The Swiss voice in the world since 1935

Un secolo di vita per l’Accademia militare

Alcuni ufficiali impegnati in un corso di lingue HKA

Daniel Lätsch, direttore della centenaria Accademia militare svizzera nonché convinto sostenitore dell'esercito di milizia, è sicuro: il popolo elvetico riconosce l'importanza delle forze armate per la stabilità della nazione.

Non tutti sanno che in Svizzera esiste un’Accademia militare (MILAK), e che questa – voluta dal generale Ulrich Wille per migliorare la formazione degli ufficiali di professione – compie 100 anni proprio nel 2011.

Il fatto che l’istituzione non sia conosciutissima è spiegabile proprio alla luce della particolarità dell’esercito svizzero, sottolinea il brigadiere Daniel Lätsch, che la dirige. «Sull’effettivo totale di 120’000 soldati attivi, soltanto 800 sono ufficiali di carriera. Ecco perché un numero contenuto di persone frequenta l’Accademia», spiega.

Ciononostante, precisa Lätsch, «negli ambienti militari e tra chi si occupa di scienze militari l’Accademia è ben nota, poiché assicuriamo ricerche di alta qualità e nel contempo un’ottima formazione orientata alla pratica».

Il ciclo triennale prevede corsi di materie umanistiche al Politecnico federale di Zurigo, corsi di scienze militari all’Accademia e un periodo di pratica: tale combinazione permette di ottenere un diploma riconosciuto in base al sistema di Bologna.

«La MILAK costituisce quindi un vero e proprio pilastro scientifico – vista la sua relazione con il Politecnico – e militare, dal momento che è integrata nell’esercito».

L’ombra dell’Est

Per decenni l’esercito svizzero è stato condizionato dal clima della guerra fredda. Infatti, nonostante la neutralità ufficiale, le forze armate rossocrociate erano comunque piuttosto vicine all’Alleanza atlantica e tendenzialmente ostili al blocco del Patto di Varsavia. Un orientamento che ha influenzato pure l’Accademia militare?

Nonostante l’obbligo della neutralità, «non è un segreto che durante la guerra fredda gli eserciti del blocco orientale erano percepiti come una minaccia. D’altronde, le nostre procedure per difenderci contro gli avversari erano essenzialmente una descrizione dell’esercito sovietico. L’orientamento di quell’epoca era in ogni caso più impregnato dalla minaccia che da considerazioni di ordine ideologico», evidenzia il brigadiere Lätsch.

Costruire la pace

Dopo la caduta del blocco comunista alla fine degli Ottanta, in Svizzera vi è stato un mutamento d’indirizzo per quanto concerne i compiti dell’esercito: dalla difesa del territorio nazionale ci si è vieppiù spostati verso il mantenimento della pace.

«L’importanza attribuita alla difesa nazionale è chiaramente diminuita. Ciononostante, ancora oggi l’esercito deve comunque essere in grado di proteggere il nostro paese e la nostra popolazione: il mantenimento della pace comincia proprio qui», commenta il direttore della MILAK.

«I nostri ufficiali devono quindi saper lottare. Di conseguenza, sono istruiti sia per questi compiti, sia per svolgere al meglio le missioni di mantenimento e promozione della pace. Va infatti tenuto presente che in entrambi i casi i militari sono chiamati ad agire in circostanze difficili».

Non solo in Svizzera

Uno dei compiti dell’Accademia è quello di preparare adeguatamente gli ufficiali di carriera per assumere funzioni di condotta e d’istruzione in Svizzera e all’estero. Queste persone necessitano dunque «di una solida formazione militare ma anche di una buona cultura generale», aggiunge Lätsch, che menziona pure le competenze linguistiche e la capacità di interagire con culture diverse. Tutti aspetti contemplati nei corsi.

Il percorso formativo non si limita quindi alla sola formazione di base, ma prevede delle proposte parallele all’attività sul terreno. Il catalogo è vasto: relazioni internazionali, diritto, politica di sicurezza, sociologia militare, storia militare, didattica, tecniche di condotta, tattica.

Oltre a tutto ciò, «destiniamo molte risorse allo sviluppo e alla gestione del personale, così come al Diversity Management [tutela della diversità culturale e individuale]. Complessivamente, garantiamo quindi un curricolo di studi ambizioso, che sarebbe proficuo per qualsiasi manager e diplomatico».

Un esercito di milizia

Per la Svizzera sarebbe ipotizzabile un esercito di soli professionisti? A questa domanda, Daniel Lätsch risponde che «non si tratta di un modello praticabile nella Confederazione». A suo parere, infatti, «riusciremmo a reclutare al massimo poco più di 10’000 soldati, dato che – fortunatamente – il nostro tasso di disoccupazione è molto basso e il livello d’istruzione e retribuzione molto elevato».

L’esercito di milizia ha inoltre il vantaggio, secondo il direttore della MILAK, di permettere ai dirigenti dell’economia privata di mettere a disposizione dell’esercito la loro esperienza in materia di condotta. E nel contempo le aziende approfittano di quanto appreso nell’esercito.

Daniel Lätsch conclude con una considerazione: «Lo Stato e la popolazione sanno che l’esercito è un fattore di stabilità, e non uno Stato nello Stato. Questo perché i soldati sono anche dei cittadini».

Durante la Guerra fredda le forze armate assorbivano addirittura un terzo del budget federale. Con ben 700’000 mila soldati in attività, di cui più di 150’000 ufficiali e sottufficiali, la piccola e neutrale Svizzera contava uno degli eserciti più grandi di tutto il continente europeo.

Il 26 novembre 1989, pochi giorni dopo il crollo del muro di Berlino, un’iniziativa favorevole alla soppressione dell’esercito veniva approvata da un terzo degli svizzeri. Uno shock per la classe dirigente, che ha rimesso fondamentalmente in discussione la politica di difesa nazionale, aprendo un cantiere diventato da allora interminabile.

Il primo grande progetto di riforma, Esercito 95, ha portato nella seconda metà degli anni ’90 ad una riduzione degli effettivi a 400’000 unità.

Con la riforma Esercito XXI, entrata in vigore dal 2004, il loro numero è sceso a 120’000 soldati attivi e 80’000 riservisti, mentre il budget è diventato ormai inferiore ad un decimo delle spese statali.

Attualmente la Confederazione spende circa 4,1 miliardi di franchi per la politica di sicurezza nazionale, di cui 3,7 miliardi per l’equipaggiamento e l’infrastruttura dell’esercito. Il governo intende ridurre gli effettivi a 80’000 militi attivi.

traduzione e adattamento: Andrea Clementi

Uno smartphone mostra l’app SWIplus con le notizie per gli svizzeri all’estero. Accanto, un banner rosso con il testo: ‘Rimani connesso con la Svizzera’ e un invito a scaricare l’app.

Articoli più popolari

I più discussi

In conformità con gli standard di JTI

Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative

Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.

Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR