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Ombre e peso delle immagini

Nelle moderne società dei paesi avanzati «tutti sono ospiti e tutti devono riconoscersi reciprocamente come tali» Keystone Archive

Il razzismo contro i neri in Svizzera è stato il tema di una conferenza nazionale della Commissione federale contro il razzismo (Cfr).

L’occasione per questa riflessione è data dalla ricorrenza, giovedì 21 marzo, della giornata internazionale contro il razzismo, decisa nel 1997 dall’Assemblea generale dell’Onu per ricordare il massacro di 70 manifestanti neri, il 21 marzo 1960, ad opera della polizia sudafricana.

Anche quest’anno hanno luogo nel mondo intero varie azioni in occasione di tale ricorrenza. E la Svizzera, da quando ha aderito alla Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, viene sempre più sollecitata a prender parte attiva a queste manifestazioni.

La Svizzera e il colonialismo

La Cfr ha risposto convocando, mercoledì, un’apposita conferenza nazionale sul tema, anche nel quadro della messa in opera dei risultati della Conferenza mondiale dell’Onu. Contro il razzismo, svoltasi a Durban, in Sudafrica, nel settembre 2001. L’obiettivo è quello di analizzare i fondamenti storici del razzismo contro i neri e le sue manifestazioni quotidiane in Svizzera.

Le linee guida della conferenza sono state tracciate dal presidente della Cfr, lo storico Gerorg Kreis. I rapporti tra bianchi e neri – ha detto Kreis – sono sempre stati marcati dalle ineguaglianze, di cui il colonialismo e lo schiavismo sono stati l’espressione più violenta. Quel passato ha lasciato tracce fino ai giorni nostri.

La Svizzera non è stata una potenza coloniale, ma «imprese svizzere hanno partecipato alla cosiddetta ‘apertura’ dell’Africa e dell’Asia. E chi oggi in Svizzera è consapevole che questo paese ha avuto la sua parte nello sfruttamento coloniale del mondo, può sentirsi anche meno disturbato se le ineguaglianze portano ospiti che non sono stati invitati».

Riscrivere la storia

Ma nelle moderne società dei paesi avanzati «tutti sono ospiti, e tutti devono riconoscersi reciprocamente come tali», ha proseguito Kreis. Si tratta, quindi, in sostanza, di prendere consapevolezza delle ombre che il passato coloniale e lo schiavismo proiettano sulla società odierna, cioè di capire le radici del razzismo verso i neri, per poterlo affrontare e rimuovere.

Una tesi, questa, condivisa dall’economista e animatore sociale congolese Noël Tashibangu, in Svizzera dal 1987 e membro della Cfr, che ha sottolineato come secondo lui occorra «rileggere e riscrivere onestamente la storia, per denunciare l’ideologia colonialista ed i suoi crimini», e per trovare con questa operazione gli strumenti di lotta al terrorismo nella vita pratica.

Uomini senza storia

La relazione centrale della conferenza, punto di partenza per la ‘tavola rotonda’ e per i gruppi di lavoro che sono seguiti, è stata tenuta dal professor Albert Wirz dell’Istituto di scienze asiatiche e africane dell’Università Humboldt di Berlino. Wirz, che da 20 anni si occupa di questi temi, ha in sostanza sostenuto che «razzismo e schiavismo albergano nel cuore della nostra cultura».

E per dimostrarlo ha esposto, in un ‘excursus’ storico, come il concetto di ‘nero’ sia «frutto dello schiavismo transatlantico». In breve: tutti gli stereotipi sugli schiavi e sui padroni furono riprodotti in America, e alla parola ‘schiavo’ si è fatto corrispondere il concetto di «uomini senza storia».

La differenza è progresso

Il concetto di razza è invece frutto – sempre secondo Wirz – della moderna scienza naturale: un pensiero che, per principio, cerca di tracciare limiti, separazioni, schemi e classificazioni. «Non ci fossero stati il colonialismo, lo schiavismo e la classificazione scientifica, non avremmo oggi il problema del razzismo», è la conclusione tratta da Wirz.

Il quale ha aggiunto che, se la storicizzazione delle differenze ha prodotto colonialismo e schiavismo, la deduzione logica è che «le differenze culturali producono invece il progresso» inteso come superamento del colonialismo, dello schiavismo e del razzismo.

Silvano De Pietro

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