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“Gli occidentali temono la polveriera siriana”

A Deraa, cuore della protesta contro il regime di Bashar al-Assad, la repressione dell'esercito si è fatta più feroce AFP/youtube

Nel tentativo di porre fine alle proteste che scuotono la Siria, Bashar al-Assad ha scelto la maniera forte. E agisce sotto lo sguardo imbarazzato delle potenze occidentali, che temono una destabilizzazione della regione, sottolinea Lorenzo Suarez, ex dipendente dell'UNHCR in Siria.

Il movimento di protesta senza precedenti che da sei settimane agita la Siria e la repressione sempre più dura che l’accompagna, avrebbe già causato circa 500 morti, secondo le organizzazioni di tutela dei diritti umani.

Gli attivisti dei “Giovani della rivoluzione siriana” hanno lanciato un appello su Facebook a manifestare “in tutte le piazze e in tutte le strade” della Siria venerdì 29 aprile, proclamato “venerdì della collera” contro la repressione delle manifestazioni per la democrazia.

Relativamente rapida a sanzionare la repressione dell’insurrezione popolare in Libia, la comunità internazionale ha tergiversato a lungo di fronte al regime siriano. Inizia appena a discutere di sanzioni. Le grandi potenze avrebbero paura di indebolire il regime di Bashar al-Assad col rischio di destabilizzare l’intera regione?

Questo è il punto di vista del ginevrino Lorenzo Suarez, rientrato il 20 marzo scorso da una missione di tre anni e mezzo al servizio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) in Siria. Durante la sua permanenza, ha curato il ricollocamento, la protezione legale e il rimpatrio dei rifugiati iracheni. Intervista.

swissinfo.ch: Durante i tre anni in Siria, ha percepito le premesse della protesta contro il regime?

Lorenzo Suarez: non avrei mai immaginato che si potessero verificare tali avvenimenti. Perfino durante le prime rivolte in Tunisia e in Egitto, nessuno intorno a me avrebbe considerato che la contestazione un giorno sarebbe potuta arrivare a Damasco. Nella popolazione, compresi i giovani, Bashar al-Assad era abbastanza ben visto.

I siriani lo schematizzavano così: Bashar al-Assad è un riformista pieno di buone intenzioni, ma circondato da una vecchia guardia di militari e di esperti di intelligence ereditata dal padre, fonte di ogni male.

Oggi, un numero crescente di siriani chiede un cambio ai vertici stessi del regime, non più soltanto nella cerchia del presidente. Si tratta di un fatto nuovo.

swissinfo.ch: Come spiegare dunque che il movimento di protesta abbia assunto tali proporzioni?

L.S.: Inizialmente, si è molto insistito sull’importanza delle reti sociali come Facebook o Twitter. Ma i contestatori su internet, in realtà, rappresentano solo un numero limitato di persone. L’ascesa della rivolta è venuta in risposta agli assassinii commessi dal regime. Si assiste a una spirale di “repressione-manifestazioni” che si alimenta più della violenza dimostrata dal regime nell’affrontare la protesta che degli argomenti razionali dell’opposizione. In una regione dove le identità religiose sono ancora molto marcate e le emozioni possono prendere rapidamente il sopravvento, il regime ha giocato con il fuoco.

swissinfo.ch: Come Bengasi in Libia, Daraa è l’epicentro della rivolta contro il regime di Bashar al-Assad?

L.S.: Questa città è certamente il cuore del movimento di protesta, ma altri focolai sono emersi nel resto del paese. Daraa è stata a lungo una regione dimenticata e in preda a difficoltà economiche. La disoccupazione giovanile è certamente un motore della protesta, ma non l’unico. I manifestanti sembrano provenire da diverse regioni, classi sociali e tendenze politiche.

Anche le rivendicazioni sono molto eterogenee. Alcuni chiedono la liberazione di un parente in carcere, altri esigono maggiore libertà economica o politica, infine, altri ancora si oppongono al regime stesso. Come i movimenti osservati in Tunisia, in Egitto o altrove nel mondo arabo, il movimento di contestazione siriano non ha né una chiara base ideologica né un’organizzazione autonoma.

In strada, quindi, c’è più l’uomo della rivolta che l’uomo della rivoluzione: c’è colui che rifiuta frontalmente l’ordine costituito, pur senza avere la volontà o i mezzi di offrire un’alternativa al potere instaurato.

swissinfo.ch: È stata sottovalutata la capacità repressiva del regime siriano?

L.S.: L’attuale repressione è evidentemente del tutto inaccettabile, ma si deve comunque mantenere il senso delle proporzioni. Lo stato non sta compiendo attacchi sistematici e generalizzati contro migliaia di civili. Punta piuttosto su assassini e arresti mirati, sperando di intimidire e soffocare il movimento.

In Occidente, nessuno si è mai illuso sul regime di Bashar al-Assad. Non è cambiato radicalmente rispetto a quello di suo padre, Hafez al-Assad, anche se nel tempo ha preso forma una tendenza più moderata. La più grande sorpresa non è il comportamento del regime, ma la nascita e il rapido sviluppo della contestazione.

swissinfo.ch: Teme che queste proteste generino scontri comunitari?

L.S.: Sì, sono molto preoccupato. La Siria è un mosaico di comunità e di religioni, come il vicino Iraq. L’esperienza storica della subregione fa temere una nuova polveriera. Benché i turisti e alcuni osservatori occidentali che si fanno testimoni della Siria contemporanea a volte tendano a idealizzare uno stato stabile e sicuro, con una grande armonia intercomunitaria, i rapporti tra le diverse comunità sono più tesi di quanto si pensi.

Gli alawiti, oggi al potere, sono spesso accusati, a ragione, di essersi impadroniti di risorse dello stato e dell’economia privata. Il rischio di radicalizzazione, alimentato dal risentimento e dalla diffidenza, è una realtà.

swissinfo.ch: Il regime di Bashar al-Assad può crollare?

L.S.: Ovviamente, tutto è possibile, come dimostrano i casi di Tunisia, Egitto e Libia. Ma penso che questo scenario sia ancora molto lontano. I manifestanti sono ancora relativamente pochi e gli organi vitali dell’apparato statale non sono affatto a repentaglio. In secondo luogo, il movimento di protesta non è portatore di un progetto politico che potrebbe unire la maggioranza della popolazione.

Infine, non si devono sottovalutare i parametri geopolitici regionali. Le grandi potenze influenti in Siria e nei paesi vicini non sembrano disposte a rischiare un intervento che potrebbe portare a una nuova guerra civile nel cuore di una regione già molto instabile.

A meno di una escalation di violenza sul lungo termine, i governi occidentali si atterranno a interventi essenzialmente retorici. Questo dimostra ancora una volta come l’indignazione della comunità internazionale rimanga ancora e sempre molto selettiva, poiché la decisione di un intervento per ragioni cosiddette “umanitarie” dipende più dall’opportunità politica che dall’integrità morale occidentale.

Berna raccomanda ai cittadini elvetici che si trovano in Siria e la cui presenza non è necessaria, di andarsene temporaneamente dal Paese.

Il Dipartimento federale degli affari esteri sconsiglia inoltre agli svizzeri di recarsi in quella regione.

Il Consiglio dei diritti umani

terrà una sessione speciale, venerdì a Ginevra, dedicata alla situazione in Siria. Lo ha annunciato mercoledì un portavoce dell’ONU.

La richiesta di convocare urgentemente tale seduta è stata inoltratata dagli Stati Uniti. La Svizzera ha sostenuto la domanda.

 

Fonte: Ats

Una superficie di 185’180 km2 (Svizzera: 41 290 km2) per 21 milioni di abitanti.

Una popolazione composta di arabi (89%), curdi (6%), armeni (2%), cerchessi e assiri (3%).

Una diversità religiosa

suddivisa in sunniti (72%), alawiti (12%), cattolici e protestanti (6%), cristiani ortodossi (4%), druzi (3%), sciiti (3 %).

 

Fonte: Courrier International e Le Temps

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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