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Presunti maltrattamenti nei centri federali: parlano i migranti

Il centro federale temporaneo per richiedenti asilo Pascolo a Balerna
KEYSTONE/Ti-Press/Davide Agosta

Il racconto: “Abbiamo la pelle nera, fanno con noi quello che vogliono” – La Segreteria di Stato della migrazione: “Prendiamo sul serio le accuse e indaghiamo immediatamente” - Nelle strutture emerge un quadro di disagio.

Maltrattamenti, violenza fisica, comportamenti discriminatori nei confronti dei migranti che vivono nei centri federali per richiedenti l’asilo: situazioni che a volte vengono denunciate da alcune associazioni, ma raramente dai migranti stessi, che temono ripercussioni. La gestione della sicurezza nei centri è una questione delicata, sia per le agenzie di sicurezza, sia per gli ospiti stessi. Di questo problema si era discusso diversi anni fa con il caso Argo 1, ma cosa succede ora? Sulla questione ha indagato Il Quotidiano della RSI, che ha raccolto la testimonianza diretta di due ospiti. Persone che hanno preferito tuttavia restare anonime.

“Siccome abbiamo la pelle nera, con noi fanno quello che vogliono”

“Siamo dei migranti: non siamo venuti qui per creare problemi. Ci sono persone al di sopra delle leggi, che fanno quello che vogliono, mentre noi non siamo nessuno: siamo stipati in camere in più di dieci e il modo in cui ci trattano non è normale. Siamo qui dopo aver vissuto cose terribili: dovrebbero prenderci sul serio e proteggerci. Nel centro (federale, ndr.) la sicurezza non fa quello che dovrebbe, ma loro avranno sempre ragione e noi sempre torto”, racconta uno degli ospiti di un centro per richiedenti asilo in Ticino ai microfoni della RSI. “Sono successe un sacco di cose, con me o con altre persone. Non tutti hanno il coraggio di denunciare, perché se hai fatto una domanda d’asilo rischi che venga rifiutata. Nel centro, è pieno di gente che ha problemi, ma rinunciano a denunciarli”, aggiunge.

La testimonianza di un migrante rilasciata al giornalista RSI Simone Previatello.
La testimonianza di un migrante rilasciata al giornalista RSI Simone Previatello. RSI

L’accusa del nostro interlocutore è rivolta contro chi si occupa della sicurezza: “Loro hanno il compito di proteggerci, ma se arrivano e vedono che c’è un problema, invece di separarci e sistemare le cose, siccome noi abbiamo la pelle nera, fanno quello che gli pare; non si riesce mai a far capire cosa abbiamo fatto, o cosa vogliamo: questo non ci piace, siamo anche noi esseri umani”

Il primo migrante che il Quotidiano ha incontrato spiega di aver subito violenza dagli addetti alla sicurezza due volte. La più grave inizia con un fatto banale: una sera rientra tardi dopo aver giocato a calcio, sono le 19:00. Chiede del cibo, ma non c’è. Chiede allora del tè, ma dopo aver insistito l’assistente gli dà solo acqua calda e zucchero, dicendo “arrangiati”. Poco prima aveva però servito del tè a un migrante turco, suo connazionale.

“Così ho chiesto ancora e sono entrato in cucina a chiedere il tè. Lui ha chiamato la sicurezza e quando sono arrivati mi hanno chiesto di uscire, poi hanno cominciato a picchiarmi, mi hanno fatto cadere, c’erano otto-nove agenti di sicurezza su di me. C’era una cosa, come una transenna, una sbarra, e in quel momento l’ho afferrata. Così hanno chiamato la polizia, che ha chiesto come mai mi hanno sequestrato in quel modo. Loro hanno detto che io avevo preso la sbarra per colpirli. I miei amici però hanno confermato la mia versione: sono gli agenti di sicurezza che mi hanno colpito. Ma gli agenti hanno detto ai miei amici che sono io che sono “malato”. Hanno chiamato l’ambulanza e mi hanno portato all’ospedale psichiatrico.”

C’è stato dunque un problema con un assistente del centro. Che lo avrebbe discriminato. E che poi ha portato a un intervento della sicurezza. “Generalmente lo fanno con noi neri. Alcuni assistenti, se posso dirlo, sono veramente razzisti, non tutti, ma alcuni davvero. Non ci trattano come dovrebbero, chiedi delle cose e ti mandano da un altro, poi un altro ancora e alla fine non ricevi niente”, prosegue il migrante che ha deciso di raccontare la sua storia ai nostri microfoni.

Questi episodi, racconta ancora, sono avvenuti a Balerna. Stando a informazioni raccolte dalla RSI, sono diversi i casi di presunti maltrattamenti avvenuti nel 2023, un po’ per tutte le etnie, ma raramente questi hanno portato a una denuncia.

I migranti, come detto, temono conseguenze per la propria domanda d’asilo, e spesso hanno paura di non essere ascoltati dalle autorità. Inoltre, in diversi casi, dopo la segnalazione di episodi di violenza non si è arrivati a un incontro con un avvocato.

“Mi hanno detto: torna a casa a mangiar banane”

Poi, esistono casi in cui non c’è violenza fisica, ma verbale, come racconta un altro migrante africano: “Una volta, a Balerna, sono rientrato e ho lasciato l’ombrello all’entrata, perché non si può portare all’interno. Il giorno dopo quando stavo uscendo l’ho chiesto indietro, perché pioveva, ma mi hanno detto che dovevo aspettare. Ma l’ombrello era lì, cavolo… E uno della sicurezza mi fa: ma tu dall’Africa sei venuto in Svizzera con l’ombrello? Torna a casa e vai a mangiare le banane, invece di chiedere ombrelli”

“Perché mi ha trattato così?  – si chiede – “Per la mia pelle? Siamo tutti esseri umani. Abbiamo un cuore. Se mi parli male, posso restarci male o avere paura. E se ho paura posso volermi difendere.”

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Il centro richiedenti l’asilo di Pasture a Balerna. © Keystone – Ats / Ti-press

Quest’altro migrante mette in dubbio i metodi della sicurezza anche in caso di lite tra richiedenti l’asilo. Metodi ritenuti troppo duri: “Prendono una persona, in tre, la portano là dietro dove non ci sono le telecamere. La mettono contro un muro, per perquisirla, e se non vuole o non capisce, la piegano al suolo, con violenza. Non tutti lo sopportano. Io se subisco la violenza reagisco, divento pazzo.”

Oltre ai metodi, i richiedenti asilo soffrono il fatto di non avere attività, di passare le giornate in attesa di una decisione. Il secondo migrante intervistato, racconta di aspettare da sei mesi: “Ho attraversato Nigeria, Niger, Algeria, Tunisia, il Mediterraneo. La barca si è rovesciata, siamo rimasti tre giorni in mare, col giubbotto di salvataggio, senza mangiare né bere, c’erano alcuni che si lasciavano andare giù, e morivano: sì, è reale”.

“Apprezziamo e ringraziamo quello che fanno molti abitanti svizzeri per noi, come le manifestazioni e questo ci dà un po’ di speranza. Se abbiamo lasciato il nostro paese per venire qui è perché da noi va male, c’è la guerra. E infine la cosa molto importante: noi siamo dei ragazzi forti e vogliamo lavorare, siamo motivati”, conclude.

La SEM: “Prendiamo sul serio ogni singola accusa”

Questa è la versione di due migranti, le cui testimonianza sono state pubblicate in forma anonima ma di cui RSI conosce nome e percorso. Il dito è stato puntato da parte loro più volte contro la sicurezza. Sicurezza che nei centri federali per richiedenti asilo è affidata a un’agenzia privata, alla quale il Quotidiano ha chiesto un’intervista. La ditta, tuttavia, ha spiegato di non essere autorizzata a rilasciare dichiarazioni.

In ogni caso, responsabile della gestione della sicurezza in queste strutture è in la SEMCollegamento esterno, la Segreteria di Stato della migrazione. SEM che ha accettato di rispondere ad alcune domande della RSI, ma solo in forma scritta.

Per prima cosa, ricorda il suo principio guida: chi si occupa di sicurezza nei centri si ispira al principio di imparzialità, rispetta la dignità umana e assume una posizione neutrale su questioni di asilo, politica e religione.

La SEM, specifica, ha un piano di prevenzione della violenza. Chiediamo, quindi, quali sono le modalità di intervento in caso di lite o tensione? Ecco la risposta:

“Dal febbraio 2021, i centri federali d’asilo dispongono di consulenti per la prevenzione dei conflitti. Si spostano all’interno del centro di accoglienza, ovunque siano ospitati i richiedenti asilo, e fungono da primo punto di contatto. Riconoscono tempestivamente frustrazioni e controversie e le affrontano in modo che i conflitti non degenerino in violenza. Qualora si rendesse necessario un intervento da parte dei servizi di sicurezza, ad esempio per una situazione di autodifesa o di emergenza, al fine di scongiurare un pericolo, questo deve sempre avvenire nel rispetto della proporzionalità”.

Andiamo nel dettaglio, in quali circostanze la sicurezza fa uso della forza? “Quando la situazione lo consente, i conflitti vengono mediati utilizzando misure di de-escalation, attraverso il dialogo. Solo in situazioni di autodifesa o di emergenza si può ricorrere a misure coercitive per scongiurare il pericolo, nel rispetto della proporzionalità. La SEM prende molto sul serio le accuse di uso illegale della forza e indaga immediatamente sulle segnalazioni specifiche”.

Un estratto della risposta scritta che la SEM ha fatto pervenire a Il Quotidiano.
Un estratto della risposta scritta che la SEM ha fatto pervenire a Il Quotidiano. RSI

I migranti hanno riferito alla RSI di ricevere talvolta un trattamento troppo duro e che la sicurezza non offre loro una protezione sufficiente. Che cosa risponde la Segreteria di stato della migrazione?

“I richiedenti asilo sono sostenuti dal personale della SEM, dai consulenti, dai rappresentanti legali e dai cappellani – e queste persone naturalmente accolgono anche le lamentele e le preoccupazioni o informano i richiedenti asilo della possibilità di presentare una denuncia alla polizia. Se è necessario intervenire, la SEM reagisce immediatamente nell’ambito delle sue possibilità e in collaborazione con i suoi partner”

Dall’inizio del 2022, la SEM sta attuando il progetto “Prevenzione e sicurezza”, che mira a migliorare la sicurezza nei centri federali per richiedenti asilo. Inoltre, ha un progetto pilota per i centri federali di Basilea e Zurigo: un ufficio per la segnalazione di incidenti e preoccupazioni da parte di richiedenti asilo e dipendenti. Complessivamente la SEM ha creato dal 2021 un centinaio di nuove posizioni a tempo pieno per la prevenzione e la sicurezza.

Il Quotidiano ha raccolto le testimonianze di due migranti che parlano di discriminazioni nei confronti degli africani, tra cui frasi razziste. Come denunciarle, quindi? I migranti spesso temono conseguenze per la loro procedura d’asilo, e non si sentono presi seriamente.

La SEM risponde che prende “molto sul serio tali accuse in ogni singolo caso e prende provvedimenti immediati o avvia indagini”.

“Ci concentriamo sul dialogo e sulla sensibilizzazione, in modo che anche gli incidenti di cui la SEM non era a conoscenza vengano segnalati in modo coerente (ad esempio anche alle autorità di polizia competenti). In caso di reato ufficiale, la polizia viene sempre coinvolta”, si legge nella risposta scritta fatta pervenire alla RSI.

A questo punto, il Quotidiano ha chiesto quanti sono i casi in Ticino in cui sono state avviate indagini o presi provvedimenti, dopo le segnalazioni dei richiedenti asilo. Ma la risposta è stata che questi casi non sono stati contabilizzati.

RSI ha quindi chiesto anche alla Procura ticinese, per sapere di casi con rilevanza penale, ma anche in questo caso non esiste una statistica che classifichi quelli che hanno come vittima un richiedente asilo.

Quel che emerge, in ogni caso, è un quadro di disagio: i centri sono sovraffollati e anche parte del personale che ci lavora, da nostre informazioni, esprime malessere per quella che viene percepita come una malagestione da parte della SEM.

La presa di posizione della SEM:


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