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Venti di crisi libica in governo

Nemici? Il ministro delle finanze Merz e la ministra degli esteri Calmy-Rey Keystone

Una decina di giorni dopo il rientro a casa del secondo uomo d'affari svizzero bloccato a Tripoli per quasi due anni, le spaccature all'interno del Consiglio federale sembrano farsi sempre più profonde.

Il modo in cui il governo ha gestito la crisi con la Libia è stato oggetto di numerose supposizioni, indiscrezioni e dichiarazioni. Resta tuttavia difficile capire dove e se i diversi membri dell’esecutivo elvetico abbiano sbagliato.

Le grandi discussioni sono cominciate subito dopo l’arrivo di Max Göldi all’aeroporto di Zurigo. Accompagnato dalla ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey, Göldi aveva alle spalle quattro mesi di prigione e due anni di soggiorno forzato a Tripoli.

Stando a una fonte interna all’amministrazione federale, alcuni ministri avrebbero preso in considerazione l’ipotesi di far intervenire le teste di cuoio dell’esercito per far uscire dalla Libia Max Göldi e il suo compagno di disavventure, Rachid Hamdani. La stessa anonima fonte afferma che buona parte dei membri del governo non era al corrente dell’esistenza di questo piano.

Nella sua tradizionale seduta del mercoledì, il Consiglio federale ha deciso di sporgere denuncia contro ignoti per le indiscrezioni apparse sui giornali. In conferenza stampa, il portavoce dell’esecutivo André Simonazzi ha ribadito che il governo condanna con decisione tali indiscrezioni, ma non ha risposto ad altre domande, affermando che tutto quanto riguarda i piani di liberazione degli ostaggi è assolutamente confidenziale.

Accuse e rivelazioni

Indiscrezioni riportate dai media, accuse lanciate da partiti politici, prese di posizione dei membri del governo e una controversa dichiarazione rilasciata dalla presidente della Confederazione Doris Leuthard hanno buttato benzina sul fuoco.

Una commissione parlamentare si sta occupando della faccenda (il consigliere federale Merz è già stato ascoltato). Da diversi punti dello scacchiere politico, in particolare dalla destra nazionalconservatrice dell’Unione democratica di centro, sono stati lanciati attacchi nei confronti della ministra degli esteri socialista.

Si sono alzate poi diverse voci che chiedono di portare la Libia davanti alla Corte europea dei diritti umani o di denunciarla alle Nazioni unite.

L’unica cosa emersa con chiarezza è l’evidente difficoltà del governo nel parlare all’unisono. Il principio di collegialità sembra perdere mordente; i conflitti personali tra i sette membri dell’esecutivo potrebbero aver preso il sopravvento.

«Il punto è questo: come può un governo funzionare a dovere se non vengono poste in discussione delle questioni cruciali?», si chiede Georg Lutz della Fondazione svizzera per la ricerca in scienze sociali (Università di Losanna).

Fiducia e responsabilità condivisa

Per Lutz, gli attacchi personali ai ministri provano che il sistema – basato sulla condivisione delle responsabilità e sulla fiducia reciproca – è seriamente compromesso.

Certo, le schermaglie verbali tra i diversi schieramenti politici potrebbero anche essere pretattica volta ad assicurarsi una buona posizione di partenza se in un futuro non troppo lontano dovessero esserci delle poltrone vacanti.

Tutto questo polverone è soltanto un precursore dell’estate, stagione in cui la carenza di notizie porta a gonfiare temi altrimenti di poco conto? Lutz preferisce non pronunciarsi su questo punto, tuttavia riconosce che le dichiarazioni dei partiti hanno qualcosa di «triste e logorante».

Informazione

Il politologo Andreas Ladner, dell’Istituto superiore di studi in amministrazione pubblica di Losanna (Idheap), è dell’avviso che le polemiche potrebbero andare avanti ancora per settimane e segnare l’inizio di una lunga campagna elettorale in vista delle elezioni federali dell’autunno 2011.

«Ma la cosa più importante», dice Ladner, «è che tutto questo mette in evidenza i problemi interni al governo e i limiti del sistema politico».

Se il “caso Libia” ha uno strascico apparentemente infinito, una parte di responsabilità spetta ai media, che hanno più successo quando a fare i titoli sono le persone, le loro azioni e le loro dichiarazioni. Ladner però non vuole puntare il dito contro i giornalisti; non sono loro all’origine della cacofonia proveniente dai salotti della politica.

È lo stesso governo ad aver lasciato troppe domande senza risposta, spingendo così la stampa a scavare sempre più a fondo alla ricerca di una buona storia.

Urs Geiser, swissinfo.ch
(traduzione, Doris Lucini)

I rapporti tra la Svizzera e la Libia si sono incrinati nell’agosto 2008, quando Hannibal Gheddafi, figlio del leader libico, è stato arrestato a Ginevra insieme alla moglie con l’accusa di maltrattamenti nei confronti dei domestici.

Pochi giorni dopo, due uomini d’affari svizzeri, Max Göldi e Rachid Hamdani, vengono arrestati a Tripoli. Sono accusati di aver violato le leggi sull’immigrazione. Seguono altre misure di ritorsione, politiche ed economiche, nei confronti della Svizezra.

La crisi assume una dimensione europea ad inizio febbraio 2010, quando si viene a sapere che la Svizzera ha vietato la concessione di visti Schengen a poco meno di 200 personalità libiche. La Libia blocca a sua volta i visti per le persone provenienti dallo spazio Schengen.

Il 22 febbraio 2010, Rachid Hamdani – assolto in appello dalle accuse – fa ritorno in Svizzera. Max Göldi deve scontare quattro mesi di prigione. Il 14 giugno, arriva a Zurigo.

La liberazione di Max Göldi è avvenuta in seguito ad importanti sforzi diplomatici da parte dell’Unione europea e alla firma di un documento che prevede – tra le altre cose – l’istituzione di un tribunale arbitrale incaricato di far luce sulle circostanze dell’arresto di Hannibal Gheddafi e di sua moglie Aline.

Il 25 giugno 2010, il Dipartimento federale degli affari esteri ha indicato che i giudici saranno la britannica Elizabeth Wilmshurst (per la Svizzera) e l’indiano Sreenivasa Pammaraju Rao (per la Libia). Si tratta degli stessi giudici nominati nell’autunno 2009 in seguito ad un primo accordo, poi sospeso, firmato a Tripoli dall’allora presidente della Confederazione Hans-Rudolf Merz.

I due giudici avranno trenta giorni per scegliere il presidente del tribunale arbitrale: la corte così formata avrà altri 60 giorni per esaminare l’incarto e pronunciarsi sui fatti.

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