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La coesione fra identità svizzere non ha prezzo

Il ponte-diga di Melide, sul Ceresio, un simbolo del collegamento nord-sud Keystone

A nord delle Alpi la Svizzera italiana stenta a farsi capire e riconoscere: le imminenti elezioni per la successione del ministro Pascal Couchepin ne hanno ancora una volta fornito la dimostrazione. Coscienza Svizzera invita quindi a non perdere di vista il valore delle diverse identità elvetiche.

“Il Ticino non vuole diventare il quartiere latino di Zurigo e nemmeno il casinò di Milano” ha dichiarato un po’ provocatoriamente il presidente di Coscienza Svizzera Remigio Ratti durante un incontro a Berna. Secondo l’economista ticinese la Svizzera d’Oltralpe deve riconsiderare la Svizzera italiana quale elemento essenziale del nostro paese.

L’appuntamento elettorale del 16 settembre ha offerto l’occasione per riflettere di nuovo sulla questione del ruolo e del peso politico della Svizzera italiana in seno alle istituzione della Confederazione. Coscienza Svizzera ha organizzato giovedì scorso una conferenza stampa a Berna per dibattere sull’identità e la specificità della Svizzera italiana e in particolare del Ticino.

Il federalismo competitivo

Sul piano culturale la Svizzera italiana ha saputo ritagliarsi uno spazio invidiabile nel paese grazie al Festival del film di Locarno e alla nuova realtà universitaria. Dal punto di vista politico invece è emerso un fenomeno nuovo: “Il federalismo elvetico sta diventando sempre più competitivo”, hanno sottolineato il politologo Oscar Mazzoleni e l’economista Remigio Ratti.

I due curatori della recente pubblicazione “Identità nella globalità. Le sfide della Svizzera italiana” hanno denunciato questa logica ‘elveticamente poco corretta’, che ha emarginato l’italiano nell’amministrazione federale e che “contribuisce ad un certo isolamento e all’avanzata di correnti populiste al Sud delle Alpi”.

Oscar Mazzoleni ha sottolineato questo concetto presentando alcune tappe dell’evoluzione del modello politico elvetico. Il docente alle università di Ginevra e Losanna ha ricordato l’epoca d’oro del federalismo sviluppatasi dagli anni Trenta agli anni Novanta del XX secolo: “In quel periodo si manifestarono gli effetti della pace del lavoro, di una crescita del benessere economico e di una integrazione di tutte le principali forze nel governo federale”. La nostra epoca ci consegna invece una maggiore competitività e l’indebolimento del modello cooperativo elvetico. “Tornano a galla vecchie tensioni fra il centro e la periferia, fra Berna e Bellinzona”.

Le sfide viste come opportunità

Durante la discussione si sono pure ricordate le sfide e le opportunità che in futuro il Ticino dovrà cogliere. Ed è di nuovo Ratti a mettere l’accento sul fatto che la Svizzera italiana ha un enorme potenziale da valorizzare: “La lingua italiana gioca un ruolo di primo piano, dopo il tedesco, nei rapporti commerciali con l’estero”. La posizione del Ticino e della Svizzera italiana va considerata infatti in un ambito più ampio dei confini nazionali. Essa si trova a stretto contatto, non solo territoriale ma pure culturale, con lo spazio metropolitano milanese e transfrontaliero, uno dei motori economici dell’Europa. Secondo l’economista, “puntare sull’italianità significa contare anche sui contatti con un’aera di confine lombarda e piemontese di oltre 10 milioni di abitanti”.

Con l’apertura del traforo di base del San Gottardo il Ticino si avvicinerà a Zurigo. La Svizzera italiana sarà chiamata a svolgere un ruolo “ponte” fra culture e a rafforzare i legami fra il nord e il sud delle Alpi.

Il valore della diversità

Viste le imminenti elezioni per la successione in governo di Pascal Couchepin, non sono mancati i riferimenti alla questione della rappresentanza politica a livello federale della Svizzera italiana.

Joëlle Kuntz, pubblicista ed editorialista del quotidiano ginevrino “Le Temps” ha messo in guardia dalle tendenze che vorrebbero ridurre il principio di uguaglianza tra le culture ad una mera questione di maggioranza e minoranza: “il gruppo più ampio ottiene il maggior numero di rappresentanti”. Questa logica o gioco di alchimie potrebbe portare a considerare l’elezione in Consiglio federale di un appartenente alla terza Svizzera come un fatto estemporaneo, eccezionale. Secondo la giornalista romanda invece l’uguaglianza e la coesione fra le culture in Svizzera “è un valore immenso, senza prezzo” e “alla Svizzera italiana deve sempre essere riservato un posto in Consiglio federale”.

Luca Beti, swissinfo.ch

L’associazione Coscienza Svizzera, nata nel 1948, è un gruppo di riflessione per la Svizzera italiana che si prefigge di mantenere vivo il senso civico e sensibilizzare la popolazione sulle sfide a cui è confrontato il paese.

In particolare vuole offrire un contributo alla difesa e al promovimento delle diverse identità, lingue e culture presenti nel paese.

L’associazione, che conta oggi circa 600 soci, organizza dibattiti e pubblica degli studi d’approfondimento su questioni di attualità politica, economica, sociale e culturale.

Dalla nascita della Svizzera moderna nel 1848, la Svizzera italiana ha avuto sette consiglieri federali, tutti ticinesi.

Il primo è stato Stefano Franscini, in governo dal 1848 al 1857. A lui è seguito Giovanni Battista Pioda (1857-1864).

Con Giuseppe Motta, eletto nel 1911, ed Enrico Celio ci fu una presenza ininterrotta fino al 1950; in seguito la Svizzera italiana è stata presente in Consiglio federale dal 1954 al 1959 con Giuseppe Lepori, dal 1966 al 1973 con Nello Celio e dal 1986 al 1999 con Flavio Cotti.

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