“Processo di pace bloccato con la Palestina all’ONU”
A pochi giorni dalla presentazione alle Nazioni Unite della candidatura della Palestina come Stato indipendente, Israele condanna quest'iniziativa che considera controproducente. Intervista a Ygal Palmor, portavoce degli Affari esteri.
Il 20 settembre, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmud Abbas dovrebbe chiedere il riconoscimento dello Stato palestinese di fronte all’Assemblea generale dell’ONU. Una mossa che secondo il viceministro israeliano degli Affari esteri, Danny Ayalon, segnerebbe la fine di tutti gli accordi conclusi con i palestinesi.
Tale decisione, ha affermato Ayalon alla radio pubblica israeliana, «annullerebbe ogni accordo e libererebbe Israele dagli impegni assunti». E ad essere responsabili di questa situazione, ha aggiunto, sono soltanto i palestinesi.
Nell’intervista a swissinfo.ch, il portavoce del Ministero degli Esteri israeliano, Ygal Palmor, spiega quali sono i timori del governo israeliano, il più a destra di sempre.
swissinfo.ch: Quale atteggiamento vi attendete da un paese come la Svizzera? Un’astensione durante il voto?
Ygal Palmor: Dalla Svizzera, così come da tutti i paesi implicati nel processo di pace o interessati a parteciparvi, ci aspettiamo che spieghino ai palestinesi che per ottenere uno Stato indipendente ufficialmente riconosciuto è necessario un negoziato diretto. Uno Stato può nascere unicamente da una trattativa diretta e da un accordo bilaterale.
Un’azione unilaterale alle Nazioni Unite non apporterà assolutamente nulla ai palestinesi. Anche se dovessero ottenere la maggioranza dei voti dell’Assemblea generale, una risoluzione non avrà ripercussioni sul terreno e renderà estremamente difficile la ripresa del processo di pace.
Detto questo, ogni paese fa i propri calcoli in seno a un’Organizzazione delle Nazioni Unite che ha una logica tutta sua. Al suo interno sono prese decisioni, come se all’esterno non ci fosse nulla, come se il mondo reale non esistesse. È quindi difficile sapere in che modo, e in funzione di quali considerazioni, voteranno i paesi.
swissinfo.ch: I palestinesi giustificano l’iniziativa presso l’ONU con il blocco israeliano nei precedenti negoziati e con il proseguimento della colonizzazione della Cisgiordania…
Y. P.: Ognuno ha qualcosa da rimproverare all’altro, quando invece si potrebbe discutere attorno al tavolo delle trattative. Il fatto di evocare un problema non giustifica il rifiuto di negoziare.
swissinfo.ch: Un riconoscimento quale Stato non membro sarebbe accettabile per Israele?
Y. P.: Uno Stato rimane uno Stato. Quest’opzione porrebbe i medesimi problemi di un riconoscimento quale Stato membro. Un’eventuale risoluzione renderebbe praticamente impossibile il ritorno dei palestinesi al tavolo dei negoziati.
swissinfo.ch: Per quale motivo?
Y. P.: Principalmente per due ragioni, di cui intravediamo già le premesse nella politica palestinese. I palestinesi che si oppongono al principio stesso di un negoziato di pace ne uscirebbero rafforzati. Potranno infatti dire: “Perché entrare in trattativa, ciò che implica una riconciliazione e reciproche concessioni, quando si può invece ottenere tutto attraverso l’ONU, senza concedere nulla?”.
Questo modo di pensare, spesso legato da Hamas, era ancora minoritario fino a poco tempo fa, ma attualmente sta prendendo sempre più piede. In caso di successo dell’iniziativa palestinese all’ONU, questa visione acquisirebbe maggior peso.
Inoltre, il contenuto di un’eventuale risoluzione non potrà essere negoziabile dai palestinesi. Il risultato è che la flessibilità e il margine di manovra necessari per un negoziato si ritroverebbero terribilmente limitati.
swissinfo.ch: Le grandi linee di un accordo (parametri Clinton, iniziativa di Ginevra) sono tuttavia note…
Y. P.: Le grandi linee di cui parla sono forse conosciute e accettate da molti. Ma non sono applicabili tali e quali senza negoziati.
Inoltre, dalla redazione dei parametri Clinton nel 2000 la situazione è profondamente cambiata. Hamas ha ripreso il controllo della Striscia di Gaza e l’ha trasformata in un territorio secessionista nei confronti del governo palestinese. Questo pone un grosso problema a livello della governabilità del territorio palestinese. Il governo palestinese chiamato a negoziare in un modo o nell’altro con Israele non esercita alcun controllo su Gaza. Come si potrà dunque applicare un eventuale accordo di pace israelo-palestinese sulla totalità del territorio palestinese?
swissinfo.ch: Israele sta perdendo alleati in una regione in piena trasformazione e il sostegno dell’Occidente si sta indebolendo. Israele è chiamato ad agire in fretta?
Y. P.: Possiamo anche dire che il tempo gioca a sfavore di alcuni regimi della regione. A dire il vero, il tempo non conta per nessuno, dal momento che stiamo vivendo un enorme cambiamento di cui non conosciamo gli esiti. Ancora non sappiamo chi saranno i vincitori e chi i perdenti. Bisogna saper affrontare la tempesta e mantenere la rotta.
swissinfo.ch: Dati i cambiamenti in atto nella regione, Israele non rischia però di dover fare sempre più concessioni col passare del tempo?
Y. P.: Direi di no. I mutamenti in corso nei paesi arabi, in Iran e in Turchia spingono alla prudenza. Non si deve agire precipitosamente in un contesto regionale così mutevole. Ciò non significa tuttavia immobilismo. Bisogna al contrario negoziare immediatamente, senza esitazioni. Questo è ciò che il governo israeliano continua a chiedere. Il nostro messaggio ai palestinesi è semplice: parlateci e metteteci alla prova.
1947: l’Assemblea generale dell’ONU adotta la risoluzione 181 sulla partizione della Palestina e la creazione di due Stati, uno ebraico e l’altro arabo, con Gerusalemme sotto controllo internazionale. Il piano è respinto dai paesi arabi.
1964: nasce l’Organizzazione di liberazione della Palestina (OLP).
1974: l’Assemblea generale dell’ONU riconosce il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione e all’indipendenza. Accorda all’OLP uno statuto di osservatore.
1988: l’OLP in esilio ad Algeri proclama uno Stato palestinese indipendente, che viene riconosciuto da oltre un centinaio di paesi.
1994: in seguito agli accordi di Oslo, Yasser Arafat costituisce a Gaza l’Autorità palestinese, di cui viene eletto presidente nel 1996.
2002: risoluzione 1397 del Consiglio di sicurezza, che menziona per la prima volta lo Stato palestinese.
2010: nel corso di una riunione araba a Sirte (Libia) il dirigente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) espone una serie di alternative ai negoziati di pace bloccati. Tra queste: la domanda di adesione all’ONU di uno Stato palestinese sulla base dei confini del 1967.
26 giugno 2011: Abbas annuncia la decisione di chiedere in settembre l’adesione dello Stato palestinese alle Nazioni Unite.
Fonte: AFP
La Cisgiordania e la Striscia di Gaza occupano una superficie complessiva di 6’020 km2 (Svizzera: 41’200 km2).
In Cisgiordania vivono 2,5 milioni di palestinesi, di cui 270’000 a Gerusalemme Est. Nella Striscia di Gaza risiedono 1,6 milioni di persone.
Oltre 300’000 israeliani vivono in colonie in Cisgiordania, 200’000 a Gerusalemme Est.
L’economia palestinese è in ripresa in Cisgiordania (per il 2011 è prevista una crescita del 7%). Dal canto suo, Gaza si sta riprendendo dopo l’operazione militare “Piombo fuso” condotta dall’esercito israeliano tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009.
Fonte: AFP
Traduzione di Luigi Jorio
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