Obiettivi del Millennio: molto rumore per nulla?
Nel 2015, le Nazioni Unite intendono lanciare un ambizioso programma di «sviluppo sostenibile», con l’obiettivo di prolungare e migliorare gli attuali otto Obiettivi del Millennio. Ma cosa rimane di questo programma mondiale di lotta contro la povertà? Le risposte di tre esperti di economia dello sviluppo.
La mobilitazione è iniziata nel 2000 con l’adozione da parte di 189 Stati membri dell’ONU di una Dichiarazione del Millennio Collegamento esternoche sancisce la volontà di far fronte alla povertà nel mondo. Un impegno non vincolante, tradotto in otto Obiettivi di sviluppo (MDG).
La consulente Nina Schneider, ex responsabile delle politiche di sviluppo presso Alliance Sud (una coalizione di ONG svizzere), ha accolto con favore l’iniziativa: «Gli obiettivi hanno permesso di mobilitare in modo efficace i governi e la società civile in tutto in mondo, a favore di un catalogo di priorità sociali importanti. Questi obiettivi misurabili e limitati nel tempo (2015) hanno permesso di migliorare l’impegno garantito nella lotta contro la povertà».
Economista dello sviluppo all’Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo di Ginevra (IHEID), Jean-Michel Servet ricorda dal canto suo il contesto di questa iniziativa internazionale: «Negli anni Novanta, lo sviluppo si fondava in gran parte su politiche neoliberali [secondo il cosiddetto consenso di WashingtonCollegamento esterno, ndr]. Ci si è però resi conto che un aiuto allo sviluppo basato su questi principi aveva effetti catastrofici e si traduceva in un aumento della povertà. Gli MDG hanno portato alla consapevolezza che i mercati non possono risolvere tutti i problemi legati alla povertà».
Con gli Obiettivi del Millennio, l’ONU e i suoi membri sono dunque riusciti ad invertire la tendenza? La risposta non è per nulla scontata.
Altri sviluppi
In fuga dai disastri della natura
La povertà e i suoi molteplici fattori
Il primo obiettivo fissato nel 2000 era di dimezzare il tasso di povertà estrema. «È soprattutto grazie alla crescita economica della Cina che già nel 2010 tutti i paesi in transizione e in via di sviluppo sono riusciti a ridurre della metà il rispettivo tasso di povertà, registrato nel 1990», ricorda Nina Schneider.
Il professore Jean-Louis Arcand, in carica anche lui all’IHEID, è ancora più scettico: «In quanto economista dello sviluppo che fa ricerca sul campo, mi interrogo sull’utilità di questo genere di ambizione velleitaria. E lo stesso fanno anche i miei colleghi».
«Prendiamo ad esempio la definizione di estrema povertà data dalla Banca mondiale, di 1,25 dollari al giorno. Questa barriera fa sì che ci si concentri su coloro che guadagnano meno. Ma cosa facciamo con quelli che ricevono 1,8 dollari o poco più? Abbiamo tendenza a focalizzare l’attenzione su determinate categorie, sulla base di una caratteristica specifica, mentre la situazione è molto più complessa».
Stando a Jean-Louis Arcand, «affinché un programma di lotta contro la povertà funzioni, bisogna includere anche le classi medie, in modo che l’intero programma non venga paralizzato come accaduto in Argentina. Inoltre gli Obiettivi del Millennio non evocano da nessuna parte i problemi di disuguaglianza e redistribuzione».
Più critico nei confronti dell’attuale sistema economico, il suo collega Jean-Michel Servet aggiunge: «Non si è voluto comprendere che la povertà è fondamentalmente determinata da fattori come la disuguaglianza e le discriminazioni». E se questi non vengono affrontati, anche la povertà sarà difficile da debellare.
Per Nina Schneider, la realizzazione degli Obiettivi del Millennio è stata frenata anche dalla politica dominante dei paesi industrializzati. «Fin dagli anni Novanta hanno imposto regole commerciali a loro vantaggio e hanno globalizzato i mercati finanziari deregolamentati. Ciò ha ostacolato lo sviluppo di molti paesi poveri, ha provocato la peggior crisi economica dagli anni Trenta e ha portato a oltrepassare i limiti ecologici sostenibili dal nostro pianeta».
Jean-Louis Arcand si distanzia da questa critica radicale sul ruolo dell’economia, puntando invece il dito contro il funzionamento dell’ONU. «Quando gli obiettivi fissati vengono decisi in una sala a New York o a Ginevra, rischiano di essere completamente alterati. Ci si focalizza su priorità che per ragioni diverse ne escludono altre. Ciò mette in pericolo l’applicazione di diversi programmi».
Altri sviluppi
Obiettivi di sviluppo del Millennio – progressi nel 2015
I limiti dell’aiuto allo sviluppo
Ciononostante, le Nazioni Unite vantano una serie di passi in avanti. «Sono stati compiuti notevoli progressi nella realizzazione degli Obiettivi del Millennio e diversi obiettivi specifici sono stati raggiunti su scala mondiale e nazionale», ha sottolineato il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, nel suo rapportoCollegamento esterno sugli MDG pubblicato nel 2013.
Un’affermazione che non convince Jean Louis Arcand. «Nessun paese al mondo è uscito dalla povertà grazie ai programmi di aiuto allo sviluppo finanziati dalla Banca mondiale o dall’Unione europea. A cavarsela sono quei paesi che hanno un settore privato e un apparato istituzionale forti. Non è certo il budget dell’aiuto allo sviluppo che porta un paese verso la crescita».
La Banca mondiale e le sue antenne regionali hanno però investito molto nella realizzazione degli Obiettivi del Millennio, come ricorda Nina Schneider. «Queste istituzioni finanziarie – in qualità di donatrici con grossi capitali – svolgono un ruolo importante nella scelta, nel finanziamento e nella valutazione dei programmi. Sono in grado di punire un paese che rifiuta di rispettare i loro principi e le loro misure. Ma contribuiscono poco a un’equa ripartizione del fardello a livello internazionale o a una giustizia fiscale, commerciale e finanziaria».
La carenza di risorse finanziarie
Verso i nuovi Obiettivi del Millennio
In occasione della 69. sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che si apre a New York il 16 settembre, un gruppo di lavoro è chiamato a fare il punto sulle trattative in corso per la redazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Questo nuovo catalogo di misure dovrà essere approvato durante la prossima assemblea generale dell’ONU, nel settembre 2015. Fondato nel 2012, il gruppo di lavoro è costituito di rappresentanti di 30 paesi. La Svizzera condivide un seggio con la Germania e la Francia.
Jean Michel Servet sottolinea dal canto suo il peso esorbitante degli attori della finanza. «Fanno di tutto per ridurre al minimo le imposte. Se non si torna a un certo tipo di tassazione, vedo male come si possano risolvere i problemi sottolineati dall’ONU. Come sviluppare la democrazia se si indebolisce lo Stato diminuendone le risorse fiscali?».
Di fatto, gli Stati che solitamente finanziano i programmi di sviluppo non sono per nulla inclini ad aumentare il loro contributo. Ciò fa calare un’ombra sui prossimi obiettivi che dovranno essere adottati dai membri dell’ONU nel 2015. Un nuovo catalogo, centrato sullo sviluppo sostenibile.
Per Jean-Louis Arcand il concetto di “sviluppo sostenibile” è però come un minestrone nel quale si mette di tutto. «Il vero potere economico – aggiunge – lo detengono le multinazionali. Ma la loro responsabilità sociale è portata avanti con poca convinzione dall’ONU. L’essenziale sta nella capacità dei diversi paesi di mettere in atto un quadro istituzionale solido e bendisposto».
Da parte sua, Nina Schneider continua a credere nell’utilità dei nuovi obiettivi delle Nazioni Unte. «Un’agenda globale per lo sviluppo post-2015, che prende in considerazione le disparità sociali e i limiti del pianeta, offre la possibilità unica di rimediare alle carenze manifeste degli Obiettivi del Millennio. Questa agenda dovrebbe basarsi sia sui diritti umani riconosciuti a livello internazionale, sia sui principi di Rio del 1992. Senza un programma analogo, il mondo si dirigerà verso una destabilizzazione sociale ed ecologica sempre più grande, le cui conseguenze sulla società saranno difficilmente gestibili politicamente».
In corso di trattativa, gli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile sembrano andare in questa direzione. Nell’impossibilità di garantire la pace nel mondo, l’ONU si gioca la sua credibilità nel campo dello sviluppo.
(Traduzione dal francese, Stefania Summermatter)
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