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Crisi siriana: gli appelli esterni non bastano

La situazione non si sblocca Keystone

La comunità internazionale fa pressione affinché in Siria cessino le violenze. Ciononostante, secondo l'esperto svizzero Mohammed Reza-Djalili, ciò non è sufficiente per far smettere i combattimenti.

Di nazionalità svizzera e iraniana, Mohammad Reza-Djalili è professore universitario di scienze politiche in diversi atenei nonché esperto di questioni mediorientali. Swissinfo.ch l’ha intervistato in merito alla situazione attuale in Siria e ai possibili sviluppi.

swissinfo.ch: La reazione della comunità internazionale ai recenti avvenimenti in Siria costituisce un punto di svolta nella rivolta che dura ormai da cinque mesi?

Mohammed Reza-Djalili: Durante la fase iniziale, la comunità internazionale – Stati occidentali compresi – voleva farci credere che il presidente Bashar al-Assad fosse in grado di attuare le necessarie riforme per avviare la Siria verso la democrazia.

Ora, però, Assad è stato abbandonato dalla comunità internazionale, segnatamente proprio dai paesi occidentali. Questa situazione è in primo luogo il risultato dell’isolamento del suo governo nella regione: ciò si è verificato recentemente in seguito alla prese di posizione di Arabia Saudita, Bahrein, Kuwait, Qatar, la Lega araba e la Turchia.

In seguito è stata la volta degli Stati occidentali, che hanno invitato esplicitamente Assad a lasciare il potere, aumentando contemporaneamente la pressione sul suo governo. Da questo punto di vista, si può affermare che la crisi siriana è entrata in una nuova fase.

swissinfo.ch: Quali sviluppi sono ipotizzabili?

M. R-D.: È molto difficile da dire. Finora ciò che ha consentito al regime di restare al suo posto è la fiducia nei suoi confronti dimostrata dalla grande maggioranza delle forze armate e della polizia.

La situazione potrebbe però mutare molto rapidamente, se l’esercito e la polizia cambiassero opinione e – come accaduto in Tunisia ed Egitto – decidesse di non più sparare contro la popolazione. Ma per ora non siamo a questo punto: il governo siriano è infatti ben consapevole di quanto accaduto nei due paesi in questione e sta facendo di tutto per evitare il ripetersi di situazioni analoghe.

swissinfo.ch: A questo proposito, ha constatato indizi di cambiamento d’atteggiamento o di dissenso in senso alle forze di sicurezza?

M.R-D.: Vi sono alcune informazioni che vanno in questo senso, ma al momento attuale non vi sono cambiamenti significativi nell’atteggiamento dell’apparato repressivo fedele al regime.

Va inoltre tenuto presente che il sistema siriano è estremamente autoritario e centralizzato, fondato sulla relazione privilegiata con la minoranza alauita [Islam sciita] di cui fa parte il presidente e che rappresenta il 12% della popolazione.

swissinfo.ch: La pressione internazionale costituisce una pressione sufficiente per causare il cambio di regime?

M.R-D.: A mio parere le ragioni principali alla base di un possibile cambiamento sono soprattutto interne. La pressione internazionale può avere un ruolo morale, di sostegno, ma i fattori esterni non possono risolvere il problema.

Assad ha sempre presentato gli avvenimenti in Siria come se questi fossero alimentati dall’esterno del paese. La realtà è però diversa: quanto sta accadendo è legato alla situazione interna, e l’influenza internazionale ha soltanto un ruolo minore nell’accelerare il cambiamento.

swissinfo.ch: Quale è il ruolo dell’Iran negli eventi siriani?

M.R-D.: Al momento attuale, l’Iran è l’unico alleato rimasto alla Siria nella regione. Si tratta di un’alleanza che dura da trent’anni. All’inizio della crisi Tehran aveva minimizzato le informazioni provenienti dalla Siria; in seguito, ha sostenuto la tesi siriana di una manipolazione esterna da parte di Stati Uniti e Israele.

Una delle maggiori preoccupazioni dell’Iran è il fatto che un’eventuale caduta di Assad comprometterebbe una strategia di politica estera costruita nel corso degli anni e basata sul sostegno siriano in Libano e nell’ambito delle relazioni con Hamas e i gruppi palestinesi. In quel caso, l’Iran dovrebbe completamente riorganizzare la sua strategia nella regione.

Inoltre, l’Iran sta cominciando a pagare un prezzo elevato per il sostegno politico e morale alla Siria: da molti sondaggi risulta infatti che Tehran sta perdendo influenza nel mondo arabo, a profitto della Turchia.

La Svizzera ha richiamato a Berna per consultazioni il suo ambasciatore a Damasco in segno di protesta contro la violenta repressione in corso nel paese mediorientale.

«Il comportamento delle forze armate siriane è inaccettabile», indica la nota diffusa il 18 agosto dal Dipartimento federale degli affari esteri. Berna condanna la violenza contro la popolazione civile da parte delle forze di sicurezza di Damasco e ha più volte chiesto il rispetto delle libertà fondamentali.

«Questa decisione si è resa necessaria poiché la Confederazione non può tollerare la violazione dei diritti umani nei confronti della popolazione civile da parte delle forze di sicurezza siriane. In virtù della sua tradizione umanitaria, la Svizzera vuole lanciare un segnale forte alla dirigenza siriana, anche se il richiamo dell’ambasciatore svizzero in Siria non equivale comunque alla rottura delle relazioni diplomatiche», precisa il comunicato.

traduzione e adattamento: Andrea Clementi

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