha donato agli archivi del canton Argovia il più importante fondo…
Questo contenuto è stato pubblicato al
«È una tragedia. È un po’ come dire a un falegname che non c’è più legna: quando avrà finito le sue riserve per fabbricare degli scaffali, dovrà darsi ai violini, utilizzando un materiale raro come l’oro!». Roland Wirtz, fotografo di Berlino, lavora dal 2004 con Ilford Svizzera. Oltre a sviluppare le sue gigantografie sulla carta…
Non è stato possibile registrare l'abbonamento. Si prega di riprovare.
Hai quasi finito… Dobbiamo verificare il tuo indirizzo e-mail. Per completare la sottoscrizione, apri il link indicato nell'e-mail che ti è appena stata inviata.
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.