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Allargamento UE: opportunità o pericolo?

Ad Atene sventolano le bandiere dei candidati all'adesione Keystone

Quale futuro per la Svizzera in un'Europa unita allargata a est? L'integrazione di dieci nuovi paesi pone nuove sfide.

Con l’arrivo dei primi dieci paesi dell’ex-blocco sovietico, la Svizzera deve chiarire il proprio ruolo discosto dal concerto europeo.

Riuniti ad Atene, i capi di stato dei quindici membri dell’UE e dei dieci paesi candidati all’adesione hanno chiarito gli ultimi dettagli. Con la firma dei protocolli l’Europa politica cambia. Il libero mercato interno si apre verso est e alcune correzioni al sistema di governo offrono le basi per un nuovo ruolo internazionale ancora più determinate.

Sebbene l’Iraq continui ad essere il tema focale che negli ultimi mesi ha reso esplicite le differenze culturali e politiche interne, l’Europa politica cresce e la Svizzera sta a guardare. Ad Atene ci sarà solo giovedì uno spazio per il paese delle Alpi, al tavolo con tutti gli altri paesi del continente fuori dall’Unione.

Svizzera a lato?

Fin ora – vista la maggioranza popolare contraria all’adesione, riaffermata ancora l’anno scorso alle urne – Berna ha cercato di definire le sue relazioni commerciali e politiche attraverso gli accordi bilaterali con Bruxelles. Attualmente sono sette i dossier su cui è stata trovata un’intesa. Ma con il nuovo contesto, le cose potrebbero cambiare. Per questo giovedì ad Atene ci sarà il Presidente della Confederazione Pascal Couchepin in persona.

L’allargamento – il fatto è sicuro – avrà infatti delle conseguenze anche per la Svizzera. Attualmente sono in corso le trattative per un secondo pacchetto di accordi bilaterali e dei cambiamenti sul percorso sono possibili.

Tra i temi spiccano l’asilo politico (dossier che l’UE ha regolamentato a Dublino), la collaborazione in materia di polizia (Schengen) e il segreto bancario (delitti fiscali). Benché siano stati raggiunti alcuni punti d’intesa, non c’è ancora niente di ratificato.

Opportunità o pericolo?

Per la sinistra l’allargamento ai paesi dell’est è da salutare. Lo conferma il consigliere nazionale socialista Andreas Gross. Per il deputato un avvicinamento dei mercati, ma anche della cultura politica di quei paesi all’occidente europeo non può che essere positiva; anche per la Svizzera.

Diametralmente diversa la posizione fra gli euroscettici di sempre, localizzabili alla destra dello spettro politico: si teme soprattutto un flusso migratorio incontrollato, favorito dalla libera circolazione.

Con poca simpatia si vede inoltre la richiesta europea che vuole una partecipazione svizzera al «Fondo di coesione» a sostegno dei paesi candidati. Non ci sarebbero ragioni per chiamare la Svizzera alla cassa di un allargamento che non ha voluto.

Il grande mercato

Per Gross, l’adesione dei nuovi stati dimostra invece che «l’UE non è solo un club per ricchi», ma che il disegno politico offre spazio anche a quei paesi che fino al 1989 facevano parte del blocco sovietico.

Per questi stati si apre ora una prospettiva di sviluppo economico. Un’occasione che per Gross può essere solo ritenuta positiva. Inoltre il socialista ritiene la richiesta di una partecipazione svizzera allo sviluppo «pertinente».

«Non si tratta del finanziamento dell’allargamento politico dell’UE. Ma di partecipare alla costruzione di un nuovo mercato di cui approfitterà anche la Svizzera», spiega Gross.

In definitiva, negli ultimi cinquant’anni, la Svizzera ha approfittato dello sviluppo economico pacifico dell’Europa. Per questo la richiesta europea sarebbe legittima.

Liberali e UDC contro i contributi finanziari

La nuova presidentessa del Partito radicale, Cristiane Langenberger, ritiene invece che la Svizzera non debba partecipare alle spese, in quanto non membro dell’UE. Per l’associazione del padronato, economiesuisse, la richiesta di Bruxelles è da ritenersi invece «insolita», come afferma Gregor Kündig a swissinfo.

Anche l’UDC non ne vuole sapere delle richieste finanziarie. Il partito degli euroscettici promette già di impugnare il referendum nel caso si arrivasse ad un ammorbidimento nel dossier libera circolazione delle persone.

Rinegoziazioni?

Con l’adesione, anche i nuovi paesi diventeranno partner della Svizzera, perché i trattati già elaborati verranno estesi nella loro validità anche ai nuovi membri. Unica eccezione sarà la libera circolazione delle persone che verrà ridiscussa con i singoli stati.

Per i radicali l’allargamento è un’occasione per garantire al paese la necessaria forza lavoro, soprattutto nelle categorie più basse. Sono l’agricoltura e le strutture sanitarie che hanno un costante bisogno di mano d’opera a buon mercato.

Ma questo argomento non piace ai sindacati che indicano il numero crescente dei disoccupati in tutto il paese. L’UDC, analogamente alla posizione imboccata in occasione della prima tornata degli accordi bilaterali, punta il dito sulla potenziale ondata di persone in cerca di lavoro.

Una previsione che per il momento non si è concretizzata, malgrado l’Europa unita attuale abbia al suo interno delle regioni con una situazione economica difficile e un altro tasso di disoccupazione. Eppure nel caso di un’ulteriore apertura da parte elvetica, la destra impugnerà quasi sicuramente il referendum popolare.

Differenze economiche

Per Gross invece il progetto di allargamento ha proprio il vantaggio di voler creare delle condizioni migliori nel paese d’origine e quindi di evitare le migrazioni. «La ragione degli spostamenti sta nel divario economico, ma solo combattendo i sintomi si potrà migliorare la situazione», afferma ancora Gross.

Le Nazioni unite chiedono da tempo da tutti gli stati industrializzati un contributo allo sviluppo del pianeta pari allo 0,7 per cento del prodotto interno lordo. E per Gross comunque vale l’impegno concreto alla costruzione dei valori del nostro sistema: l’impegno per la democrazia e la sicurezza sociale dovrebbero essere la misura dell’azione di tutti i membri di una nuova Europa.

swissinfo, Rita Emch
(adattamento, Daniele Papacella)

I dieci stati che entrano dal 1° maggio 2004 a far parte dell’Unione europea:

Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica slovacca, Repubblica ceca, Ungheria e la Repubblica greco-cipriota.

Se tutti i paesi candidati entreranno l’anno prossimo, l’Europa politica raggiungerà quota 25 stati membri.

Con l’arrivo di 70 milioni di abitanti si arriverà quindi a 454 milioni.

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