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Prezioso apporto svizzero nella Tangentopoli italiana

Il procuratore generale del Canton Ginevra Bernard Bertossa, uno dei magistrati svizzeri maggiormente impegnati con i giudici del pool Mani pulite contro la corruzione politica ed affaristica in Italia Keystone Archive

Bilancio positivo della collaborazione giudiziaria elvetica nell'inchiesta Mani pulite in Italia, iniziata proprio dieci anni fa, il 17 febbraio 1992.

L’inchiesta Mani pulite, iniziata dai giudici della Procura di Milano, ha avuto importanti ramificazioni in Svizzera. Centinaia di conti sospetti sono stati bloccati e confiscati dalle autorità giudiziarie elvetiche, soprattutto a Lugano e Ginevra. Ad affermare che la collaborazione della giustizia svizzera è stata “fondamentale” per far luce su un complesso sistema di corruzione politica, affaristica ed industriale in Italia è lo stesso simbolo di Mani pulite, l’ex giudice ed attuale senatore Antonio Di Pietro, 54 anni.

Migliaia di rogatorie

Nel corso di questi ultimi dieci anni la Svizzera è stata notevolmente sollecitata dalla giustizia italiana, impegnata nella ricerca dei soldi sporchi della corruzione politico-affaristica. “In totale abbiamo ricevuto all’incirca 4.000 richieste della Commissione rogatoria da parte delle autorità italiane”, ha comunicato il portavoce dell’Ufficio federale della Giustizia (UFG), Folco Galli.

Determinare esattamente quante di queste richieste di assistenza giudiziaria hanno riguardato l’inchiesta Mani pulite è quasi impossibile, come ha ammesso lo stesso portavoce dell’UFG. “In questi ultimi anni -ha aggiunto Folco Galli- le domande di rogatoria dall’Italia sono sensibilmente diminuite, anche se continuiamo a riceverne all’incirca 250 l’anno”.

Per quanto attiene all’inchiesta Mani pulite, le richieste di assistenza giudiziaria hanno interessato soprattutto i Ministeri pubblici cantonali del Ticino (precisamente di Lugano), Ginevra ed in misura minore quelli di Zurigo e Losanna. Questo si spiega col fatto che sulla piazza finanziaria ticinese e su quella di Ginevra politici ed importanti industriali italiani vi avevano trasferito e depositato i loro fondi neri. Il più celebre di loro è il magnate dell’industria televisiva italiana Silvio Berlusconi, attuale presidente del consiglio dei ministri a Roma.

La caverna d’Alì Babà

Anche il defunto Bettino Craxi, già capo del governo italiano nonché ex-segretario del Partito socialista italiano (Psi), aveva aperto numerosi conti presso banche di Chiasso, Lugano e Ginevra, sui quali erano stati versati oltre 25 milioni di franchi (circa 30 miliardi di lire). Soldi neri che dovevano servire al finanziamento occulto del Psi e che sono nel frattempo stati trasferiti nei più accomodanti paradisi fiscali delle Bahamas. Craxi, morto in esilio in Tunisia nel gennaio del 2000, disponeva anche una cassetta di sicurezza privata presso un istituto di credito ginevrino: una vera e propria “caverna di Ali Babà” contenente quindici chilogrammi di oro e contanti per svariate centinaia di migliaia di franchi.

La vendita dei quindici chili d’oro, sequestrati a Craxi, ha consentito alla giustizia ginevrina di restituire all’Italia, nel 1999, 2,1 milioni di franchi. “In totale la magistratura del Canton Ginevra ha restituito alle autorità italiane 15,7 milioni nel quadro dell’inchiesta Mani pulite”, ha dichiarato il procuratore generale ginevrino Bernard Bertossa, secondo il quale diversi altri milioni di franchi devono ancora essere restituiti.

Il capo della magistratura ginevrina, che fra qualche mese lascerà il posto per raggiunti limiti d’età, sottolinea però come “la partenza di Antonio Di Pietro dal pool di Mani pulite abbia rallentato l’attività delle commissioni rogatorie in corso in questo specifico contesto di inchieste”.

Intensa collaborazione

Parole di elogio alla collaborazione tra la giustizia svizzera e quella italiana sono state espresse anche dal simbolo di Mani pulite Antonio Di Pietro, attualmente impegnato in politica quale senatore del movimento “L’Italia dei valori” da lui stesso fondato. “La mia collaborazione soprattutto con i magistrati di Lugano e di Ginevra, ma anche di Losanna -ha detto Di Pietro- è stata intensa e fruttuosa. Dopo la mia partenza dalla magistratura, nel dicembre del 1994, i giudici impegnati nelle indagini su Mani pulite sono stati oggetto di una serie di attacchi ingiustificati -aggiunge l’ex magistrato-.e l’immagine della giustizia italiana ne ha sofferto. Le confessioni dei pentiti si sono rarefatte e le indagini si sono arenate”.

Amaro il bilancio dell’ex simbolo di Mani pulite a dieci anni dall’inizio delle indagini: “Dieci anni fa l’Italia ha saputo reagire contro la corruzione -aggiunge- e per la prima volta potevamo essere orgogliosi del nostro Paese anche all’estero. Oggi cosa abbiamo invece da offrire all’Europa se non la faccia da pagliaccio di Silvio Berlusconi. Adesso quando vado all’estero, come italiano mi sento umiliato”.

Un magro bilancio dei dieci anni di indagini sulla Tangentopoli italiana viene fatto anche da Piero Colaprico, redattore del quotidiano italiano La Repubblica ed uno dei maggiori esperti dello scandalo che ha scosso l’Italia all’inizio degli Anni Novanta. Proprio a lui si deve la creazione del termine Tangentopoli per descrivere il fenomeno della corruzione e degli intrecci clientelari tra politica ed affari.

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