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L’esercito svizzero in crisi d’identità

Keystone

Da ormai alcuni anni le forze armate elvetiche sono confrontate a numerose difficoltà. L'analisi di Rudolf Jaun, docente di storia all'Accademia militare del Politecnico di Zurigo.

Delle riforme che avanzano a stento, il programma d’armamento 2008 bocciato dalla camera bassa del parlamento, un parlamento diviso sul ruolo delle forze armate, lo scandalo legato al capo dell’esercito Roland Nef, un consenso popolare che sta fondendo… da alcuni anni l’esercito svizzero sembra aver perso il bandolo della matassa.

Secondo Rudolf Jaun, professore di storia militare all’Accademia del Politecnico di Zurigo, la grande sfida è di trovare un’armonia tra il sistema di milizia e un nuovo concetto d’esercito.

swissinfo: Nel corso della storia, l’esercito svizzero ha già conosciuto crisi simili?

Rudolf Jaun: Sì, questa non è la prima. A cavallo tra il XIX e il XX secolo vi fu un dibattito molto acceso tra chi, come il generale Wille, preconizzava una maggiore centralizzazione e un’organizzazione di stile prussiano (visione che poi si imporrà nel 1907) e i sostenitori di un modello che lasciava ampie competenze ai cantoni. Si trattò in un certo senso di una crisi d’orientamento, un po’ come quella attuale.

Il secondo momento di crisi si situa dopo la fine della prima guerra mondiale, un periodo caratterizzato da un rifiuto assai generalizzato della guerra.

swissinfo: Come si è giunti alla situazione attuale?

R.J.: Il problema è legato alle due riforme a cui è stato confrontato l’esercito nello spazio di poco tempo. La prima – Esercito 95 – è stata molto profonda, ma ha però conservato una struttura pensata per rispondere a un grande attacco tradizionale e non ancora orientata alla nuova situazione strategica.

Si è perciò dovuto procedere quasi subito a una seconda riforma, Esercito XXI. Questa riforma a mio avviso non è però abbastanza in sintonia con la situazione politica e sociale della Svizzera. Si è cercato di costruire un esercito seguendo certe tendenze, come una maggiore professionalizzazione, difficili però da applicare ad un esercito di milizia.

Oggi il grosso problema è di riuscire a trovare un’armonia tra il sistema di milizia e un nuovo concetto di esercito.

swissinfo: Le difficoltà che l’esercito incontra in parlamento sono dovute a una questione di persone – nella fattispecie il ministro della difesa Samuel Schmid – oppure vi sono motivi più di fondo?

R.J.: La questione personale naturalmente esiste, ma i motivi sono più di fondo. In parlamento si oppongono due concezioni diverse dell’esercito. L’Unione democratica di centro vorrebbe un esercito esclusivamente incentrato sulla difesa del territorio nazionale. Il Partito socialista, invece, preferirebbe mantenere solo un piccolo contingente per le missioni di pace all’estero. Ciò conduce a una situazione di stallo.

swissinfo: Negli ultimi anni le forze armate di molti paesi occidentali hanno subito riforme radicali. Perché in Svizzera non è ancora stato possibile procedere a riforme così ampie?

R.J.: Poiché l’esercito è di milizia. È un’istituzione molto più collegata ai civili e alle decisioni di popolo e parlamento. Non è un’organizzazione che si può cambiare così facilmente.

swissinfo: La neutralità come strategia di sicurezza ha ancora un senso nel contesto attuale?

R.J.: Per la Svizzera la neutralità è un concetto molto importante, poiché rappresenta in un certo senso una ‘success story’. Politicamente e giuridicamente i limiti da non superare sono perciò molto ristretti.

Ciononostante la neutralità è sicuramente stata ridimensionata. Oggi questo principio ha ancora un senso quando la Svizzera dice di non voler integrarsi alla NATO o ad altre alleanze militari. Ciò non vuole però dire che non siano necessarie cooperazioni militari.

swissinfo: Una neutralità assoluta come quella esaltata dall’Unione democratica di centro è quindi un modello superato?

R.J.: Sì, assolutamente.

swissinfo: Appena una ventina d’anni fa, carriera militare era spesso sinonimo di avanzamento professionale. Oggi un grado sembra invece essere soprattutto un ostacolo. Cos’è cambiato?

R.J.: Oggi ci sono molte altre possibilità per distinguersi. Inoltre le aziende sono molto più internazionali e vi è una minore comprensione per questo tipo di carriera.

Anche se l’esercito sta cercando di riconquistare un certo prestigio, il valore della formazione di manager di un ufficiale è spesso contestato.

Con la riforma Esercito XXI si puntava ad aumentare il numero di ufficiali di carriera. Sul mercato del lavoro non è però stato possibile trovarli.

Oggi siamo confrontati a un circolo vizioso: gli ufficiali sono pochi e le persone che si interessano a questo tipo di carriera sono scoraggiate dalla mole di lavoro. L’esercito fa molta fatica a reclutare ufficiali. E siamo solo agli inizi!

swissinfo: Professionalizzazione, servizio lungo, reclutamento su base volontaria… I modelli proposti per rispondere alle nuove sfide sono tanti. Qual è a suo avviso la migliore soluzione?

R.J.: Personalmente sono favorevole al mantenimento dell’obbligo di servire e a un’istruzione di base.

Vedrei però di buon occhio una diminuzione del numero dei corsi di ripetizione. Ciò significherebbe meno truppe e costi più contenuti. Inoltre si risolverebbe in parte il problema della mancanza di quadri.

Per quanto concerne la professionalizzazione dell’esercito o di parte di esso, nutro dei grossi dubbi, poiché la popolazione svizzera è ancora molto attaccata all’esercito di milizia.

swissinfo: Nell’ambito del suo lavoro, lei incontra tutti i giorni degli allievi ufficiali. Com’è il morale della truppa?

R.J.: A volte gli allievi sono un po’ preoccupati per il fatto di essere trasferiti da una piazza d’armi all’altra, ad esempio di non dover più lavorare a Frauenfeld (Turgovia) ma a Bière (Vaud).

Tutto sommato non ho però l’impressione che gli allievi siano particolarmente turbati dalla situazione generale dell’esercito.

swissinfo, intervista di Daniele Mariani

La riforma «Esercito XXI», approvata dal popolo il 18/5/2003 con il 76% dei voti, è partita il primo gennaio 2004. I compiti dell’esercito sono stati riformulati. Prevedono difesa e protezione del territorio, intervento sussidiario nella gestione dei pericoli esistenziali e collaborazione a missioni di pace.

Dagli anni Sessanta ad oggi gli effettivi sono passati da più del 10 a meno del 3% della popolazione. Esercito XXI può mobilitare 220’000 soldati (140’000 attivi e 80’000 riservisti), 180’000 in meno rispetto alla situazione anteriore.

Il principio di milizia e dell’obbligo di servire è stato conservato. Rispetto al passato, c’è ora un capo delle forze armate in tempo di pace.

Svizzera

Effettivi: circa 220’000
Spese militari nel 2007*: 3,4 miliardi di $ (3,7 miliardi frs.)
Spese/prodotto interno lordo: 0,95% del PIL
Spese pro capite: 450 dollari (490 frs.)
Soldati all’estero: 274

Austria

Effettivi: circa 106’000
Spese militari nel 2007: 2,6 miliardi di $ (2,8 miliardi frs.)
Spese/prodotto interno lordo: 0,8% del PIL
Spese pro capite: 320 dollari (347 frs.)
Soldati all’estero: 1’236

Irlanda

Effettivi: circa 23’500
Spese militari nel 2007: 1,1 miliardi di $ (1,2 miliardi frs.)
Spese/prodotto interno lordo: 0,45% del PIL
Spese pro capite: 271 dollari (295 frs.)
Soldati all’estero: 798

* Senza il costo dell’indennità perdita di guadagno (767 mio. $, 833 mio. frs.)

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