La Nato e la Svizzera

Le relazioni tra la Svizzera e l'Alleanza atlantica sono al centro della visita nel nostro Paese di George Robertson, segretario generale della Nato. Relazioni che negli ultimi anni hanno conosciuto importanti mutamenti e che fanno spesso discutere.
L’esercito svizzero non è sempre rimasto dentro le sue frontiere. Già nel 1919, per fare un esempio lontano nel tempo, soldati svizzeri armati scortarono convogli d’aiuti diretti all’Europa orientale. Ma è soprattutto nell’ultimo decennio, in seguito agli sconvolgimenti geopolitici successivi al collasso dei regimi comunisti nell’Europa orientale, che la cooperazione tra esercito svizzero e strutture militari sopranazionali è diventato un tema all’ordine del giorno in ogni dibattito che riguardi il futuro della difesa nazionale.
Le concezioni che per decenni hanno guidato le scelte strategiche dell’esercito svizzero si trovano nella necessità di un ripensamento atto a rispondere alle sfide di un panorama politico mondiale profondamente mutato. Non è del resto un problema puramente elvetico. La stessa Nato, l’alleanza militare di 12 paesi occidentali (16 dal 1982) nata in funzione anti-sovietica nel 1949, ha subito grandi trasformazioni. Nel 1999 hanno aderito all’alleanza tre stati dell’ex-blocco comunista, Repubblica ceca, Ungheria e Polonia. E nel 1994 la Nato ha lanciato il progetto “Partenariato per la pace” (PpP), una struttura atta ad avviare forme di collaborazione con i paesi europei esterni all’alleanza.
Il PpP dà la possibilità ai paesi membri dell’Organizzazione per la sicurezza e la collaborazione in Europa (OSCE) di definire su base bilaterale, “à la carte”, le proprie relazioni con la Nato. Si tratta di un’iniziativa politica, che non contempla obblighi vincolanti di diritto internazionale, e che può essere revocata in ogni momento.
Oggi del Partenariato per la pace fanno parte 27 paesi. La Svizzera ha aderito al PpP nel dicembre 1996 e nel maggio del 1997 è entrata nel neocostituito Consiglio del partenariato euro-atlantico (CPEA). Nel giugno dello stesso anno la Svizzera si è accordata con la Nato sul proprio programma di partenariato.
Si tratta soprattutto dell’offerta di corsi nei settori del salvataggio, del controllo democratico delle forze armate, della sanità, dei diritti umani, della formazione su temi di politica di sicurezza, del controllo degli armamenti e della gestione delle crisi.
Dal 1999 la Svizzera partecipa al programma di pianificazione e verifica (Planning and Review Process), che dovrebbe servire a migliorare la capacità di collaborazione tra le forze armate dei paesi del PpP e della Nato e per rendere possibile la partecipazione a operazioni internazionali su mandato OSCE o ONU. Nel novembre di quest’anno a Lucerna si terranno per la prima volta esercitazioni del PpP in territorio svizzero. I costi per il programma di cooperazione si aggirano sui 6 milioni di franchi l’anno.
La portata della collaborazione tra Svizzera e Nato appare evidente anche su un piano più pragmatico. Per fare alcuni esempi: il fucile d’assalto 90, che nel 1990 ha sostituito il modello del 1957, ha un calibro compatibile con gli armamenti della Nato. Molti veicoli dell’esercito sono equipaggiati in modo da essere facilmente integrati in convogli dell’Alleanza atlantica. Nei corsi per i quadri dell’esercito, l’inglese ha sostituito la seconda lingua nazionale e la terminologia si orienta ai Military Terminology Course della Nato. E così via. Una prima esperienza concreta di intervento all’estero nel quadro del PpP è stata avviata dalla Svizzera con la missione Swisscoy in Kosovo
Ufficialmente i progetti di riforma per l’Esercito XXI non sono imperniati in maniera specifica sulla collaborazione con la Nato. Ma è evidente che i concetti di “sostegno alla pace internazionale” e “interoperabilità” rimandano alle esperienze concrete fatte nel quadro del PpP e alla realtà delle missioni di pace internazionali, in cui la Nato continua a giocare un ruolo di primo piano.
In futuro, la collaborazione della Svizzera con la Nato potrebbe però essere rimessa in discussione dagli annunciati referendum dell’Associazione per una Svizzera neutrale e indipendente (ASNI) e del Gruppo per una Svizzera senza esercito (Gsse) contro la revisione parziale della legge militare approvata dal Parlamento nella sessione dell’autunno 2000.
La revisione permetterebbe alla Svizzera di firmare accordi sulla cooperazione con l’estero nella ambito dell’istruzione militare e di armare le proprie truppe in caso di partecipazione a missioni di pace su mandato ONU o Osce. L’eventuale bocciatura della revisione da parte del popolo non impedirebbe del tutto la cooperazione con la Nato, ma ne limiterebbe certo sensibilmente le possibilità di sviluppo.
Andrea Tognina

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