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Paure e speranze di fronte alla mondializzazione

Nelle zone di Crisi, come in Argentina, la globalizzazione è vissuta come minaccia Keystone Archive

Per la prima volta, un sondaggio tocca il polso alla popolazione mondiale. Lo studio del WEF scandaglia il rapporto delle masse con la globalizzazione.

Per il sondaggio sono state interpellate 25’000 persone di 25 paesi. Gli esperti del Forum economico mondiale hanno condensato i risultati in un rapporto, presentato venerdì a New York, durante il meeting annuale. Lo studio, realizzato lo scorso anno, contempla il 67 per cento della popolazione mondiale.

Prima conclusione: la globalizzazione ha una buona reputazione. Nella maggioranza dei paesi studiati (di cui non fa parte la Svizzera), una buona parte della popolazione vede di buon occhio gli effetti della globalizzazione.

La spinta dell’inquietudine

Fra gli entusiasti, gli olandesi battono tutti con l’87 per cento dei favori verso l’evoluzione economica. I turchi invece si dimostrano fanalino di coda con il 61 per cento degli intervistati che si esprime negativamente sui processi internazionali. Ma l’idea conquista terreno. La disponibilità verso i cambiamenti macroeconomici è aumentata nella maggior parte dei paesi, se confrontata con uno studio analogo, svolto alcuni anni fa.

Ma questo sondaggio va più avanti, contemplando anche la ricezione individuale dei processi esterni. È qui che si rivela il malessere.

Più imposte, meno poveri

La maggioranza degli interpellati ritiene che fra gli effetti della globalizzazione ci saranno una disoccupazione più marcata e più povertà, come un maggiore peso per l’ambiente. “Si nota una certa inquietudine”, registra Rick Samans, membro della direzione generale del WEF.

Sorprende invece che una solida maggioranza sostenga l’idea di pagare più tasse, per permettere di migliorare la situazione dei poveri. Ma lo studio permette anche di rilevare la differenza di percezione nelle diverse zone del mondo. Nei paesi in crisi, come la Turchia e l’Argentina, lo scetticismo è di rigore.

“Nei paesi più poveri invece la globalizzazione suscita delle speranze per migliorare la propria situazione”, commenta Rick Samans.

Autocensura

Rimane il fatto che lo studio è lungi dall’essere perfetto. Solo 25 paesi sono stati contemplati. Il mondo arabo è per esempio presente solo con il Qatar.

Questo genere di sondaggi rimane per tanto discutibile. Certe domande in alcuni paesi non sono neanche state poste, per evitare di ferire la suscettibilità politica o sociale.

Miriam Behrens, organizzatrice del Public Eye on Davos, il “contro-forum” riunito a New York, critica inoltre la mancanza di precisione nelle domande del questionario: “Per noi è altrettanto importante conoscere gli effetti negativi della globalizzazione, per esempio nella questione ambientale”.

Sostegno agli “anti-global”

Secondo la Behrens, la pubblicazione non avviene a caso: ” il Forum gioca strategicamente, rendendo noti dei dati positivi alla vigilia della grande manifestazione contro gli effetti della globalizzazione. Il traguardo è di dimostrare che la maggioranza della popolazione non ha nulla contro questi processi economici”.

Ma anche il movimento dei critici del WEF fa parte delle domande del sondaggio. La maggioranza degli interpellati sostiene nettamente chi in pubblico critica la grande economia e i suoi meccanismi. A condizione che l’opposizione sia pacifica.

Pierre Gobet, inviato speciale, New York

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