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UDC: molti interrogativi dopo la rivolta dell’ala moderata

Reuters

Una spaccatura all'interno del maggiore partito svizzero, due ministri in cerca di un nuovo schieramento politico, una formula di governo da rivedere ancora una volta: dopo decenni di immobilismo, il sistema politico svizzero è in pieno fermento. Intervista al politologo Oscar Mazzoleni.

Nei cantoni dei Grigioni e di Berna l’ala moderata dell’Unione democratica di centro (UDC) intende rompere i ponti con il partito nazionale. Si va verso un’emorragia interna, che potrebbe far perdere membri all’UDC anche in altri cantoni?

Ho l’impressione che la forza di attrazione dell’UDC nazionale rimanga ancora molto forte. L’UDC è ancora percepita, almeno all’interno, come un partito elettoralmente vincente. Pensiamo alle ultime elezioni federali, ma anche agli scrutini cantonali che si sono svolti quest’anno. Non è facile abbandonare un cavallo vincente.

Su alcuni temi politici essenziali (economia, asilo ecc.) non vi sono inoltre differenze sostanziali tra l’ala più moderata dell’UDC nei cantoni dei Grigioni o di Berna e quella che segue la linea dura blocheriana. Esistono delle divergenze su alcune tematiche che, tutto sommato, non sono centrali per il partito. La differenza si ritrova soprattutto nelle regole di conduzione interna del partito, nello stile, nella modalità di azione.

L’ala moderata ha una maggiore volontà di trovare dei compromessi, preferisce una politica meno gridata, chiede la salvaguardia delle autonomie delle sezioni cantonali. Ci si può però chiedere se la maggioranza della base possa rompere con il partito nazionale solo per queste ragioni. Ciò detto, non si devono nemmeno sottovalutare le conseguenze della creazione di un nuovo partito da parte dei moderati UDC.

L’accanimento messo in mostra in questi ultimi mesi dai vertici dell’UDC per estromettere la consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf non rischia di tradursi perlomeno in una perdita di consensi elettorali?

Può darsi. Credo però che la preoccupazione principale della dirigenza dell’UDC in questi ultimi mesi sia stata quella di darsi un’immagine di partito di opposizione, dopo l’esclusione di Christoph Blocher dal governo il 12 dicembre 2007. È riuscita a farlo tramite una campagna martellante e personalizzata contro i propri avversari e, in particolare, contro la propria consigliera federale. L’UDC ha d’altronde iniziato questa campagna dopo avere constatato di essere uscita vincente da elezioni cantonali molto personalizzate.

Negli altri ambiti la politica dell’UDC non si è però cambiata molto da quando questo partito ha annunciato il suo passaggio all’opposizione.

Solo se ci limitiamo ai temi referendari e alle decisioni parlamentari. Ma la politica è fatta anche di immagini, di simboli, di confronti organizzativi interni, di una drammatizzazione dello scontro. La diatriba fra il partito e la sua rappresentante in Consiglio federale rispondeva anzitutto all’esigenza di rafforzare il proprio seguito fra la popolazione e di mobilitare la base del partito in favore del gruppo dirigente attorno a Blocher.

Attaccare direttamente il governo, rimettere in discussione il ruolo del parlamento è stato un modo per dare contenuto alla strategia di attacco contro la cosiddetta classe politica, accusata dall’UDC di tradimento e di complotto dopo l’esclusione di Blocher dal governo. Fino al 2007, l’attacco alla classe politica non si era mai espressa in forme così intransigenti, soprattutto all’interno del partito.

La volontà dell’UDC di concentrare la sua attenzione sul caso Widmer-Schlumpf non sembra rivelarsi attualmente pagante, almeno se guardiamo il risultato delle votazioni federali di questa fine settimana.

In politica, la vittoria ha più facce. A volte è più importante vincere all’interno, darsi una forza coesiva e mobilitante, piuttosto che avere immediati successi all’esterno. Per l’UDC l’obiettivo principale sono le elezioni federali del 2011, quando tenterà di raccogliere i frutti di una campagna di opposizione in atto già da mesi.

La questione Widmer-Schlumpf fa seguito anche una logica di centralizzazione organizzativa in atto da alcuni anni, volta a dare al partito un’immagine di coesione. La tolleranza verso i moderati non ha più funzionato da quando il partito è passato all’opposizione.

Che conseguenze potrà avere per Eveline Widmer-Schlumpf e Samuel Schmid una loro uscita ufficiale dall’UDC. I due ministri si esporranno ancora di più nei prossimi anni agli attacchi di quello che sarà il loro ex-partito?

La fine del legame fra l’UDC e i suoi consiglieri federali era annunciato da mesi. I due ministri saranno però probabilmente sostenuti dagli altri partiti di governo, come lasciano supporre le manifestazioni di sostegno di questi mesi. Non bisogna inoltre dimenticare che, in Svizzera, il governo dispone di una grande autonomia: in particolare, non è sottoposto, come in altri paesi, al voto di fiducia del parlamento. Il vero problema si porrà alle prossime elezioni federali: occorrerà capire se l’UDC vorrà riottenere i due seggi e soprattutto se la maggioranza del parlamento sarà d’accordo di concederli di nuovo, dopo la crisi attuale.

Dopo un lunghissimo periodo di stabilità, durato quasi mezzo secolo, negli ultimi anni la scena politica svizzera è caratterizzata da continui cambiamenti e colpi di scena. Sarà questo un po’ il futuro del nostro sistema politico?

Siamo entrati effettivamente in una situazione molto fluida, almeno dal 2003, quando è stata cambiata una formula di governo immutata dal 1959. Dal 1993 l’elezione di un nuovo ministro richiede sempre cinque o sei turni di votazione in parlamento, mentre prima ne bastava quasi sempre uno solo. È questo uno dei tanti segnali dell’accresciuta competizione: la concordanza fra i partiti è sempre più difficile e tutto funziona senza regole scontate. L’incertezza sembra crescere ulteriormente in vista del 2011, quando verrà probabilmente introdotta una nuova formula di governo.

swissinfo, intervista a cura di Armando Mombelli

Oscar Mazzoleni dirige l’Osservatorio della vita politica del canton Ticino.

Il politologo è inoltre docente di scienze politiche alle università di Ginevra e Losanna.

Assieme a Philippe Gottraux e Cécile Péchu, Oscar Mazzoleni ha pubblicato il volume “L’Unione democratica di centro: un partito, la sua azione, i suoi sostegni”, Losanna, Antipodes, 2007.

Il 12 dicembre 2007 al posto di Christoph Blocher, leader dell’UDC dall’inizio degli anni ’90, la maggioranza del parlamento elegge in governo la collega di partito Eveline Widmer-Schlumpf.

Il 13 dicembre Widmer Schlumpf accetta il mandato, nonostante il parere contrario del proprio partito, ed entra in carica il 1° gennaio 2008.

L’UDC dichiara di non sentirsi più rappresentata nell’esecutivo dai suoi due ministri Eveline Widmer-Schlumpf e Samuel Schmid – accusati di aver tradito gli interessi del partito, accettando la loro elezione dopo la bocciatura di Christoph Blocher – e annuncia il suo passaggio all’opposizione.

La dirigenza dell’UDC intima alla ministra di uscire dal partito entro l’11 aprile. Eveline Widmer-Schlumpf si rifiuta. Il 23 aprile l’assemblea dei delegati dell’UDC grigionese si pronuncia contro l’espulsione.

Il 1° giugno l’UDC svizzera ufficializza l’esclusione dal partito di tutta la sezione grigionese. Il giorno seguente, l’ala moderata dell’UDC grigionese annuncia la creazione di un nuovo partito.

Sempre il 2 giugno, respingendo la linea dura seguita dall’UDC svizzera, l’ala moderata della sezione bernese si pronuncia a sua volta in favore della creazione di un nuovo partito. In questa forza politica potrebbero trovare “asilo” anche i ministri Eveline Widmer-Schlumpf e Samuel Schmid.

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