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«Una generazione sacrificata»

Le proteste degli studenti tunisini hanno scacciato il despota, ciò nonostante il loro futuro non è cambiato. Reuters

In Tunisia ed Egitto i giovani sono scesi in strada ed hanno chiesto maggiori libertà e migliori condizioni di vita. Per il sociologo Franz Schultheis la loro speranza in un cambiamento è pressoché vana. Ad approfittare delle loro conquiste saranno le prossime generazioni.

Le proteste non si placano negli Stati arabi del Nord Africa. I manifestanti continuano a urlare la loro rabbia e a sfogare la loro frustrazione. I giovani disoccupati chiedono soprattutto di avere un futuro e un lavoro, che soltanto la modernizzazione dell’economia può dare loro, afferma Franz Schultheis, professore all’università di San Gallo.

swissinfo.ch: Dove nasce il malcontento dei giovani?

Franz Schultheis: Questo malcontento prende origine da una frustrazione repressa, poiché i giovani vivono senza prospettive e futuro.

Grazie a un sistema scolastico abbastanza moderno, la gioventù di questi paesi può raggiungere un ottimo livello formativo. Seguono l’adagio: “Ottenete un diploma e così sarete padroni del vostro futuro”.

Si rendono però conto in fretta che questa promessa è una mera chimera. I diplomi sono infatti come degli assegni scoperti che il mondo del lavoro non può scambiare con un posto di lavoro corrispondente.

swissinfo.ch: Quali sono i motivi di questo squilibrio tra diplomati e mercato del lavoro?

F.S.: Anche in Europa, si cerca di dare una risposta a questa domanda.

In Svizzera il numero di maturandi, laureati e accademici è il più basso in Europa. La tesi secondo la quale sia meglio non formare troppi accademici che rischiano di rimanere senza lavoro sembra trovi una conferma nella situazione in Nord Africa.

Ma le condizioni in quella regione sono completamente diverse. Con la fine del colonialismo, gli Stati nordafricani hanno sviluppato il loro sistema formativo sul modello francese, in cui l’ottenimento della maturità è l’obiettivo principale di una grande parte dei giovani.

Così il sistema formativo è stato reso accessibile a tutti, senza tuttavia creare i posti di lavoro per i neolaureati.

La causa di questa situazione ci sono anche le strutture economiche e sociali. I governi hanno investito parte delle considerevoli entrate del settore turistico (Tunisia) o delle vendite del gas (Algeria) nell’educazione, fatto di per sé positivo. Tuttavia, le strutture economiche non si sono sviluppate così rapidamente come il sistema scolastico e così la richiesta di gente con un diploma superiore è insufficiente.

Non c’è un sistema duale efficiente che permetta, in parallelo con la formazione tradizionale, di svolgere un apprendistato vicino alla pratica professionale. Si è sviluppato così un proletariato formato di accademici che vivono in condizioni precarie.

swissinfo.ch: Quanto verranno create nuove possibilità di lavoro e di reddito per le giovani generazioni?

F.S.: Le riforme non si realizzano con un decreto governativo, ma ci vogliono anni.

Questi paesi soffrono sempre ancora dei sintomi dello sradicamento dai loro tradizionali sistemi economici e sociali. Sullo sfondo di una struttura postcoloniale, sarebbe sbagliato credere che tutto cambi sostituendo chi sta al potere.

Forse l’attuale generazione dovrà sacrificarsi per quelle seguenti. Coloro che ora si battono per delle condizioni di vita più giuste, non sopravvivono probabilmente l’attuazione della maggior parte di tali riforme.

Le condizioni economiche devono essere migliorate, soprattutto mediante un’industrializzazione dei paesi. Le risorse naturali di cui dispongono devono essere elaborate sul posto e non esportate.

In Algeria è la manodopera cinese a portare avanti l’urbanizzazione, perciò la Cina può importare le materie prime di cui ha bisogno. Le strutture economiche del paese non vengono però modernizzate, poiché le entrate vengono investite nell’esercito e nell’istruzione.

swissinfo.ch: Quale ruolo dovrebbero avere gli Stati democratici come la Svizzera nella situazione attuale?

F.S.: Devono appoggiare le forze civili che in Algeria, Tunisia e ora anche in Egitto chiedono cambiamenti sociali e democrazia. Questo sostegno passa attraverso le dichiarazioni del governo, ma anche l’assistenza logistica o l’utilizzo dei nuovi media.

Si devono inoltre aumentare i contributi all’aiuto allo sviluppo, che finora sono piuttosto miseri, anche solo per arginare il flusso migratorio da sud verso nord. Alle persone vanno messi a disposizione mezzi sottoforma di aiuti per lo sviluppo dell’economia e del mercato del lavoro direttamente nel proprio spazio vitale.

swissinfo.ch: C’è il rischio che in Tunisia, in Egitto o in altri Stati la giovane generazione scivoli nel fondamentalismo islamico a causa della prospettiva di non avere un futuro?

F.S.: Questo pericolo è reale, poiché le grandi frustrazioni sociali sono sempre accompagnate dal risentimento. Quando un governo non mantiene le promesse politiche, la gente si rivolge altrove ed è quando la gente ha perso ogni speranza che ci si deve attendere il peggio.

Molte società islamiche presentano delle tendenze fondamentaliste. I movimenti islamici godono di una grande attrattiva poiché lì le frustrazioni dei giovani possono prendere forma. La divisione interna all’Algeria ha provocato negli ultimi quindici anni una guerra civile causando più 100’000 vittime.

swissinfo.ch: Lei afferma che le strutture postcoloniali sono presenti anche nelle banlieue francesi e nelle città in Olanda. C’è quindi la possibilità che la protesta si sposti anche in Europa?

F.S.: Non in maniera diretta e meccanica. Nelle banlieue hanno luogo da tempo dei disordini, espressione della frustrazione che ora anche i fratelli e le sorelle in Nord Africa sfogano.

La struttura postcoloniale ha due volti. Da una parte ci sono le precarie situazioni di un popolo che il colonialismo ha lasciato senza radici. Dall’altra parte, i migranti hanno importato questa situazione in Europa. Vivono in condizioni precarie con una disoccupazione pari quasi al 50%.

Alcuni anni fa nelle banlieue parigine i giovani bruciavano ogni notte circa 400 automobili, appiccavano il fuoco alle scuole frequentate dalle sorelle e dai fratelli e incendiavano i bus utilizzati dalle mamme per andare al mercato. Ciò dimostra come la frustrazione repressa conduca ad atti di violenza. Se la protesta diventa autolesionista, allora prende la forma dell’impotenza allo stato puro.

Tunisia

Giovani al di sotto dei 25 anni: 42%
Percentuale tra gli studenti: 35,2%
Disoccupati tra i 15 e i 29 anni: 31,2%

Algeria
Giovani al di sotto dei 25 anni: 47%
Percentuale tra gli studenti: 31%
Disoccupati tra i 15 e i 29 anni: 21,5%

Marocco
Giovani al di sotto dei 25 anni: 48%
Percentuale tra gli studenti: 11,5%

Disoccupati tra i 15 e i 29 anni: 17,6%

Egitto
Giovani al di sotto dei 25 anni: 52%
Percentuale tra gli studenti: 28%

Disoccupati tra i 15 e i 29 anni: 17%

Giordania
Giovani al di sotto dei 25 anni: 54%
Percentuale tra gli studenti: 36%

Disoccupati tra i 15 e i 29 anni: –

Siria
Giovani al di sotto dei 25 anni: 55%
Percentuale tra gli studenti: 21,7%
Disoccupati tra i 15 e i 29 anni: 19,3%

(traduzione dal tedesco, Luca Beti)

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