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Il ruolo del parlamento divide la stampa

La Lex USA non ha superato lo scoglio del parlamento svizzero. Keystone

Alcuni quotidiani svizzeri ritornano giovedì sul rifiuto da parte del parlamento della Lex USA, che avrebbe consentito alle banche svizzere di collaborare con la giustizia americana. Una bocciatura che divide le opinioni dei commentatori: mentre alcuni la considerano una decisione coraggiosa, altri parlano di un atto vile.

«La Svizzera ha fallito l’occasione per dire addio al segreto bancario e porre fine alla vertenza con gli Stati Uniti», scrivono il Tages Anzeiger e Der Bund.

Siamo comunque sicuri, s’interroga la Neue Zürcher Zeitung (NZZ), che l’adozione della legge urgente avrebbe davvero messo fine alla vertenza fiscale con il gigante americano? «Gli USA non lo hanno mai chiaramente detto», osserva il quotidiano di Zurigo, rammentando che i responsabili di questa situazione «sono quelle banche che hanno giocato con il fuoco sul mercato finanziario americano».

La NZZ fa in particolare riferimento ai «consigli di amministrazione delle banche cantonali e ai top manager dei grandi, medi e piccoli istituti finanziari, che si sono scottati nel paese del dollaro».

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Lex USA bye bye, il governo cerchi altra via

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Patata bollente al governo

Sempre secondo la NZZ, che parla di «scelta legittima», in parlamento non ha perso nessuno. «Sostenitori e oppositori alla Lex USA hanno espresso argomenti validi e la ministra delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf merita rispetto per aver lottato fino alla fine».

Il parlamento ha preso una decisione simbolicamente importante, ritiene il giornale finanziario ed economico L’Agefi. «Ha innanzitutto detto “no” agli Stati Uniti con uno spirito di sovranità alquanto inatteso. Da qualche mese si percepiva un’irritazione crescente nell’opinione pubblica nei confronti della politica esterna della Svizzera “che non sa dire di no”. Ora è stato fatto».

Di avviso diverso La Liberté, che accusa il legislativo di un atto di «vigliaccheria» per aver rifilato la patata bollente al governo. Le due camere hanno infatti approvato una dichiarazione che invita il Consiglio federale a fare tutto il possibile per consentire alle banche di cooperare con il Dipartimento di giustizia americano, sulla base del diritto attuale. Gli eletti federali, scrive, scaricano le conseguenze del loro voto sul governo, «incaricandolo di assistere al meglio le banche che presto si troveranno nelle grinfie americane».

I parlamentari hanno rinunciato ad assumersi le loro responsabilità, preferendo invece affidare «il lavoro sporco ai ministri», concorda L’Express.

Il parlamento ha improvvisamente avuto paura della sua audacia, dichiarando curiosamente agli Stati Uniti di non aver nulla contro di loro, aggiunge La Liberté. «È come dare una sberla a un amico, per poi chiedergli immediatamente scusa».

E adesso?

Mentre l’Associazione svizzera dei banchieri chiede un intervento governativo per definire un apposito quadro giuridico, il 24 Heures ritiene che «il diritto svizzero sarà violato ancora una volta». Tra le leggi del nostro piccolo paese “neutrale” e quelle della prima potenza mondiale economica e militare, la scelta è semplice, prevede il quotidiano romando: «Le nostre banche cederanno».

Se il governo non troverà uno stratagemma, il Consiglio nazionale avrà lasciato nelle mani delle autorità fiscali americani il destino di una dozzina di banche svizzere, avvertono il Tages Anzeiger e Der Bund. Il commento comune dei due giornali ricorda che «basta una denuncia per sancire la fine di una qualsiasi banca, come ha mostrato il caso Wegelin nel 2012».

Per il Blick, il destino di alcuni istituti è segnato. L’unica incertezza è «quante saranno le banche a fare fallimento».

Meno pessimista L’Agefi, secondo cui «le reazioni americane non dovrebbero essere così drammatiche come minacciato durante i dibattiti» in parlamento.

Le conseguenze della decisione sono difficilmente prevedibili, ritiene da parte sua l’Aargauer Zeitung. Di sicuro, «la vertenza fiscale continuerà a pesare come una spada di Damocle sul futuro della piazza finanziaria svizzera».

La Camera alta del parlamento svizzero (Consiglio degli Stati) ha approvato il 20 giugno 2013 il cosiddetto accordo FATCA con Washington. La relativa legge federale di applicazione è stata accettata per 35 voti contro 3 e 2 astensioni

Con questo trattato, i conti detenuti da contribuenti americani nelle banche svizzere non dovrebbero più sfuggire al fisco americano.

FATCA si prefigge così di regolamentare gli aspetti fiscali futuri, contrariamente alla Lex USA, la quale mira a risolvere le questioni del passato.

Contrari per principio in nome della sovranità nazionale e contro il “diktat” di Washington, alcuni membri dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) hanno riconosciuto l’ineluttabilità di un’adesione a FATCA. Dobbiamo «ingoiare il rospo», ha dichiarato il senatore UDC Peter Föhn.

Sia quest’ultimo che il collega di partito Alex Kuprecht hanno chiesto al plenum di adeguarsi alla maggioranza della commissione e di accettare il modello II di applicazione dell’intesa che prevede lo scambio di informazioni sui conti di clienti americani solo col loro consenso.

A nome di una minoranza della commissione dell’economia e dei tributi, il presidente del Partito socialista Christian Levrat e l’esponente dei Verdi Luc Recordon avevano invece domandato il rinvio del dossier al governo affinché rinegoziasse l’accordo sulla base dello scambio automatico di informazioni, così come prevede tra l’altro il modello I offerto dagli Stati Uniti, per tenere conto degli ultimi sviluppi internazionali e interni su questo aspetto.

Il dossier passa ora all’altra camera del parlamento, il Consiglio nazionale, che tratterà l’oggetto nel corso della sessione di settembre.

(Fonte: ATS)

La controversia fiscale tra Berna e Washington sui cittadini americani che hanno nascosto averi in banche svizzere dura ormai da cinque anni. L’UBS, che per prima era stata presa di mira dalle autorità fiscali statunitensi, era riuscita a risolvere la vertenza nel 2010. Anche per gli altri istituti di credito elvetici si prospetta ora una soluzione globale. Ecco le principali tappe del conflitto.

19 giugno 2008: Bradley Birkenfeld, ex collaboratore dell’UBS, ammette davanti a un giudice di aver aiutato clienti a frodare il fisco quando era alle dipendenze della banca.

19 agosto 2009: Stati Uniti e Svizzera firmano l’accordo definitivo sulla vicenda UBS. Berna trasmetterà entro un anno i dati relativi a 4’450 conti UBS. Washington rinuncia a misure unilaterali per ottenere informazioni. Inoltre la banca paga una multa di 780 milioni di dollari.

16 novembre 2010: Dopo l’ultima trasmissione da parte della Svizzera di dati riguardanti i casi di assistenza amministrativa, l’autorità fiscale statunitense IRS ritira definitivamente l’azione civile contro l’UBS. Vuole comunque continuare ad indagare su altre banche svizzere.

Febbraio 2011: Gli USA hanno nel mirino il Credit Suisse (CS) e varie altre banche quali HSBC Suisse, le banche cantonali di Basilea e Zurigo, Julius Bär e la Banca Wegelin.

9 dicembre 2011: Il Dipartimento di giustizia americano chiede alle banche svizzere il nome dei consulenti della clientela. Il diritto elvetico vieta però la consegna diretta di documenti con nomi di dipendenti.

Gennaio 2012: Il governo elvetico decide che si possono fornire dati bancari criptati alla giustizia americana. La chiave per decifrarli dovrebbe venir consegnata solo nel quadro di una procedura di assistenza amministrativa o giudiziaria, oppure dopo una soluzione globale della vertenza fiscale. Sotto pressione la Banca Wegelin, il più vecchio istituto di credito elvetico, vende le sue attività non americane al gruppo Raiffeisen.

11 aprile 2012: Il Tribunale amministrativo federale (TAF) ferma la consegna di dati bancari agli Stati Uniti. I giudici danno ragione ad un cliente del Credit Suisse che si opponeva all’assistenza amministrativa accordata dalla Svizzera al fisco americano.

4 dicembre 2012: Stati Uniti e Svizzera siglano un accordo sull’applicazione della legge fiscale americana denominata FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act) che dovrebbe entrare in vigore nel 2014. Gli Stati Uniti vogliono tassare i conti che le persone assoggettate a imposta negli Stati Uniti detengono all’estero.

3 gennaio 2013: La banca privata Wegelin, accusata dalle autorità americane di complicità in evasione fiscale, si dichiara colpevole e dovrà pagare una multa di 74 milioni di dollari.

29 maggio 2013: Il governo elvetico adotta un progetto di legge urgente per consentire a tutte le banche svizzere di mettere una pietra sul passato e di regolarizzare le loro relazioni con le autorità statunitensi. Il progetto di Lex USA è trasmesso alle Camere federali, chiamate ad esprimersi nella sessione parlamentare estiva.

5 giugno 2013: La Camera del popolo sospende l’esame del progetto. Prima di deliberare, esige che il governo fornisca maggiori informazioni al parlamento sul programma proposto da Washington per consentire alle banche di regolarizzare il loro passato.

12 giugno 2013: La Camera dei cantoni approva il disegno di legge, apportandovi qualche modifica.

19 giugno 2013: La Camera del popolo rifiuta, per la seconda volta, di entrare in materia. La Lex USA viene così definitivamente bocciata.

(Fonte: Agenzia telegrafica svizzera, ats)

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