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Processo Lagonico: dal confronto serrato tra gli imputati emergono tesi paradossali

Stéphane Lagonico sembra non avere ancora superato lo choc del rapimento subito più di due anni fa Keystone Archive

Al Tribunale correzionale di Losanna è in pieno svolgimento il processo ad alta tensione mediatica per il rapimento di Stéphane Lagonico, erede di una delle più ricche famiglie vodesi. Tra i 13 accusati, Christian Pidoux, amico di famiglia dei Lagonico e figlio di un ex consigliere di stato vodese e deputato alle camere federali.

Lo sguardo a mezz’altezza, l’atteggiamento apatico e il palese disagio che Stéphane Lagonico ha mantenuto durante questi primi dieci giorni di processo la dicono lunga sulla sua situazione personale e sul trauma subito in quelle 48 ore di sequestro: tra il 21 e il 23 dicembre 98. Colpito nell’anima, il ventottenne avvocato stabilitosi ora negli Stati Uniti sperava forse nel dibattimento per rielaborare in piena coscienza quanto avvenuto e consegnare definitivamente questi eventi al passato, ma secondo tutta evidenza l’esperienza non sarà per lui molto costruttiva in questo senso.

Chi invece il passato lo ha già elaborato in tutta coscienza e sui fatti, con l’aiuto degli avvocati, ha strategicamente costruito una propria versione da presentare ai giudici sono i tre imputati principali: Christian Pidoux, il cervello del colpo, Katia Pastori, allora la sua ragazza e Pascal Schumacher, il giovane che ha giocato un ruolo cruciale nella fase della richiesta di riscatto. Si tratta manco a dirlo di una versione tendente a diluire le responsabilità del terzetto per riversarla sugli esecutori materiali del sequestro.

Certo è che a questo punto emergono tutte le insidie di questo processo che vede sul banco degli imputati ben 13 persone: oltre ai tre precitati c’è Marc Pidoux, il fratello di Christian, un altro amico di quest’ultimo, il basista italiano, il suo compare eritreo e sei Kosovari, tra cui gli uomini d’azione. Dall’intrigo, i tre protagonisti cercano di accreditare la tesi che dopo aver loro stessi architettato il rapimento Lagonico, Christian Pidoux in particolare, sono diventati vittime della banda di kosovari. Una tesi che poggia su elementi concreti, viste le pressioni e le minacce subite da Pidoux per il fatto che non era in grado di retribuire subito, come pattuito, la banda e visto che proprio per questo il fratello Marc e Katia Pastori sono stati a loro volta presi in ostaggio dai balordi.

Tuttavia sostenere, come ha fatto Pidoux, che la richiesta di riscatto servisse a proteggere Stéphan Lagonico e a evitargli l’annunciata esecuzione, appare come una tesi fin troppo spinta, che rischia di rendere paradossale la sua posizione. A questo punto, i genitori di Lagonico sono usciti dal riserbo per definire “insopportabile la messinscena di una banda di criminali che vogliono farsi passare per giovani premurosi”. Nelle parole di Carmela Lagonico c’è tutta l’irritazione di una protagonista della traumatica vicenda.

Più navigato e concreto il suo legale Eric Stoudmann, avvocato di parte civile, che sfoderando le necessarie doti retoriche ha affermato: “Signor Pidoux, non sono forse il solo in questa sala a non crederle” mettendo poi in evidenza la flagrante contraddizione tra il piano da lui concepito e la pretesa volontà di proteggere l’ostaggio con la richiesta di riscatto. Alleati con la parte civile in questo particolare aspetto anche i difensori dei kosovari, che temono e combattono il trasferimento di responsabilità dal cervello agli esecutori: “Insomma, signor Pidoux, la famiglia Lagonico dovrebbe ringraziarla” ha detto caustico l’avvocato Jean Lob.

La testimonianza della madre dell’ostaggio sulla delicatissima fase del contatto coi rapitori, sulla richiesta di riscatto e sulla consegna del pacco di banconote per mezzo milione di franchi rende l’idea dell’incredibile gioco portato avanti da Pidoux e Schumacher. Telefonano minacciando la mutilazione di Stéphane, presi dal panico bombardano di chiamate Carmela Lagonico tanto da costringerla a un’inutile uscita davanti alla Scuola alberghiera di Epalinges. Poi le viene ordinato di mettere i soldi in un cesto dei rifiuti di una fermata dell’autobus, lei esegue ma le indicazioni erano talmente poco precise che Pidoux cerca e non trova nel cestino di un’altra fermata. Finalmente riesce a consegnare la somma lasciandola in un luogo pattuito a Rivaz e vagando tra i vigneti della zona intravede e riconosce Christian Pidoux, circostanza questa che servirà alla polizia per risalire all’ostaggio e liberarlo. Da una parte l’ansia di una donna che si vede confrontata con una tragedia imminente e dall’altra il cinismo e il dilettantismo di una coppia di giovani viziati, abituati al denaro facile e alle scorribande con auto di lusso, divenuti criminali improvvisati e proprio per questo ancor più pericolosi.

Ma non è solo sui tentativi di scaricare le responsabilità che si gioca l’esito del processo. Molto dipenderà dall’accoglienza che la corte riserverà all’esito delle perizie psichiatriche: quella eseguita su Christian Pidoux, per esempio, certifica una notevole diminuzione della responsabilità penale. Le deposizioni degli psichiatri e le domande incrociate della quindicina di avvocati saranno il prossimo piatto forte del dibattimento, che durerà almeno altre due settimane.

Flavio Fornari, Losanna

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