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“Il sistema della chiusura non può essere quello giusto”

È impossibile superare questa rete metallica che corre per 12,5 chilometri sul confinte tra la Grecia e la Turchia. swissinfo.ch

L'Unione europea non è riuscita a mettersi d'accordo sulle quote vincolanti per la distribuzione dei profughi: per Alberto Achermann, professore di diritto della migrazione presso l'università di Berna, è vergognoso. Forse la crisi attuale nella politica dei rifugiati segna il momento di ripensare tutto radicalmente, dice l'esperto.

swissinfo.ch: L’Unione europea non si è messa d’accordo su un criterio di ripartizione fisso, ma solo su una ripartizione volontaria dei rifugiati. Si tratta di un piccolo passo nella giusta direzione o il segnale di una mancanza di solidarietà?

Alberto Achermann: Se si tratta di un piccolo passo lo vedremo solo quando si saprà veramente se ci saranno offerte per l’accoglienza di rifugiati. Il grosso problema è che i paesi che erano pronti a riceverne, sono già ora molto più sotto pressione rispetto ad altri. Si dovrà vedere se tali paesi accetteranno volontariamente più persone provenienti da Italia e Grecia.

Distribuzione del carico

Al vertice UE della scorsa settimana è stata concordata la ripartizione tra altri paesi di 40’000 profughi giunti in Italia e Grecia. L’ intesa prevede che ciò avvenga su base volontaria, e non in base a una quota fissa, come invece chiedevano la Commissione europea e l’Italia.

I leader dell’UE hanno inoltre concordato che tutti i paesi partecipano al reinsediamento di 20’000 rifugiati riconosciuti dei campi intorno alla Siria.

La Germania è stata una forte sostenitrice della chiave di distribuzione e non può praticamente fare altro che accettare altri richiedenti l’asilo, anche se rispetto alla popolazione ne ha già un numero sproporzionato.

I paesi con il minor numero di profughi hanno già hanno fatto sapere di non volere quote obbligatorie. Sono ansioso di vedere se coopereranno volontariamente.

Il grande interrogativo è se questi profughi ridistribuiti poi resteranno nel paese, o se ci sarà una migrazione secondaria. Delle persone per esempio assegnate alla Slovacchia resteranno lì? Oppure si rimetteranno in viaggio per quei paesi come la Svezia, l’Inghilterra, dove avrebbero voluto andare?

swissinfo.ch: Membro degli accordi di Schengen e Dublino, la Svizzera si è espressa a favore di una chiave di ripartizione. È perché così verrebbe alleviata o ci sono altri motivi?

A.A.: Credo che in prima linea siano in gioco i propri interessi, altrimenti la Svizzera, non essendo membro a pieno titolo dello spazio europeo di asilo, non si impegnerebbe così attivamente. D’altra parte, le statistiche degli ultimi 15-20 anni indicano che la Svizzera è sempre stata ai vertici delle classifiche per numero di richiedenti l’asilo pro capite sia arrivati sia ammessi. Pertanto è comprensibile che la Svizzera faccia parte dei promotori più attivi di tale chiave di distribuzione.

Ma la Svizzera finora non si è mai impegnata fortemente per una vera politica comune europea in materia di asilo. Il fatto che non abbia ripreso le linee direttive dell’UE in materia di asilo, mostra chiaramente che in questo campo non può o non vuole partecipare a pieno titolo.

Il professore di diritto Alberto Achermann swissinfo.ch

swissinfo.ch: Per motivi di politica interna?

A.A.: Occorrerebbero alcune modifiche alla legge sull’asilo. Ad esempio, un miglioramento dello statuto giuridico delle persone ammesse provvisoriamente, uno status che non esiste nella legislazione UE. Noi abbiamo un approccio più restrittivo, il che dimostra che in questo la Svizzera non è così solidale come ora dà d’intendere di essere nella ripartizione.

swissinfo.ch: La ministra svizzera di giustizia e polizia Simonetta Sommaruga si è espressa in favore di una chiave di ripartizione “equa”. Quali dovrebbero essere i criteri per l’applicazione?

A.A.: Trovo che quelli sviluppati dalla Commissione europea non sono male. Si mette il numero di richiedenti asilo in rapporto con la popolazione, la disoccupazione, il prodotto interno lordo e il numero di profughi già nel paese. Tali criteri non sono controversi di per sé. Controverso è il principio dell’obbligo di accettare una quota.

swissinfo.ch: Paesi ai confini esterni dell’area di Schengen, come la Grecia, l’Italia e l’Ungheria, sono particolarmente confrontati con la pressione migratoria permanente. Secondo l’accordo di Dublino, per la domanda è competente il paese sul cui territorio il profugo ha messo piede per la prima volta in Europa. È necessaria una revisione di questo accordo?

A.A.: La ripartizione iniqua del carico fa discutere sin da quando è stato raggiunto l’accordo di Dublino nel 1990. Nei primi anni, non era così pronunciata, perché c’erano poche domande di asilo negli Stati del sud. Quelle persone semplicemente si spostavano altrove senza che nelle cifre di allora emergessero problemi.

Da quando però il numero di domande è cresciuto fortemente, la problematica si è manifestata in tutte le sue dimensioni. Se si giunge a un criterio di ripartizione, è in ogni caso necessaria una revisione di Dublino. Questo sarebbe il momento di cambiare il meccanismo. Determinare se la domanda d’asilo deve essere esaminata alla frontiera esterna o nello Stato in cui è presentata non sarà facile.

Di per sé, si parte dal presupposto che sia colpa degli Stati ai confini esterni dell’area di Schengen se i richiedenti asilo entrano nel paese. Ciò dovrebbe incentivarli a sorvegliare al meglio le loro frontiere. È la logica di questo sistema.

Quindi potrebbe darsi che si mantenga il criterio della frontiera esterna, ma con l’aggiunta di un criterio di ripartizione, in modo che i paesi con moltissimi richiedenti l’asilo possano mandarne altrove.

swissinfo.ch: La realtà è che diversi paesi membri degli accordi di Schengen e Dublino sfuggono alle regole, nel senso che chiudono temporaneamente le frontiere, effettuano controlli doganali e registrano in modo lacunoso i profughi. La politica d’asilo dell’UE è fallita?

A.A.: È certamente intaccata. Negli anni ’70 e ’80 un rifugiato poteva più o meno scegliere dove voleva presentare la domanda. Poteva andare dove vivevano dei parenti, dove sapeva la lingua. Con Dublino ciò è diventato storia. Non credo che sarà possibile tornare alle vecchie condizioni. Ciò che è necessario ora è sostituire il sistema: un processo che richiederà decenni

Svizzera nel confronto europeo

Nel 2014 secondo l’agenzia dell’ONU per i rifugiati UNHCR 22’000 persone hanno presentato domanda di asilo in Svizzera. Ciò corrisponde a una proporzione di 2,7 richiedenti asilo ogni 1’000 abitanti. In Europa, solo Svezia (7,8), Ungheria (4,2), Austria (3,3) e Malta (3,0) hanno un tasso più elevato. La media era di 1,1 domande di asilo per 1’000 abitanti.

Oggi le possibilità per i richiedenti asilo in Europa sono distribuite in modo molto diseguale. In uno Stato, il tasso di riconoscimento è dell’1%, in un altro del 40-50%. Questo si chiama “lotteria dell’asilo”. D’altra parte, anche le condizioni nei centri di accoglienza sono estremamente diverse. Si va da un alloggio ragionevolmente decente fino a dover dormire all’aria aperta o a strutture isolate, come è il caso a volte in Ungheria o in Grecia.

swissinfo.ch: Cosa dovrebbero dunque fare gli Stati dell’UE?

A.A.: Se si vuole una distribuzione più equa e un sistema migliore, gli Stati devono lavorare sodo insieme, in modo che arrivino a condizioni di accoglienza grosso modo simili. Ci vorrà molto tempo prima che si arrivi a condizioni accettabili. Se arrivasse a quel punto, non avrebbe più grande importanza in quale paese una persona fa la procedura d’asilo.

Come in Svizzera, dove c’è già una chiave di ripartizione: i richiedenti l’asilo vengono ripartiti tra i cantoni. Che la procedura di asilo abbia luogo a Glarona o a Ginevra, non importa: le probabilità sono le stesse. E se sono accettati, possono anche stabilirsi in un altro cantone.

swissinfo.ch: La politica d’asilo al momento non ha né una strategia chiara né visioni. Ciò non favorisce le bande di trafficanti?

A.A.: Finché i migranti non potranno entrare legalmente, questi flussi e queste perdite di vite non avranno fine. Probabilmente è troppo facile puntare il dito solo contro le bande di passatori. La gente trova sempre una via per venire in Europa. Come lo dimostrano gli ultimi 20 anni, le strade sono costantemente cambiate, ma i numeri non sono diminuiti. Al contrario.

Non si può negare una certa parte di responsabilità per la miseria dei rifugiati. Forse questa crisi è il momento di ripensare radicalmente tutto. L’Europa è attualmente in una “corsa agli armamenti”. Invece di investire milioni in dispositivi di sicurezza alle frontiere, con telecamere a infrarossi e cani, si dovrebbe investire nella formazione sul campo. Poiché l’attuale sistema della chiusura non può essere quello giusto.

(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

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