L’aiuto svizzero all’Eritrea indipendente

Dieci anni fa, il 24 maggio 1991, si concludeva nel Corno d'Africa la lunga guerra civile tra le forze indipendentiste eritree e l'Etiopia. L'Eritrea conquistava così di fatto l'indipendenza, proclamata ufficialmente due anni dopo. Nella giovane nazione africana l'aiuto allo sviluppo svizzero ha avuto e ha tuttora un ruolo importante.
«L’Eritrea è un paese vulnerabile», spiega Jürg Zumstein, coordinatore per la regione del Corno d’Africa presso la Direzione per lo sviluppo e la cooperazione (DSC). Uscito dalla guerra d’indipendenza dieci anni fa e coinvolto nuovamente tra il 1998 e il 2000 in un conflitto di frontiera con l’Etiopia, il paese deve misurarsi con numerosi problemi, non solo di natura politica.
Uno dei grandi fattori d’instabilità della regione è il clima. Precipitazioni irregolari e siccità mettono spesso in ginocchio l’agricoltura del paese. Per l’Eritrea dire che «l’acqua è vita» – espressione che sale spontanea alla bocca di Zumstein – non è pura retorica.
Per questo motivo uno dei pilastri dell’attività della DSC in Eritrea riguarda l’approvvigionamento di acqua potabile. Presente nella giovane nazione africana dal 1993 con la sezione dell’aiuto umanitario – l’Eritrea non è un paese di concentrazione per la DSC – l’ente federale di aiuto allo sviluppo si è occupato nei primi anni soprattutto dei profughi che rientravano dal Sudan.
Si trattava allora di garantire l’approvvigionamento d’acqua lungo la via del ritorno dei profughi e di rafforzare le infrastrutture nelle regioni di accoglienza. Finita la fase di emergenza, verso la metà degli anni Novanta l’attività della DSC si è poi rivolta al rifornimento d’acqua nei villaggi delle regioni rurali. Il problema dei profughi si è tuttavia ripresentato nel 1998, con la nuova guerra con l’Etiopia.
Per questo, uno dei compiti prioritari a cui le organizzazioni di aiuto elvetiche stanno attualmente attendendo è la reintegrazione dei profughi. «Si tratta di ricostruire le case e di rimettere in sesto l’agricoltura prima dell’arrivo delle piogge», spiega Zumstein.
Gli sfollati in Eritrea sono circa 200’000. Lo scorso anno la DSC ha speso circa 2 milioni di franchi, in particolare per migliorare la rete di pozzi d’acqua. Al programma di reintegrazione, oltre che la DSC, partecipano anche il comitato di sostegno svizzero all’Eritrea (SUKE), la Croce rossa svizzera e l’organizzazione di soccorso protestante HEKS.
Fin dal 1977, è presente in Eritrea anche terre des hommes suisses. Dal 1985, ancora nel corso della guerra d’indipendenza, l’organizzazione sostiene progetti per gli orfani, come ci dice Irène Buche, responsabile per i progetti in Eritrea. Dal 1996 è poi in corso un progetto di formazione professionale per adolescenti e giovani.
Una lunga esperienza in Eritrea la può vantare anche il centro per lo sviluppo e l’ambiente dell’Istituto di geografia dell’Università di Berna. Presenti in Etiopia ed Eritrea fin dagli anni Settanta con un progetto di ricerca sulla conservazione del terreno, i geografi bernesi hanno dato una mano al giovane stato del Corno d’Africa a dotarsi di nuove ed affidabili carte geografiche tra il 1993 e il 1995.
Il lavoro, finanziato dalla DSC e dall’università, rappresentò a suo tempo un esempio di aiuto allo sviluppo non convenzionale, ma assai apprezzato, nonostante qualche problema nella definizione dei confini con lo stato del Gibuti. Per questo motivo, nelle carte si precisava che le frontiere non erano ufficiali.
Oggi, l’Istituto di geografia bernese cura in Eritrea un programma della durata di 5 anni, lanciato nel 1998 e finanziato dalla Syngenta, per la gestione sostenibile della terra. Il programma prevede un monitoraggio della situazione dei terreni (erosione, portata dei fiumi, precipitazioni) e la raccolta di informazioni presso la popolazione rurale. Un programma di formazione permette inoltre ai giovani eritrei di frequentare scuole, soprattutto tecniche, in altri paesi africani.
Andrea Tognina

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