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Penna o computer è il testo che conta

Hugo Loetscher al computer, ma le penne sono a portata di mano (foto: RDB) RDB

Scriviamo sempre meno a mano e sempre più al computer, ma questo, racconta lo scrittore Hugo Loetscher, non ha cambiato l'essenza della scrittura.

Ad essere cambiato è però il rapporto con la calligrafia. Con conseguenze anche per i grafologi: i loro servizi sono sempre meno richiesti dalle aziende.

«Io proprio non capisco tutto il teatro che il mondo degli scrittori fa intorno al computer quando dice che è qualcosa di nuovo, che cambia la scrittura…» Hugo Loetscher, classe, 1929 è tra i decani della letteratura svizzera, ma non ha affatto nostalgia dei tempi in cui un testo era redatto a mano o battuto alla macchina da scrivere.

Da ormai più di 15 anni scrive al computer – «me lo ha regalato la casa editrice per il mio sessantesimo compleanno» – e se anche non ne ha studiato tutte le potenzialità ha imparato in fretta ad utilizzare i programmi che gli semplificano il lavoro: elaborazione testi e posta elettronica.

«Conosco gente che sostiene di dover ancora scrivere a mano. Per me questo modo di vedere ha in sé qualcosa di romantico. Le giovani generazioni non si pongono nemmeno il problema, hanno sempre scritto al computer. Quando chiedo a colleghi che ancora oggi sono recalcitranti all’idea di lavorare col computer il perché di questo loro atteggiamento non ottengo risposte convincenti».

A ciascuno il suo

Agli antipodi dell’approccio funzionale di Loetscher – «è chiaro che se mando una cartolina a qualcuno la scrivo a mano, a seconda della situazione s’impone un mezzo piuttosto che un altro» – c’è la posizione dello scrittore italiano Alain Elkann, che all’ultima edizione del Salone del libro di Ginevra ha dichiarato: «Io quando scrivo, scrivo a matita. Mi piace poter cancellare. Se si tratta di un articolo lo scrivo a penna, poi magari lo detto a qualcuno che lo batte al computer. Dettando si rivede il testo, lo si può correggere, si può capire che effetto fa».

Sempre a Ginevra, la scrittrice svizzera Fleur Jaeggy, milanese d’adozione, diceva di non mettere le mani su nient’altro che la sua vecchia macchina da scrivere. «Però ho sempre con me una penna e delle matite. Ho delle matitine piccole con la gomma: sono eccezionali per prendere due appunti».

Come Loetscher, anche Rosetta Loy è passata al computer: «All’inizio è stato abbastanza traumatico, adesso fa parte del mio cervello. Se non ho il computer non riesco a scrivere. Certo, bisogna prestare attenzione al mezzo. Il computer potrebbe portare ad un mutamento della scrittura perché è troppo facile, è troppo veloce e si fa troppo in fretta a correggere. Però se uno riesce ad interiorizzarlo, secondo me è un grande strumento».

Le forbici di Dürrenmatt

Quello che conta, alla fine, è il testo. «Il problema è la scrittura», sottolinea Hugo Loetscher, «è quella cifra che distingue me da un altro scrittore, ed è indipendente dal fatto di vergare un testo a mano, batterlo a macchina o al computer».

In realtà lo strumento di cui ci si avvale non è del tutto neutro. «Degli studi psicologici sostengono che il gesto meccanico di battere un testo è un gesto simmetrico, completamente diverso dal gesto dello scrivere a penna, che è un gesto ciclico ed asimmetrico», spiega Michele Loporcaro, professore di linguistica all’Università di Zurigo.

Ma anche per il professore questo cambiamento non incide in modo decisivo sul risultato finale. Più preoccupante è l’aspetto della ricezione. Qui il computer ha fatto dei danni, perché ha messo in crisi la «mentalità tipografica» ereditata dall’Illuminismo. La lettura su supporto cartaceo, non condizionata da immagini in movimento, sta alla base «di fatti di natura politica di enorme rilevanza: la nascita della democrazia moderna, la divisione dei poteri, la concezione del giornalismo come quarto potere».

Ma se da un punto di vista ricettivo, la lettura di libri non può essere sostituita dalla lettura su video, quando si elabora un testo la differenza tra penna e computer sembra essere più che altro una differenza di tempo: «Il computer è comodo», sottolinea Loporcaro, «e anche chi, come me, appartiene alla generazione che scrive sempre prima tutto a penna, lo usa dopo la prima stesura di un testo se non vuole essere condannato a lavorare molto più degli altri e quindi a non essere più competitivo».

«Obiettivamente il computer comporta dei vantaggi», gli fa eco Hugo Loetscher. «Si può correggere, spostare… Se penso a Dürrenmatt che lavorava con forbici e colla e componeva così in modo nuovo il testo… Oggi col computer non servono più ne forbici né colla per ricomporre un dialogo!» Ma c’è una cosa che Hugo Loetscher non fa al computer: le correzioni finali. «Per quelle devo avere il testo stampato davanti agli occhi».

Non sappiamo più scrivere a mano?

Il computer ha certo i suoi vantaggi, ma forse rischia di far sparire la cultura della calligrafia, uno dei campi in cui si riflette la singolarità di una persona. «Nonostante la scrittura a mano abbia perso d’importanza in ambito privato e lavorativo, resta ancora molto presente nella formazione», sdrammatizza Markus Furrer, psicologo specializzato in grafologia. «Chi va all’università o segue corsi di perfezionamento prende ancora degli appunti a mano».

Per i grafologi, che dalla calligrafia di una persona ricavano elementi sul carattere e le attitudini dello scrivente, al momento la gente sa ancora scrivere. «Il processo di automatizzazione funziona ancora. Le persone non devono concentrarsi in modo particolare per vergare le lettere che compongono una parola. Inoltre, raramente tra gli adulti si riscontra una calligrafia che è rimasta ferma alle forme scolastiche. La calligrafia è ancora personalizzata».

L’automatizzazione e la personalizzazione della scrittura sono elementi fondamentali per poter condurre un’analisi grafologica. In passato questo tipo d’analisi era molto in voga per capire se il profilo dei candidati ad un posto di lavoro corrispondesse alle esigenze di un’azienda. «Oggi la grafologia non è più richiesta come un tempo», afferma Furrer. «Proprio perché si scrive molto meno a mano, le persone sono meno disposte a sottoporsi a questo tipo di test».

Ma ci sono anche altri motivi, come i progressi della psicodiagnostica, che oggi mette a disposizione soluzioni alternative alla grafologia, criticata perché poco scientifica. «Ci sono comunque aziende che chiedono ancora i nostri servizi. La grafologia è uno strumento interessante e poco costoso che dà un quadro complessivo di una persona. Certo, purtroppo ci si può anche sbagliare, così come un medico può sbagliare una diagnosi».

swissinfo Doris Lucini

Per lunghi secoli la scrittura è stata affidata a strumenti per incidere, a carboncini, penne d’uccelli e pennelli.

1664: la scoperta della bachelite porta all’invenzione della matita, che, a differenza del carboncino, si può cancellare (il rivestimento di legno arriverà nel 1795).

1780: Scheller di Leipzig sviluppa un prototipo di penna da viaggio in bronzo e corno con serbatoio. È l’antenata della moderna stilografica.

1873: Remington comincia a costruire industrialmente macchine da scrivere.

1935: Lazlo Biro presenta i primi prototipi di penna a sfera. Il successo arriverà negli anni Sessanta.

1983: la IBM mette in vendita il primo personal computer; nasce la videoscrittura.

La nuova generazione di computer portatili (come il Tablet Pc presentato nel 2002) permette di scrivere sullo schermo come si scriverebbe su un foglio; le parole possono poi essere convertite in caratteri tipografici o salvate rispettando la grafia dell’autore.

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